Ucraina: i ponti di Xi Jinping e il gambetto di Biden

di Francesco Galofaro, Università di Torino

Il 4 marzo Wang Wenbin, vicedirettore del Dipartimento dell’informazione del Ministero degli esteri cinese, rispondendo alle critiche americane sull’adesione della Cina alle sanzioni promosse da Washington, ha posto tre domande agli USA: 

1) Gli Stati Uniti hanno affermato che promuovere l’espansione della NATO è per il bene della pace. Ha raggiunto questo obiettivo? 

2) Gli Stati Uniti hanno affermato che avrebbero impedito la guerra in Europa. Lo ha fatto? 

3) Gli Stati Uniti hanno affermato di essere impegnati per una soluzione pacifica della crisi. Ma oltre a fornire aiuti militari e aumentare la deterrenza, cosa ha fatto la parte statunitense per la pace?

La posizione cinese sul conflitto tra Russia e Ucraina, volta a favorire un’intesa politica che soddisfi entrambe le parti, ha dato adito a diverse interpretazioni. C’è chi accusa Xi Jinping di aver ordito con Putin un complotto per dominare il mondo; c’è chi vede una netta presa di distanza da Putin nell’astensione della Cina sulla risoluzione ONU di condanna alla Russia. In realtà gran parte della confusione si deve alla inaccettabile saldatura propagandistica tra i dirigenti politici dei Paesi NATO e i propri media. Personalmente, la mia valutazione è questa: la Cina ha solo vantaggi nell’auspicare e favorire una soluzione pacifica e politica del conflitto in atto. La Via della seta passa anche per l’Ucraina, e il conflitto ha reso l’Europa più isolata e lontana da Pechino. Per lo stesso motivo, sono fermamente convinto che l’interesse di quella parte della NATO e dell’Unione Europea che al momento hanno prevalso nella dialettica interna sia un prolungamento senza termine della guerra, anche a costo di un’ulteriore pericolosa escalation. La differenza tra UE e Cina in queste ore è la stessa che c’è tra piromani e pompieri.

Fin dal primo incontro diretto tra Russi e Ucraini per trattare, Wang Wenbin ha auspicato che i colloqui di pace proseguissero, e che si trovi una soluzione politica al conflitto. Solo questa via può portare a un sistema che garantisca sicurezza, pace e una stabilità duratura. Al contrario, fin da principio i media europei hanno dato per scontato un esito negativo dei colloqui, minimizzando i piccoli progressi compiuti sotto un profilo umanitario, preferendo dar voce ai discorsi più aggressivi senza cogliere il punto: il fatto stesso che si mantenga un canale diplomatico diretto aperto è un fatto positivo. Allo stesso modo, con l’eccezione di Macron, nessun leader accetta oggi di discutere con Putin, chiudendo di fatto ogni spazio a progressi nel negoziato. Anche dal punto di vista della comunicazione, dobbiamo concludere che siamo già in guerra. Favorire la pace vuol dire tenere in considerazione i punti di vista di entrambe le parti in conflitto. Occorre rispondere alle legittime preoccupazioni di tutte le parti in materia di sicurezza: certamente, quelle di Paesi come Polonia, Romania e paesi baltici, ma anche quelle russe. Se oggi la Polonia ha le truppe russe alle porte e è invasa da profighi, è proprio in conseguenza della scelta di ospitare truppe e armamenti della NATO oltre agli inviti a inviare armi nucleari. Si sente più sicuro, il governo di Varsavia? 

Va denunciata anche la posizione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen volta a censurare i mezzi di informazione russi Russian TV e Sputnik. Con essa si dice: non è importante se ciò che dice il nemico sia vero o falso, perché in ogni caso il suo punto di vista è “tossico”. I nostri giornalisti si sono già messi l’elmetto e raccontato solo due tipi di storie: racconti dell’orrore sulle truppe russe e racconti di eroismo, mostrando minorenni che partono volontari, giovani che fabbricano molotov e bambini coi Kalashnikov.

Consideriamo la posizione dell’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Zhang Jun, che ha chiesto sforzi per creare una condizione favorevole ai negoziati diretti sulla crisi ucraina e ha messo in guardia contro la politicizzazione dell’assistenza umanitaria alla nazione dell’Europa orientale. A fronte di questa giusta preoccupazione, cosa fa l’Unione europea? Non invia farmaci e cibo, ma armi. Inviare armi in risposta a un’emergenza umanitaria è mandare pallottole a chi chiede pane, mine a chi chiede un tetto. Quanto alla posizione dell’ONU, c’è chi addirittura chi, come gli inglesi, ha fatto circolare la voce di una possibile espulsione della Russia dal consiglio di sicurezza. È chiaro che una mossa del genere sarebbe volta a liquidare l’ONU, proprio come accadde quando, nel 1939, l’Unione sovietica fu estromessa dalla Società delle nazioni, atto che ne sancì la fine. 

