Turchia e Serbia: manifestazioni spontanee o “rivoluzioni colorate”?

ataturk turchia

Rispetto a quello che sta succedendo in Turchia e Serbia riteniamo giusto pubblicare questo interessante contributo per proseguire il dibattito

di Maria Morigi

In marzo ad Istanbul, Ankara, Smirne e altre città turche sono scesi in piazza centinaia di migliaia di manifestanti per esprimere la loro opposizione al governo di Erdoğan. 1400 arresti solo tre settimane fa. A scatenare l’ondata di protesta è stato l’arresto il 23 marzo di Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, con l’accusa di corruzione. Secondo Ezgi Basarn, politologa della Oxford University, che ha potuto accedere ai capi di imputazione, le accuse contro Imamoglu sono basate su testimonianze anonime, mancano di prove concrete e nessun file in mano al Pubblico Ministero può dimostrare reati finanziari. E già nel 2019 si era tentato di togliere dalla scena politica Imamoglu dopo che aveva vinto le elezioni amministrative contro il candidato di Erdoğan.

Eppure, diciamolo, a noi fa comodo la politica estera di Erdoğan che, intervenendo al  Antalya Diplomacy Forum(Forum annuale, 11-13 aprile 2025), propone se stesso come pilastro di stabilità affermando che la Turchia è essenziale per la sicurezza europea, addirittura in grado di superare le divisioni geopolitiche sull’Ucraina, la Siria e l’ondata di dazi statunitensi .”È diventato chiaro ancora una volta che la sicurezza europea è impensabile senza la Turchia. La Turchia è pronta ad assumersi la responsabilità della sicurezza europea anche in futuro“, ha detto Erdoğan all’apertura dei lavori. Ecco così spiegato perché, all’indomani delle manifestazioni di marzo, è stata subitamente ripresa l’etichetta della “rivoluzione colorata” utile a screditare le proteste spontanee di ogni latitudine e origine, le quali sarebbero pilotate e finanziate dagli interessi che fanno leva sulle metafisiche questioni di democrazia e diritti umani tanto gradite all’opinione pubblica occidentale.

A mio avviso – e so di contraddire quanto scritto da molti amici e compagni – queste accuse di rivoluzione colorata provengono da analisi spesso riduttive e semplificatorie di situazioni ben più complesse in cui si intrecciamo mosse sulla scacchiera della politica estera e oggettive situazioni di profondo disagio all’interno del Paese (ad esempio in Turchia: minoranze osteggiate e perseguitate, volontà di eliminare concorrenti politici, censura dell’informazione, limitazione della libertà di insegnamento, imbrogli governativi su progetti e appalti di pianificazione urbana e ricostruzione post-terremoto ecc.)

Guardiamo ora alla Serbia dall’osservatorio di Trieste, città che accoglie una storica e numerosa comunità serba. La notte del 24 marzo 1999 Trieste ammutolita vide il passaggio dei bombardieri che colpirono Belgrado (operazione Allied Force NATO). Inoltre la memoria storica della città non ha mai dimenticato i bombardamenti americani del 1944 (2) e l’opinione pubblica è sensibile a ciò che riguarda la ex-Yugoslavia e i problemi balcanici, con posizioni largamente condivise in area centro-sinistra ed europeista; inoltre nessuno ignora la stretta dipendenza e lo storico legame tra Belgrado e Mosca.

Ma veniamo ai fatti: in Serbia, alle oceaniche proteste studentesche che dal novembre 2024 paralizzano il Paese dopo il crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad (morte 15 persone), si sono aggiunte le elezioni in Kosovo dello scorso 9 febbraio che hanno smascherato un sistema di ingerenze occidentali e di politiche destabilizzanti orientate a colpire la comunità serba. Lo scorso marzo il presidente serbo Vućič è tornato a fare infiammati discorsi su secessionismo e separatismo in Vojvodina. E poi le minacce della NATO e di Trump… ed ecco che lo scenario riconoscibile diventa quello di “rivoluzione colorata” secondo cui i manifestanti (da ormai 6 mesi) beneficerebbero di finanziamenti con lo scopo di colpire l’area geopolitica di alleanza filo -russa. In realtà vari articoli pubblicati lo scorso febbraio denunciano che Il governo serbo è sotto pressione di ricatti economici da parte della UE, con Belgrado che col sostegno di Mosca lotta per salvaguardare diritti, identità storica, sovranità, integrità territoriale della Serbia e la risoluzione della questione dellaprovincia del Kosovo e Metohija in conformità con la Costituzione della Serbia. Un quadro confermato dal comunicato del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali (1).

