Un punto di vista critico su Mélenchon e la NUPES

So che la situazione è tragica per la sinistra in Italia e questo porta una parte dei militanti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa per avere una speranza di riguadagnare posizioni. Una parte di loro attende la soluzione dall’estero. Negli anni ho visto tante mode passare (e a volte ritornare più volte): senza grosse analisi né tentativi di comprendere la situazione italiana, ho sentito di volta in volta le parole d’ordine “facciamo come Izquierda Unida”, “facciamo la Linke italiana”, “facciamo come Podemos”, “ci vuole Syriza anche da noi!” e tante altre varianti che ho dimenticato.

La concretizzazione più significativa è stata nel 2014, quando si creò in Italia una lista elettorale che conteneva il nome del segretario di un partito estero. L’altra Europa con Tsipras è forse l’esempio paradigmatico di questa tendenza a trovare l’escamotage elettorale che permetta di ritrovare una rappresentanza istituzionale, che avrebbe (nella loro idea) la conseguenza di aprire una breccia nel sistema comunicativo e con essa ricostruire una presenza stabile della sinistra in Italia. Inoltre si avrebbe accesso ai magri fondi pubblici.

La vacuità di questo punto di vista, determinato da una comprensibile disperazione, è determinato dal fatto che esso non è “democratico”. L’assenza della sinistra dalla società italiana, dai suoi conflitti, dalle sue associazioni, dai sindacati, dalle scuole e dalle università, determina una logica e democratica conseguenza dell’assenza dalle istituzioni. Peraltro va sottolineato che le istituzioni dovrebbero essere viste come un mezzo per raggiungere gli obiettivi e non un obiettivo in sé. In tutto questo non vengono osservate invece le esperienze continentali in cui la sinistra è riuscita a costruire una solida base sociale che l’ha portata anche ad ottenere posti istituzionali (come il Ptb in Belgio), ma solo dopo un paio di decenni di oscuro e duro lavoro sociale.

Già ho visto passare locandine di eventi per lanciare l’Unione Popolare in Italia, con gli stessi colori e gli stessi caratteri di quelli francesi. Quasi che il problema italiano fosse determinato da slogan sbagliati o dal nome non corretto della formazione. Questo porta ad esaltare acriticamente le esperienze straniere senza analizzare e soppesare forze e debolezze. C’è insomma un’esterofilia acritica tra molti militanti italiani, pronti a riconrrere e copiare “con la copia carbone”, qualsiasi esperienza negli altri paesi, senza elaborare e costruire una presenza in Italia.

La Nupes è solo l’ultima di questa successione di mode. Ma per esempio pochi sanno che Mélenchon, il nuovo Tsipras (peraltro portato come un eroe qualche tempo fa per essere gettato violentemente nel dimenticatoio pochi mesi dopo), ha ricevuto il sostegno del Presidente della Confindustria francese che dopo un dibattito con lui ha detto che “Mélenchon è pronto a governare”. In Italia una tale evenienza avrebbe portato a lunghi dibatti e litigi tra i militanti. Ma quando la stessa frase viene attribuita al “campione straniero” del momento non sortisce alcun effetto nei suoi temporanei sostenitori.

Tutto questo è frutto della passivizzazione degli italiani, che vedono la politica ormai solo da dietro una tastiera o sul divano di casa. E’ come il calciomercato in estate, quando i tifosi di ciascuna squadra passano il tempo a sognare le potenzialità dello sconosciuto giocatore venuto da un paese lontano, salvo poi trovarsi spesso con un brutto risveglio alle prime giornate di campionato.

L’articolo che è stato tradotto mostra, da un punto di vista comunista, tutti i limiti dell’esperienza di Mélenchon e della NUPES. Spero che questo aiuti a rompere il punto di vista acritico sull’esperienza francese, che ha meriti e limiti, come tutte le esperienze. Uno di questi è quello di non avere guadagnato voti rispetto a 5 anni fa e di aver perso voti rispetto al primo turno delle presidenziali: sulle proiezioni di quel voto, ci si aspettava almeno 200 eletti, forse più. Mélenchon però ha voluto paracadutare i suoi uomini in collegi in cui questi non avevano seguito elettorale, a scapito dei candidati locali (comunisti e socialisti). In un sistema maggioritario questo si paga: in Francia è spesso il medico del paese che diventa sindaco, e da lì pone le basi per diventare deputato, in un sistema in cui la relazione tra eletto e collegio è tanto forte da creare legami ambigui che al confronto il Psi di Craxi era una squadra di dilettanti. L’aver voluto punire i comunisti, per esempio, che hanno oltre 1000 eletti locali ha fatto perdere la sinistra francese. Ora a quella italiana fare meglio.