Come l’ambasciatore cinese, anch’io credo che il solo modo perché l’Ucraina possa divenire la chiave della stabilità della regione sia giocare il ruolo di ponte di comunicazione tra l’Est e l’Ovest, e non di avamposto della NATO. L’approccio della UE invece, sembra volto a esacerbare le tensioni, come accade anche le proposte di includere in tutta fretta Ucraina (e perfino la Georgia) nella UE. Si è molto speculato sul fatto che, nella dichiarazione dell’ambasciatore, egli abbia ricordato che la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi debbano essere rispettate, come anche gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite. Questa dichiarazione suona come una condanna implicita dell’invasione russa. D’altro canto, in questi anni la dottrina del rispetto della sovranità è sempre stata la risposta cinese a ogni ingerenza, golpe, “missione di pace” americana o NATO portate avanti con la scusa della difesa dei diritti umani. Sia detto per inciso, negli ultimi otto anni la comunità internazionale non ha avvertito necessità di difendere a oltranza dei diritti umani della popolazione civile in Donbass.

I Paesi europei stanno ristrutturando le proprie economie per isolare la Russia. Anche questo è il segno che siamo già in guerra. Si è presa la decisione di amputare le nostre relazioni economiche e pregiudicare una ripresa già difficile dal contesto pandemico; poco importa se il prezzo dell’energia è aumentato del 40-50%, se il tasso di inflazione ha superato il 5%, se i beni alimentari sono aumentati del 4,5%: le famiglie italiane pagheranno i costi di questa guerra. Dai tempi di Kant è chiaro a tutti che l’interconnessione economica scoraggia le guerre. Al contrario, interrompere le relazioni economiche vuol dire rendere la guerra più probabile.

Per capire la scommessa rischiosa degli USA e della Ue ricorro a un tema tattico degli scacchi: il gambetto. Negli scacchi, un giocatore offre un gambetto a un avversario quando gli permette di catturare a gratis un pedone. L’avversario guadagna un vantaggio materiale immediato, mentre il giocatore ritiene di ricavarne un vantaggio strategico sul medio periodo: soprattutto, iniziativa e spazio di manovra per il proprio schieramento. In questa prospettiva, Biden ha offerto un gambetto alla Russia, chiarendo in ogni discorso ufficiale che non avrebbe inviato un solo uomo in Ucraina. Biden ha dato alla Russia un messaggio di questo tipo: noi non negoziamo, ma tu puoi provare a prendere l’Ucraina, perché non reagiremo su un piano militare. Cosa guadagnano gli USA? Se prima la UE era apertamente divisa tra falchi e colombe sui negoziati, ora, almeno in apparenza, ha prevalso la posizione belluina. Se i giornali di Washington accusavano l’Italia di perseguire il dialogo per assicurarsi forniture energetiche ed esportazioni, oggi Draghi è in prima fila nelle genuflessioni filoatlantiche. L’UE si è già potenzialmente trasformata in un mercato privilegiato per le costose materie prime, fonti energetiche ed eccedenze di merci dell’arrugginita economia americana. Perché lo rimanga, è importante che l’Ucraina si trasformi in una palude, un altro Afghanistan. Gli USA e i loro alleati vogliono la guerra per procura, favoriscono l’escalation, riempiono l’Ucraina di armi e di mine e scoraggiano ogni iniziativa di pace. Dal loro punto di vista, le migliaia di morti, le decine di migliaia di feriti, le centinaia di migliaia di profughi di queste ore valgono quanto un pedone degli scacchi.

Per tutte queste considerazioni credo che la posizione migliore politica da tenere oggi in Italia sia quella per la pace, volta a unire quanti, laici e credenti, sono per il dialogo tra le parti, la mediazione, contro l’escalation, le forniture di armi, il muro contro muro. Dobbiamo convincerci che la sicurezza regionale si affida al disarmo e non all’espansione dei blocchi militari. Dobbiamo adoperarci anche noi per mettere in atto, in Europa, un meccanismo di sicurezza equilibrato, efficace e sostenibile, in modo da raggiungere una pace e una stabilità durature nel continente europeo.