Un fronte unico per la costruzione di una pace giusta e duratura

da oggi iniziamo la pubblicazione di alcune delle relazioni svolte nel forum organizzato da Marx21 il 15 e 16 aprile

di Clara Statello

C’è un aggressore ed un aggredito. Esattamente 9 anni fa, il 14 aprile 2014, il presidente ucraino Turkhinov dava inizio alla guerra nel cuore dell’Europa, firmando il via libera alla famigerata ATO, l’operazione antiterrorismo contro le città che si erano ribellate al nuovo corso ucraino del dopo Maidan. Alle proteste dei cittadini che non riconoscevano un governo filo USA composto da neonazisti, Kiev rispose con la repressione dei battaglioni punitivi neonazisti.

Inizia una guerra, che è una guerra civile, e c’è un aggredito, il popolo ucraino antifascista, ed un aggressore, il regime di Kiev. Le immagini nei TG delle colonne di carri armati ucraini in marcia per il Donbass non destarono nessuna indignazione, era come se fosse la cosa più normale del mondo, nessuno gridava all’aggressione brutale ed ingiustificata. Gli aggrediti risposero alla guerra con la richiesta di maggiore autonomia. Dopo il massacro di Odessa divenne chiaro che era stato superato un punto di ritorno, e solo allora venne indetto il referendum per l’indipendenza e proclamate le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. La secessione di questi territori è solo una conseguenza della guerra, non la causa.

La guerra divenne senza quartiere e casa per casa, esattamente come adesso, e mentre Poroshenko bombardava civili, case, ospedali, scuole in Donbass, nel resto dell’Ucraina perseguitava la resistenza di sinistra e antifascista, nonché chiunque potesse essere sospettato di simpatie “separatiste”. Il partito comunista venne messo fuori legge, l’organizzazione Borotba venne brutalmente perseguitata, le sedi dei partiti venivano prese d’assalto, occupate dai gruppi banderisti, i libri e il materiale politico dato alle fiamme. La guerra civile nei territori sotto il controllo di Kiev prosegue anche con la decomunistizzazione, l’abbattimento dei monumenti antifascisti che lasciavano il posto alle statue di Bandera. La storia veniva rovesciata: i sovietici diventavano gli occupanti, i collaborazionisti dei nazisti i liberatori. La decomunistizzazione faceva parte di un processo di cancellazione culturale che è diventato evidente solo dopo l’escalation del 24 febbraio: la de-russificazione, ovvero la distruzione della comune identità storico-culturale del popolo russo e ucraino.

Così da aprile a luglio del 2022 sono stati messi al bando circa 15 partiti dell’opposizione ucraina, alcuni legati a Mosca, come Piattaforma per l’opposizione per la Vita, la seconda forza politica del Paese, e i partiti di sinistra anti-NATO, come il Partito Comunista, che è stato messo definitivamente al bando il 7 luglio con la confisca dei beni dei suoi esponenti.

La libertà di stampa non viene semplicemente abolita ma esprimere posizioni di critica nei confronti della politica di Kiev, dare una spiegazione diversa della guerra da quella del governo, è diventato reato. Reato di collaborazionismo, reato di violazione dell’integrità territoriale, della giustificazione dell’aggressione straniera.

Inizia dunque una caccia alle streghe contro giornalisti, attivisti ed esponenti di sinistra. Il 2 marzo vengono sequestrati e torturati i fratelli Mikhail e Aleksandr Kononovich. Non si avranno notizie loro fino a giugno successivo Il giorno dopo è stato arrestato Aleksandr Matiushenko, dell’organizzazione di sinistra Lyvitsa, accusato di partecipazione alla guerra di aggressione. Il 19 marzo è stato arrestato il giornalista Yury Tkachev della rivista online Odessa Time. Il 7 marzo a Kiev sono stati arrestati il noto giornalista Dmitry Dzhanguirov, membro del partito “Novyi Sotcialism” (“Nuovo socialismo”), Vasily Volga, ex leader dell’Unione delle forze di sinistra, il giornalista Yury Dudkiny e lo scrittore Aleksandr Karevin. Ad aprile viene addirittura ucciso un blogger, Valery Kuleshov, accusato di collaborazionismo.

In base a quanto riportato dal canale Repression of leftists and dissenters in Ukraine, curato dall’attivista per i diritti umani Volodymir Chemeris, dal 24 febbraio a metà luglio 2022 ci sono stati 32.200 casi giudiziari per crimini politici e di opinione perseguitati come reati di alto tradimento, collaborazionismo con il nemico, violazione dell’integrità territoriale, sostegno all’invasione, giustificazione dell’aggressione militare. In media 277 casi al giorno. La contabilità della persecuzione è rimasta ferma al 15 luglio, perché il 19 luglio Chemerys ha ricevuto la visita dell’SBU e degli scagnozzi di Pravy Sector che lo hanno picchiato e arrestato. Chemerys ha avuto la possibilità di documentare anche l’attività dell’SBU su internet, con la creazione di canali di delazione su Telegram, attraverso cui denunciare alle autorità persone sospette di collaborazionismo o di propagandare il “mondo russo”.