A sinistra le bugie sono pericolose, solo la verità è rivoluzionaria!

Qual è la situazione politica dopo le elezioni legislative?

da https://lepcf.fr/

di Pielle-Alain Millet

Il secondo turno delle elezioni parlamentari è passato, ponendo fine a un lungo periodo elettorale. Ora possiamo aprire il dibattito con franchezza sulla base dei risultati. Per tutti coloro che speravano in una svolta a sinistra dopo un mandato di Macron al servizio dei ricchi, la constatazione è brutale.

– Un numero record di astensioni [1]

– 89 deputati RN, un record storico

– solo 131 [2] deputati NUPES dopo aver organizzato una campagna per l’elezione di Mélenchon all’Eliseo, prima di limitarsi a puntare alla maggioranza relativa promettendoci un numero di deputati compreso tra 160 e 200

– 3/4 dell’assemblea a destra o all’estrema destra [3].

La sera del secondo turno delle elezioni legislative, Mélenchon, quasi trionfante, ha dichiarato che gli erano mancati solo pochi voti per avere la maggioranza relativa. Molti commentatori di sinistra hanno pensato di poter rivendicare la vittoria perché Macron non aveva la maggioranza assoluta…

Tuttavia, il fatto principale è lì. La destra ha un’ampia maggioranza e quindi ha solo problemi di ego per costruire una maggioranza fondata sul voto maggioritario a destra degli elettori…

Perché questa situazione?

È impossibile capirlo senza criticare il discorso politico costruito negli ultimi due anni da Jean-Luc Mélenchon, che ha punteggiato tutto il periodo elettorale dall’annuncio isolato della sua candidatura alla fine del 2020, giocando al massimo con la presidenzializzazione della Quinta Repubblica fino a trasformare le 577 elezioni legislative in un terzo turno delle elezioni presidenziali per eleggerlo primo ministro…

I suoi sostenitori diranno che è stato brillante nella battaglia mediatica. I suoi sostenitori diranno che è stato brillante nella battaglia mediatica. Brillante davvero, ma efficace visto il risultato? Utile visto il popolo che soffre? Utile per ricostruire una sinistra popolare? Dobbiamo ammettere che il risultato è molto lontano dalle speranze che lui stesso ha espresso nei suoi discorsi.

A rischio di essere brutale, credo che ci sia una lettura meno brillante di questi due anni elettorali. Mélenchon ha mentito prima, durante e dopo le elezioni e il risultato è un grande passo avanti a destra per la Francia e una maggiore frattura politica a sinistra con le classi lavoratrici. Mélenchon non solo è un fallimento, ma è di fatto il problema della sinistra, un vicolo cieco, e la sua persistenza nell’agitazione mediatica a scapito della costruzione popolare è pericolosa.

Mélenchon ha mentito prima delle elezioni

Dal 2017, Jean-Luc Mélenchon guida un movimento senza elezioni interne, senza organizzazione provinciale, senza leader locali. Accanto a lui esistono alcune personalità nazionali, ma questi sono solo i suoi messaggi che vengono rilanciati ovunque, ripresi da più reti.

Prima bugia. “Noi siamo il popolo”.

L’analisi elettorale delle presidenziali mostra, al contrario, fino a che punto Mélenchon divide il popolo, un popolo diviso tra l’astensione maggioritaria tra gli operai, la rabbia nera del voto RN, che è maggioritaria nelle periferie, e un voto di sinistra indebolito nelle conurbazioni. Mélenchon è un campione della comunicazione. Chiama il suo movimento Unione Popolare, anche se sa bene che la sua base militante si trova nelle classi medie urbane istruite. E guida un movimento senza congresso, senza organizzazione locale, senza democrazia interna. Dal 2017, i “gruppi di sostegno” insoumis sono spesso contrapposti, in competizione per le elezioni locali, e la nomina dei candidati assomiglia a un congresso del partito socialista… la guerra delle correnti. Questo esclude di fatto qualsiasi impianto popolare di massa. Il “movimento” è fatto solo per le elezioni presidenziali, lontano dalla formula internazionale “non c’è un salvatore supremo, produttori salviamoci da soli” [una frase de l’Internazionale in francese].