Tuttavia, tenendo conto di quanto espresso nel Forum di Belgrado, emerge la “insufficienza” della definizione di “rivoluzione colorata” poiché i motivi segnalano piuttosto una gravissima crisi interna:

1- Sei mesi di mobilitazioni studentesche autogestite e indipendenti da partiti esistenti;

2- Vučić è denunciato come colpevole di aver falsificato le elezioni;

3- Le proteste riguardano: corruzione e scandali a tutti i livelli parlamentari e istituzionali, mafie e appalti, mancate misure di sicurezza, censura, nessuna informazione accessibile sui media;

4- UE è del tutto assente e disinteressata alle richieste degli studenti di democrazia e diritti e alle soluzioni territoriali per Kosovo e altre zone.

5- Attenzione ai rapporti con Cina e accordi BRI (Il crollo della pensilina di Novi Sad che ha dato il via alla protesta studentesca è avvenuto sulla ferrovia che costituisce il tratto della BRI, progetto ormai realizzato della Via della Seta… anche se la manutenzione della stazione non spetta ai cinesi).

A tutto ciò si aggiunge la questione Litio: più di 20 anni fa il gruppo anglo-australiano Rio Tinto ha scoperto il più grande giacimento di litio in Europa, nella valle di Jadar, nella Serbia occidentale. La miniera è in grado di produrre fino a 58.000 tonnellate di litio all’anno, sufficienti ad alimentare più di un milione di veicoli elettrici, dando lavoro a circa 1.200 persone e con l’indotto ad altre 4.000; si è parlato addirittura di 20mila posti di lavoro nelle nuove fabbriche di batterie e componenti per auto elettriche.

L’estrazione del litio è un processo estremamente inquinante e per questo la mobilitazione è grande con tanto di iniziativa popolare firmata da 38mila cittadini (mai portata all’odg in parlamento) che chiede il divieto dell’estrazione del litio. In agosto 2024 il governo serbo ha rilanciato il progetto di estrazione di litio “Jadar” dopo averlo bloccato nel 2022. In luglio 2024, durante un vertice “sulle materie prime critiche” è stato firmato un “memorandum d’intesa” col quale l’UE e la Serbia si sono impegnati a creare una catena di approvvigionamento del litio reciprocamente vantaggiosa. Secondo Vučić, il litio serbo sarà esportato già a partire dal 2028 principalmente sotto forma di batterie e componenti realizzati in Serbia, e sarà venduto solo a partner europei, “nonostante l’interesse dei produttori cinesi”. “Non ci sarà alcun progetto senza una protezione totale [dell’ambiente], e porteremo qui i migliori esperti d’Europa”, ha detto il presidente Vučić, tuttavia non pare sia riuscito a rassicurare le migliaia di persone che hanno manifestato a Valjevo. 

La popolarità dell’UE è appena crollata nuovamente in Serbia. Bruxelles non vuole mettere in pericolo l’ecosistema e la salute dei suoi abitanti, ma non ha problemi a farlo qui da noi”, afferma un professore della Facoltà di Scienze Forestali di Belgrado. Infatti i serbi contrari al progetto temono l’inquinamento del fiume Jadar (affluente della Sava, che attraversa Belgrado), denunciano la distruzione di centinaia di ettari di terreni agricoli e lo sfollamento forzato degli abitanti. La mancanza di trasparenza nelle fasi del progetto e nella comunicazione suscita l’indignazione dell’opinione pubblica anche contro l’UE che si può permettere di barattare la democrazia e lo Stato di diritto con il litio. Il cantiere di Rio Tinto nella valle dello Jadar è però solo la punta dell’iceberg perché ci sono oggi decine e decine di località in cui diverse imprese stanno cercando – con manovre occulte e illegali – permessi in nero per lo sfruttamento del litio. Forse è per questo che la società serba è unita e reattiva sull’argomento. E ormai una barricata divide su un lato il popolo serbo, sull’altro lato il governo che appoggia le mafie di Rio Tinto.

Queste osservazioni rendono ai miei occhi poco plausibile e non esauriente la definizione – soprattutto per la Serbia – di “rivoluzione colorata”, che vedo come una categoria un po’ troppo generica e teorica di analisi geopolitica.

Note:

(1) Belgrado, 30 gennaio 2025. https://www.marx21.it/internazionale/comunicato-stampa-del-forum-di-belgrado-per-un-mondo-di-egualisulla-situazione-in-serbia/

(2) Trieste fu bombardata dagli americani il 10 giugno 1944 e il 7 dicembre 1944. Il 10 giugno 1944 Circa 100 fortezze volanti statunitensi sganciarono circa 300 bombe – anche del tipo incendiario- da 4.000 metri di altezza in quattro ondate. Furono colpiti snodi ferroviari, impianti del porto e industriali, abitazioni di civili e piccole industrie. Ci furono circa 4.000 sinistrati, più di 450 vittime e oltre 1.000 feriti. Il giorno 7 dicembre un aereo di ritorno dalla Germania che non aveva sganciato il suo carico, quella notte lo fece sulla città colpendo la zona tra Piazza del Perugino – Via Molino a Vento e Viale Terza Armata. 13 vittime.

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