di Alessandro Robecchi | da il manifesto del 4 Maggio 2012
Un infortunio giornalistico può sempre capitare. Ma l’errore in cui è incorso Pierluigi Battista, illustre commentatore e vicedirettore del Corriere della Sera, è un caso di scuola, una specie di esempio luminoso di cosa accade quando si scrive per tesi precostituite. I fatti separati dalle opinioni, si diceva un tempo, e mai come in questo caso lo slogan è azzeccato: i fatti qui, visibili, controllabili, stampati su foto e filmati. E le opinioni, invece, già belle e confezionate. Dunque ecco.
Il primo maggio sul Corriere Battista firma un denso editoriale dal titolo: «Cgil, perché è vietato ricordare Ramelli?». Nel resoconto di Battista si fronteggiano due realtà: una è il presidio antifascista della Cgil che si propone di «ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l’uccisione di Sergio Ramelli», giovane di destra assassinato nel ’75. Una cosa proprio brutta, su cui Battista non risparmia toni apocalittici: «lugubre decennio», «teste e coscienze penosamente aggrappate al passato», «fragorosa e rituale protesta». Insomma, i cattivi del solito antifascismo. Dall’altro lato, invece, gli amici e i camerati di Ramelli, che onorano il loro amico con «un elementare esercizio di pietà». Lo scenario che si presenta ai lettori del primo quotidiano italiano per mezzo di una delle sue penne più illustri è dunque questo: antichi e rancorosi facinorosi ostacolano la sacrosanta pietà. Abbastanza per suscitare qualche curiosità e per scoprire alcune cose che qui si elencano come semplici dati di fatto.
La sacrosanta pietà degli amici di Ramelli consisteva in una riunione in una sala della Provincia di Milano gentilmente concessa dal presidente Podestà (Pdl) e pietosamente intitolata “Milano burning”. Presenti le sigle più minacciose della destra fascista e nazista cittadina, con personaggi già noti alla questura e alle autorità in un tripudio di simboli, slogan e paccottiglia fascista.
Il presidio antifascista davanti alla Camera del Lavoro, sita a pochi metri, è stato indetto dalla stessa Camera del Lavoro (ha aderito l’Associazione ex deportati) per un motivo molto semplice: in analoghe occasioni certi raduni “pietosi” erano sfociati in raid e provocazioni. Il presidio consisteva in una discreta presenza, canti, discorsi. Età media (purtroppo) alta. Chi voglia vedere le fotografie di queste «teste e coscienze aggrappate al passato» può andare a quest’indirizzo, bit.ly/JgkD0S, e vedrà di che razza di facinorosi si tratta.
«L’elementare esercizio di pietà» così ben descritto da Battista è sfociato in una manifestazione, questa sì assai lugubre. In fila per cinque con i labari e le croci celtiche, le svastiche tatuate, il grido «Camerata Ramelli, presente!», gli «A noi!», e tutto il repertorio. Il video, veramente agghiacciante, è qui: bit.ly/JNEFU9. Ognuno può rendersi conto dell’affronto che queste immagini rappresentano per Milano, città medaglia d’oro della Resistenza, che è poi la città del Corriere della Sera, lo stesso che tante belle e preziose pagine confeziona ogni anno in occasione del giorno della Memoria.
In sostanza: un semplicissimo gioco di ribaltamento: la “cattiva” Cgil ancorata al passato e i pietosi giovani di destra che commemorano il loro caduto. Questo sanno i lettori del Corriere. Cioè l’esatto opposto di quel che è successo realmente. Sarebbe bastato leggere le cronache pubblicate dallo stesso Corriere il giorno prima. Sarebbe bastato cercare un po’ in rete, magari dare un’occhiata al corteo nazifascista. Ma l’opinione preconfezionata ne avrebbe forse risentito, e allora perché farlo?
Viste quelle immagini, poi, si è cercato sul Corriere qualche cenno di errata corrige, qualche velata scusa, qualche ritrattazione, un pietoso (questo sì) «mi sono sbagliato». Invece niente. E dunque, vien da pensare, non un banale errore giornalistico, ma qualcosa di più.
Irresistibile, per esempio, l’incipit del pezzo di Pierluigi Battista, che così recita: «Sinceramente non si capisce perché la Cgil, che pure avrebbe molti impegni da onorare in questo terribile periodo di crisi del lavoro debba prodigarsi per organizzare un presidio antifascista…». «Sinceramente», mi raccomando. Insomma: nazisti, vittime degli anni bui, sprangate, labari e croci celtiche non c’entrano niente, e quel che si voleva era mettere un po’ al suo posto la Cgil. Tutto qui. Tutto semplice e lineare. La vergogna di cinquecento neonazisti che marciano inquadrati militarmente per Milano scimmiottando le coreografie berlinesi degli anni Trenta non conta. Ma che importa: leggendo soltanto l’accorato commento di Battista – lontano anni luce da fatti comodamente controllabili – i lettori del Corriere non lo sapranno.