Seconda bugia: “Abbiamo un programma di rottura”.

Il programma dell’AES è un assemblaggio di tutte le contestazioni sociali e societarie [diritti individuali] che possono soddisfare tutti coloro che troveranno la propria rivendicazione. Questo è l’obiettivo, federare le proteste. Ma quando ci chiediamo come vengono soddisfatte queste richieste, è l’opacità a dominare.

– Sì alla pensione a 60 anni, ma con quanti trimestri?

– Sì al 100% SECU [la copertura di tutte le spese sanitarie], ma finanziato dal CSG [dalla fiscalità generale] o dai contributi sociali [cioè restare nella forma mutualistica attuale] ?

– Sì a un forte aumento del salario minimo, ma in termini lordi con contributi o in termini netti come spesso propongono i datori di lavoro riducendo i contributi?

E a volte gli obiettivi sono contraddittori, a seconda del capitolo che si esamina.

– Sì alla costruzione di 200.000 alloggi sociali all’anno, ma lo stesso programma limita la costruzione totale a 36.000 unità all’anno nello scenario energetico [4]?

– Sì alla rilocalizzazione industriale, ma a parte le attrezzature per le energie rinnovabili e la massificazione dell’isolamento, che dire di acciaio, metallurgia, cemento, petrolio e prodotti chimici? Dovremmo chiudere tutte le fabbriche inquinanti, come propongono alcuni? Non esiste una fabbrica priva di inquinamento! E in ogni caso, il dimezzamento del consumo energetico globale impedisce una reindustrializzazione su larga scala…

In realtà, è un programma che può sembrare efficace dal punto di vista elettorale, ma non è affatto un programma di rottura del governo. Poi, una volta al governo, la sinistra si trova di fronte al “muro del denaro” [5] ed è lì che iniziano e finiscono le cose serie, come nel 1983 con la “svolta dell’austerità” [Mitterand che rinnegò il Programma Comune con i comunisti e applicò l’austerità], o in Grecia con Tsipras e la “svolta del memorandum europeo”, o in Cile nel 1973 con il golpe fascista.

Un programma di rottura deve indicare chiaramente come prendere il controllo del sistema economico e finanziario, come superare il rifiuto della borghesia di vedere messi in discussione i propri privilegi. Nazionalizzazioni? Diritti dei lavoratori? Mettere in discussione i trattati europei… Cooperazione tecnologica e industriale con chi? Queste questioni sono assenti dal programma dell’AES perché dividono le forze sociali e i sindacati. Parliamo spesso di nucleare, ma è solo una delle tante questioni su cui non c’è consenso a sinistra tra i sostenitori della “sobrietà felice” e quelli della risposta ai bisogni popolari.

Terza bugia: “Io sono la sinistra”.

Mélenchon ha una grande esperienza politica e a volte può dire una cosa e il suo contrario. A volte ha detto che la sinistra era un concetto superato, sostituito dal “popolo”, poi ha rifatto l’unione della sinistra con la Nupes. Poco importa. Decidendo da solo la sua candidatura e invitando altri a unirsi a lui, ha stabilito fin dall’inizio un quadro di riferimento: “la sinistra può essere rappresentata solo da me” e la copertura mediatica ha fatto il resto.

Ma la realtà è che dopo aver schiacciato l’intera sinistra alle elezioni presidenziali, i suoi deputati rappresentano la metà (45%) della sinistra nell’assemblea. Vedendo il suo fallimento con 20 deputati in meno rispetto alla RN, cerca di ottenere un gruppo unico dal Nupes, scontrandosi con la realtà che la sinistra è divisa, anzi profondamente divisa, ed è … molto debole! Contrariamente a tutti i suoi discorsi, la sinistra non è debole perché è divisa, è debole perché si è allontanata dalle classi lavoratrici, che sono a loro volta divise, ed è divisa sulle cause di questa frattura e quindi sulle politiche che sarebbero necessarie per ricostruire…

Mélenchon ha costruito l’immagine di un’ unione popolare e il volantino pubblicitario di un programma di rottura, ma questa è solo comunicazione e il ritorno brutale della realtà lascia il nostro popolo disunito e in cacofonia ideologica.

