Strage di Bologna: tra silenzi e depistaggi

di Roberto Scardova | da l’Unità del 2 agosto 2012

orologio bolognaSul finire degli anni 70 tutto era pronto. La P2 aveva posto sotto controllo buona parte dell’Arma dei Carabinieri ed i servizi di sicurezza dello Stato.

Con l’appoggio di Michele Sindona e dei massoni americani (la «banda dei texani») Licio Gelli aveva esteso la propria influenza sulle logge siciliane reclutando i principali boss mafiosi. I movimenti neofascisti, Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, avevano stabilito un comune piano d’azione accordandosi anche con militari e criminalità. Nelle Forze armate si era avviata la ricostituzione clandestina dei «Nuclei di difesa dello Stato», cellule armate ed addestrate costituite da militari e neofascisti, appartenenti in particolare ad Ordine Nuovo.

Tutto era pronto. La strage a Bologna avrebbe innescato una reazione tale da determinare una svolta autoritaria al governo del Paese. Anche la data era stata individuata: fine luglio, primi di agosto. Morti e feriti avrebbero insanguinato l’Italia delle vacanze, spazzato via gli ultimi brandelli della «solidarietà democratica» su cui avevano lavorato Enrico Berlinguer e Aldo Moro. I nostri servizi segreti sapevano tutto. Avevano avuto da più fonti precise informazioni sul fatto che la strage era in preparazione, su chi la progettava, chi avrebbe fornito l’esplosivo. Ma tacquero. Obbligarono al silenzio anche il ministro Antonio Bisaglia, che era stato informato dell’imminente attentato per le confidenze raccolte dal fratello, sacerdote a Rovigo. 

I servizi piduisti predisposero invece il depistaggio che avrebbe dovuto far attribuire alla sinistra la bomba alla stazione: cosa che avrebbe moltiplicato il disorientamento della gente. Il neofascista Marco Affatigato già in marzo era stato «prestato» dal Sisde alla Cia perché fosse infiltrato tra i terroristi mediorientali, e gli era stato suggerito di rilasciare interviste circa presunte complicità con le Brigate Rosse, di scrivere documenti in cui si annunciasse un futuro governo militar-popolare. Subito dopo la strage, Affatigato fu arrestato in Francia come autore dell’eccidio. Una trappola. Dalla quale i giudici bolognesi riuscirono a districarsi soltanto per aver potuto disporre del lavoro di un giudice, Mario Amato, assassinato a Roma dai Nar di Valerio Fioravanti poco più di un mese prima. Amato aveva indagato su Fioravanti e sugli altri fascisti romani, sui loro padrini e sulle loro alleanze, ed aveva capito ciò che si stava preparando: «Siamo sull’orlo di una guerra civile» aveva dichiarato al Csm. Quell’allarme gli costò la vita. La trappola Affatigato, così, non scattò. I veri autori delle strage furono catturati, e condannati. Con loro, i depistatori: Licio Gelli (l’inventore della teoria dell’esplosione causata da un mozzicone di sigaretta), e poi Francesco Pazienza con gli ufficiali del servizio segreto militare, Musumeci e Belmonte. Di questi ultimi oggi conosciamo l’appartenenza ad un organismo clandestino supersegreto, definito l’Anello: creato nell’immediato dopoguerra dai superstiti dei servizi di spionaggio di Mussolini, e la cui esistenza era stata taciuta per decenni. Lo si è scoperto grazie alle indagini condotte nell’ambito dell’ultimo processo per la strage di Brescia: ed alcuni di coloro che ne hanno fatto parte hanno sostenuto di aver agito, per anni, sotto la silente protezione di Giulio Andreotti. 

L’Anello avrebbe costituito lo strumento operativo per le operazioni sporche: ad esempio la fuga del criminale nazista Herbert Kappler, la trattativa sulle carte di Aldo Moro prigioniero delle Br, il rapimento del figlio del leader socialista Francesco De Martino. Ed anche, ora sappiamo, i depistaggi per nascondere la verità sulla strage di Bologna, ed impedire che si potesse giungere ad individuarne autori e mandanti, ed il progetto eversivo che l’aveva determinata. 

Sono questi alcuni degli elementi di novità che la Associazione tra i familiari delle vittime della strage del Due Agosto ha sottoposto alla attenzione della Procura di Bologna. Essi scaturiscono dalle inchieste condotte dai magistrati di Brescia, Milano, Venezia, Firenze e Palermo: atti, deposizioni e consulenze sono stati in gran parte digitalizzati grazie all’opera dell’Archivio della Memoria. Ciò consente di collegare ogni singolo episodio o personaggio al contesto complessivo, e valutare di ogni indizio rilevanze che possono risultare rivelatrici. Gli investigatori, sino ad oggi costretti ad inchieste limitate e parcellizzate, hanno la possibilità di allargare il proprio orizzonte all’intera storia delle stragi e della strategia delle tensione, ed ai suoi protagonisti da Portella della Ginestra ad oggi. La verità è a portata di mano: purché alla giustizia si consenta di lavorare.