di Maria Morigi
Dopo il gran parlare dei diritti umani calpestati in Xinjiang, ecco che, per aggredire e accusare la Cina, si rifanno vivi i difensori del Tibet libero, gente che credevo ormai scomparsa e zittita, specie dopo aver visto con gli occhi la reale situazione in Tibet.
Il 4 aprile 2023 viene pubblicato (China Files) l’articolo di Alessandra Colarizi dal titolo “L’Onu riaccende i riflettori sul Tibet” in cui il protagonista è Penpa Tsering presidente del parlamento tibetano in esilio dal 2008 al 2016 e secondo sikyong (presidente) eletto dell’amministrazione tibetana centrale dopo il ritiro politico nel 2011 del 14° Dalai Lama .
Penpa Tsering denuncia al Congresso americano (videoconferenza del 28 marzo della Commissione esecutiva sulla Cina) la “assimilazione cinese del Tibet” : “La lingua, la religione e la cultura tibetane, che sono il fondamento dell’identità tibetana, stanno affrontando una minaccia senza precedenti di eradicazione…” Il motivo per cui non sentiamo più parlare di Tibet va attribuito al “sistema orwelliano della Cina” che “fa uso di tutti i mezzi di intelligenza artificiale per sorvegliare le persone, controllare il flusso di informazioni e il blocco del Tibet verso il mondo esterno”… “se la RPC non verrà costretta a invertire o cambiare le sue attuali politiche, il Tibet e i tibetani moriranno sicuramente di una morte lenta”.
L’autrice del testo, schierata con le vittime tibetane, ricorda che Washington, preoccupata sentitamente dei diritti umani violati dalla Cina “a partire dal 2020 non solo ha introdotto una legge (Tibetan Policy and Support Act). Ha persino dispensato sanzioni contro l’ex segretario del partito del Tibet, Wu Yingjie, e il capo della polizia locale ai sensi del Global Magnitsky Human Rights Accountability Act“. A questo proposito, perdonate la mia ignoranza ma non so cosa sia questo Global Magnitsky e soprattutto non ne capisco l’ autorità … a me pare la potenza dell’interferenza!
Ma ora è la volta delle Nazioni Unite a non rimanere indietro nelle denunce e così secondo il rapporto “China: UN experts alarmed by separation of 1 million Tibetan children from families and forced assimilation at residential schools” (06 February 2023), circa un milione di bambini tibetani sarebbe stato “strappato alle famiglie”, ufficialmente per motivi di studio per essere inseriti in collegi statali dove sono costretti a completare corsi di “istruzione obbligatoria” in mandarino. Secondo il rapporto, le politiche di sinizzazione imposte dal governo centrale agirebbero a livello culturale, religioso e linguistico.
Da parte mia, che mi sono più volte occupata di politiche scolastiche in Xinjiang e Tibet, faccio presente che il sistema scolastico cinese prevede – rigorosamente – il bilinguismo nelle aree abitate dalle minoranze etniche, con programmi adeguati e approvati dalle assemblee delle comunità locali e un’accurata e periodica formazione degli insegnanti presso le più importanti Università della RPC.
Forse il sikyong Penpa Tsering è troppo giovane per ricordare quale era lo stato dell’istruzione, prima che il 28 marzo 1959 il Tibet venisse liberato dalla schiavitù della gleba, e prima che in settembre 1965 l’Autonomia fosse riconosciuta alla Regione Tibet-Xizang come Provincia a statuto speciale con l’elezione del proprio Comitato popolare. In Tibet, che prima di quelle date era uno Stato teocratico e feudale, c’erano solo scuole di monastero per pochi previlegiati e analfabetismo per il resto della popolazione. Inoltre nel 1984, il governo centrale ha promulgato e attuato la Legge sull’autonomia etnica regionale, tanto che “Dopo decenni di sperimentazione e lavoro pratico, le persone di tutti i gruppi etnici in Tibet hanno costruito relazioni etniche caratterizzate da uguaglianza, unità, sostegno reciproco e armonia.” (da Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese http://www.scio.gov.cn).
Comunque se qualcuno è interessato a scavare tra accuse e diffamazioni a carico della RPC, può leggere il lavoro in cui mi occupo delle accuse di persecuzione dell’Islam e cito ampiamente fonti giornalistiche, asservite alla propaganda dei Diritti Umani, che intorbidano le acque, interferiscono e rendono difficile la comprensione della realtà.
A proposito: in Tibet, a Lhasa, da circa mille anni c’è una piccola comunità musulmana, con quattro moschee, scuole e mercato. La comunità gode del riconoscimento statale di identità religiosa (non etnica perché di numero esiguo). E nella madrasa si insegna l’arabo senza divieti.
Unisciti al nostro canale telegram