Mélenchon ha mentito durante le elezioni

Prima ha detto che per vincere doveva far uscire milioni di astensionisti. Ciò è avvenuto soprattutto nella prima parte della campagna. Ma all’inizio del 2022, gradualmente, ha diretto i suoi sforzi verso le altre forze di sinistra, mettendo in dubbio la rilevanza della loro candidatura, in particolare invitando brutalmente Fabien Roussel a ritirarsi. Gradualmente ha concentrato la sua campagna sul “voto utile”, che sarebbe stato la chiave del suo successo.

La vita ha dimostrato che si trattava di una menzogna, perché questa battaglia mediatica del voto utile ha funzionato ovviamente per i primi tre candidati. In altre parole, più Mélenchon “pompava” la sinistra e saliva nei sondaggi, più Marine Le Pen schiacciava Zemmour e saliva nei sondaggi, e più Macron schiacciava Pécresse e saliva nei sondaggi… In altre parole, è stata una tattica che ha schiacciato i piccoli candidati e spinto in alto i “grandi” candidati. Considerato l’equilibrio generale del potere, che è sempre rimasto sfavorevole alla sinistra, si è trattato di una scelta tattica perdente. Macron aveva più da guadagnare da Pécresse, Le Pen aveva più da guadagnare da Zemmour e anche da tutti i determinati anti-Macron…

Mélenchon lo sapeva bene. Sapeva che questo non gli avrebbe permesso di ridurre l’astensione, né il voto RN, ma gli ha permesso di essere largamente dominante a sinistra… Ha scelto tatticamente il suo interesse politico piuttosto che affrontare l’astensione e il voto popolare RN per cercare di compensare la debolezza della sinistra.

Mélenchon ha mentito dopo le elezioni

La sera del 10 aprile 2022, Mélenchon ricorda bene il suo fallimento dopo il primo turno del 2017, quando non riesce ad accettare il fatto di aver fallito [6]. Inizia quindi la battaglia mediatica la sera delle elezioni per distrarre le domande dei militanti dalla sua persona e dalla sua strategia. Ha bisogno di un colpevole, ed è facile trovarlo: si tratta di Fabien Roussel e più in generale degli altri partiti di sinistra.

Tuttavia, basta guardare le cifre per capire che il terzo fallimento di Mélenchon non ha nulla a che fare con il candidato comunista, ma ha ragioni serie e storiche direttamente legate alle sue scelte politiche.

– Non ha ridotto l’astensione,

– non ha ridotto la rabbia popolare nera delle aree periferiche,

– non ha conquistato il voto della classe operaia, che rimane in maggioranza astensionista,

– Infine, non ha costruito l’unità popolare, mettendo invece in scena ciò che divide, questa “intersezionalità” di lotte minoritarie e talvolta settarie, come quelle che denunciano i mangiatori di carne come responsabili della crisi alimentare o ecologica…

E ha condotto una battaglia politica feroce e quasi personale contro Fabien Roussel, giocando il gioco delle contraddizioni interne al PCF. Sa bene che Fabien Roussel è diventato leader del PCF dopo un congresso movimentato, in cui la leadership uscente è stata messa in minoranza, ma in cui il testo dominante aveva solo una maggioranza relativa. Conosce bene tutti i deputati comunisti che potrebbero stare in FI piuttosto che nel PCF e che non credono più nell’autonomia del PCF. Alcuni di loro lo avevano già sostenuto alle elezioni presidenziali contro il candidato comunista, altri avevano appoggiato “ufficialmente” Fabien Roussel, ma già l’11 aprile avevano dichiarato che per le elezioni legislative dovevano esserci ovunque candidati unici.

