La “translatio” dell’antifascismo

bambino veterano fioredi Diego Angelo Bertozzi

L’assenza di rappresentanti di Paesi occidentali alla parata di Mosca per la celebrazione della vittoria sulla Germania nazista ha un chiaro significato, coerente con l’appoggio al golpe ucraino e con ormai vent’anni di aggressioni militari unilaterali (con annessi embarghi genocidi): Unione Europea e Stati Uniti hanno definitivamente abbandonato l’antinazismo/antifascismo come riferimento della loro azione politica.

Il significato ancora più chiaro è che tale riferimento guida ora l’emergere (o il riemergere) progressivo sulla scena internazionale di Paesi come la Cina, la Russia e l’India, vittime sia dei progetti di dominio del colonialismo occidentale che di quelli di schiavizzazione messi in campo dalla Germania nazista e dall’alleato giapponese. Non può quindi sorprendere la pervasività dell’operazione, in atto da tempo, di riduzione del ruolo decisivo svolto dall’Urss e dai comunisti cinesi per la vittoria nel secondo conflitto mondiale, sia sul fronte occidentale che su quello asiatico. Va cancellato dalla memoria collettiva uno dei risultati di quel contributo di sangue “rosso”: l’accelerazione dei processi di liberazione nazionale in Asia come in Africa.

Ciò che resta ad Occidente è un antifascismo di maniera, sganciato dalle sue radici storiche, e ridotto ad “instrumentum regni” dell’imperialismo: ad essere sussunto nella categoria di “fascismo” (o di “hitlerismo”) è ormai ogni governo che resiste ai progetti di dominio mondiale coltivati sulle rive del Potomac.

La denuncia di un simile “antifascismo atlantico” è un dovere per chi ha a cuore la pace, il dialogo tra le civiltà e la democratizzazione delle relazioni internazionali.