Con l’arrivo di Vasily Malyuk a capo dell’SBU, responsabile della rappresaglia di massa contro civili nelle aree rioccupate di Kharkov e Kherson, questi canali stati utilizzati per diffondere le foto e i dati dei collaborazionisti. Sono stati accusati di collaborazionismo insegnanti o funzionari pubblici che hanno continuato a svolgere il proprio lavoro sotto controllo russo, volontari che hanno aiutato nella distribuzione di aiuti umanitari, imprenditori o ristoratori che hanno servito nei propri locali militari russi. Per essere denunciati su questi canali basta pubblicare un post filorusso o una bandiera dell’URSS o un simbolo comunista. In generale in Ucraina si può essere arrestati solo per portare una maglietta con la falce e martello. Tutte queste informazioni sono facilmente reperibili sugli stessi canali dell’SBU, della procura generale e sulla stampa locale.

Nel frattempo è continuato il processo di cancellazione culturale che ha preso la nitida forma di de-russificazione: sono stati abbattuti i monumenti del passato sovietico, le statue agli antifascisti che hanno dato la vita contro la peste bruna, come Zoya Kosmondeskaya, le statue di scrittori russi come Pushkin e Gorki, sono stati mandati al macero milioni di testi russi o ucraini di ogni genere, per cancellare il passato sovietico dell’Ucraina, nell’ottica di costruire una nuova identità puramente ucraina, compatibile con il nuovo ruolo che il Paese dovrà assumente all’interno della NATO. Perché dobbiamo ricordare che sullo sfondo di queste persecuzioni c’è sempre lo scenario geopolitico, la guerra della NATO contro la Russia per la costituzione del nuovo ordine di sicurezza mondiale, che in base a come procederà la guerra si consoliderà come unipolare a guida USA o multipolare, trainato dai BRICS.

Bisogna sottolineare che queste repressioni, denominate “operazioni di controspionaggio”, avvengono con il placet dell’Unione Europea e degli USA. Malyuk più volte si è riunito con gli ambasciatori UE e USA per dettagliare le operazioni, che sono diventate il fulcro dell’attività dell’SBU. L’apice del processo di de russificazione è la persecuzione della Chiesa ortodossa ucraina in comunione con il Patriarcato di Mosca – a cui sono devoti ucraini pro Kiev, soldati – portata avanti dal governo di Kiev con il benestare del patriarca Ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli. Tra novembre e dicembre abbiamo visto le immagini dell’SBU nelle principali chiese ucraine di tutte le regioni, perquisendo i locali, i sacerdoti ed i fedeli. La Chiesa è anche oggetto dei raid degli esponenti della destra radicale, come Evgene Karas, leader del gruppo neonazista C14. L’obiettivo dichiarato da Zelensky il primo dicembre è l’indipendenza spirituale dell’Ucraina, ovvero la separazione irreversibile tra identità ucraina e russa. I gruppi nazionalisti aggrediscono i fedeli creando questi corridoi della vergogna, inveendo contro le babushke e persino i bambini che vanno in chiesa con i genitori e gridando valigia, stazione, Russia. E’ chiaro che il rischio è quello che alla pulizia culturale-spirituale segua una pulizia etnica di chi non rinuncia alla sua identità e alla sua lingua a prescindere dalla propria posizione pro-Mosca o pro-Kiev.

Diventa dunque chiaro che nell’ottica della costruzione di una pace stabile e giusta, soprattutto in Europa, non è sufficiente discutere sui soggetti politici e della società civile con cui fare fronte, ma su cosa. Per porre fine alla guerra in Europa bisogna porre fine alla guerra civile in Ucraina. Sarebbe una cinica pace quella costruita sulle persecuzioni condotte dal governo di Kiev contro i civili, contro gli oppositori politici, contro la stampa, contro il cosiddetto “mondo russo”.


Un fronte per la pace non può omettere la necessità di portare solidarietà ai popoli aggrediti dal governo di Kiev nelle Repubbliche del Donbass e in Ucraina, chiedere giustizia per le vittime del governo di Kiev e sostenere la creazione di un’Ucraina davvero democratica, multinazionale, multi linguistica e multi religiosa. Al contrario, dopo il cessate il fuoco rischieremmo un regolamento dei conti con la feroce rappresaglia su milioni di ucrani che non sono filo Putin o filo Russia ma semplicemente oppositori di Zelensky o antifascisti o antimperialisti. Possiamo accettare di costruire una pace che preveda la pulizia etnica o la repressione di una larga parte del popolo ucraino?

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