Il risultato è che Mélenchon impone la Nupes perché i deputati e i dirigenti comunisti hanno paura di affrontare un equilibrio di potere sfavorevole. E sono i deputati comunisti quasi sicuramente eletti, quelli che hanno già un accordo con FI, soprattutto quelli che hanno sostenuto Mélenchon alle elezioni presidenziali, a spingere per l’accordo di Nupes, di cui non hanno bisogno, mentre vieta ai comunisti di fare campagna elettorale in circoscrizioni vincenti come Vénissieux. Mélenchon sta sfruttando i suoi sostenitori all’interno del PCF e sta imponendo un accordo iniquo che crea molto malcontento, ma che va tutto a suo vantaggio.

Mélenchon ha mentito per le elezioni legislative

Ha costruito quello che per qualsiasi analisi seria è un vero e proprio delirio politico “eleggetemi primo ministro” per catturare tutta l’attenzione dei media, per incentrare la battaglia sul suo nome, per giocare la carta di questa quinta repubblica presidenziale che denuncia nei suoi discorsi per usarla in pratica, come aveva fatto brillantemente il suo maestro di pensiero, François Mitterrand.

Anche in questo caso, sta mentendo e si vede, ma persiste, dimostra che potrebbe trovare un accordo con Macron, fa persino dichiarazioni da “primo ministro”, spingendosi oltre Macron sulla guerra. La campagna legislativa è ridotta a una campagna nazionale, i candidati locali non hanno una comunicazione specifica, tutto viene dall’alto, guidato dalla squadra ristretta intorno al “grande uomo”.

E il risultato è lì. È stata una grande bugia, una pubblicità ingannevole per essere precisi, perché anche se sapeva di non poter diventare primo ministro, l’annuncio ha comunque fatto parlare di sé, i media lo hanno trasmesso, insomma, la pubblicità ha funzionato.

Il risultato è una sconfitta per la sinistra che, dopo un mandato di destra, rimane a uno dei suoi minimi storici nonostante la rabbia popolare contro Macron. E la cosa peggiore è che il gruppo più grande della sinistra, quello di Mélenchon, ha 20 deputati in meno rispetto al RN. Ecco perché Mélenchon sta tentando un ultimo trucco, un’ultima bugia. Basterebbe un solo gruppo Nupes per essere in vantaggio sul RN e avere la presidenza della Commissione Finanze. Dimenticato l’accordo Nupes che avrebbe dovuto garantire un gruppo a ciascuna parte. E soprattutto abbiamo dimenticato il regolamento dell’assemblea che prevede semplicemente che il presidente della commissione finanze sia eletto dall’assemblea tra i gruppi di opposizione. Quindi non c’è alcuna possibilità che sia un deputato RN, anche con un accordo LR-RN…

Mélenchon si è costruito per se stesso, può costruirsi una fondazione in sua memoria, ma il movimento popolare è a terra, da ricostruire. Il primo passo è uscire da questa lunga sequenza di Mélenchon, che non è altro che la ripetizione in forma di farsa della sequenza di Mitterrand di cui è il prodotto. È necessario dire la verità su questa “nuova unione” di Mélenchon, che è solo l’ultima versione dell’unione della sinistra iniziata negli anni Settanta. L’unione popolare può essere costruita solo attraverso l’azione, nelle imprese e nei quartieri, e questo presuppone un immenso sforzo militante, di educazione e organizzazione popolare. Per questo, dobbiamo porre fine alle bugie di Jean-Luc Mélenchon. Dobbiamo inventare qualcos’altro. I comunisti hanno un ruolo decisivo se scelgono di dire sempre la verità al nostro popolo, di fare la scommessa dell’educazione popolare, dell’impegno di base, anche quando i rapporti di forza sono difficili.

Note:

[1] 54%, 26 milioni di astensionisti più 1,7 milioni di schede bianche o nulle per meno di 7 milioni di voti NUPES e 8 milioni per Macron

[2] 131 Nupes + 22 vari esponenti della sinistra o 133 Nupes + 20 vari esponenti della sinistra a seconda del conteggio

[3] solo 153 deputati di sinistra su 577, cioè il 26,5% per la sinistra

[4] cosa implica lo scenario negawatt

[5] come dimostra lo stesso JLM nella sua valutazione ragionata della presidenza Mitterrand

[6] per il quale, all’epoca, non poteva dare la colpa ai comunisti che non avevano un candidato.

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