Talassocrazia, contenimento e corsa allo spazio

di Massimiliano Romanello

da https://www.lafionda.org/

Nel 1942, il giurista e filosofo tedesco Carl Schmitt propose una peculiare rilettura della storia del mondo, secondo una fondamentale contrapposizione tra due elementi: Terra e Mare. L’omonima opera, dedicata alla figlia Anima, presenta numerosi esempi di conflitti tra potenze continentali, come Sparta o Roma, e marittime, come Atene o Cartagine. La riflessione di Schmitt si sofferma in particolare sull’età delle esplorazioni geografiche, quando varie nazioni europee, come Portogallo, Spagna, Francia e Olanda, si impegnarono nella navigazione, nella conquista e nella colonizzazione di nuovi territori. Tra tutte però, soltanto l’Inghilterra raggiunse il dominio globale, per mezzo di una vera e propria “rivoluzione spaziale” dalle profonde conseguenze.

Prima tra tutte, nell’arte militare. Nel corso della guerra anglo-spagnola infatti, navi a vela specializzate nel combattimento balistico a distanza si contrapposero, con successo, ai vascelli del regno cattolico, che puntavano invece all’abbordaggio e alla conquista della flotta nemica. Parallelamente, mentre gli spagnoli colonizzavano il continente americano e “si esaurivano in questa grande occupazione territoriale” [1], i corsari inglesi ne catturavano le navi cariche d’argento, assumendo così il controllo delle rotte oceaniche. L’importanza della guerra di corsa è magnificamente compendiata nell’affermazione di Sir Walter Raleigh: “Chi domina il mare domina il commercio del mondo e a chi domina il commercio del mondo appartengono tutti i tesori del mondo e il mondo stesso”.

C’è qui un secondo aspetto da evidenziare, un legame intimo che accomuna esistenza marittima e progresso tecnico. Secondo Schmitt infatti, la nave rappresenta il perenne movimento, rivela agli uomini un orizzonte di tipo nuovo, in cui sviluppare un “diverso tipo di relazioni sociali tanto tra loro quanto verso il mondo esterno” [2]. L’uomo di mare è dedito al commercio, al traffico oceanico, quindi al perseguimento del profitto. In età elisabettiana, i nuovi “corsair capitalists” contribuirono all’affermazione del mercantilismo capitalistico, che fu in parte alimentato dalle ricchezze che dalle colonie spagnole affluirono nell’economia inglese [3]. Citando un altro illustre filosofo tedesco, “l’oro e l’argento dell’America inondarono l’Europa e penetrarono come un elemento disgregatore in tutti i vuoti, le fessure e i pori della società feudale” [4], fornendo così un determinante impulso all’origine del moderno capitalismo, quindi alla prima rivoluzione industriale. Grazie al passaggio da un’esistenza di terra ad una di mare, “libero mare e libero mercato mondiale si combinarono” nella “superiorità industriale ed economica dell’Inghilterra”, nella sua talassocrazia e nel suo dominio del mondo [5].

Con le due guerre mondiali, il dominio globale si è inevitabilmente spostato verso il protagonista della nostra storia, gli Stati Uniti. Nell’estate del 1953, poco dopo la morte di Stalin, il presidente americano Dwight Eisenhower, preoccupato per il crescente bilancio militare e per l’approccio militarista assunto in politica estera nei confronti dell’Unione Sovietica, organizzò, nella sala del Solarium alla Casa Bianca, una serie di incontri di alto livello tra personale politico, militare, accademico e diplomatico. L’obiettivo era di individuare la strategia più efficace per ottenere la “definitiva ritrazione e riduzione del sistema sovietico fino al punto di non costituire più una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti” [6].

Nel corso del progetto Solarium diversi gruppi di analisti si dedicarono alla formulazione di  proposte alternative. Il team guidato dal diplomatico George Kennan presentò una strategia di lungo termine, il containment, basata sul sostegno economico verso una fitta e coesa rete di alleanze, su una forte presenza militare, su azioni segrete e pressioni politico-diplomatiche per costruire “posizioni di forza” in tutto il mondo occidentale [7]. Approccio per certi versi antitetico rispetto al roll-back, di cui erano interpreti l’ammiraglio Connolly, nonché il Segretario di Stato John Foster Dulles, che consisteva invece nell’intervento militare, diretto o clandestino, volto a forzare un cambiamento nelle principali politiche dei paesi ostili, per sostituirne quindi il regime al potere. Da quel momento, il containment divenne il fulcro della politica estera statunitense nei confronti dell’Unione Sovietica, con una linea di faglia tra Stettino e Trieste, a dividere l’Europa occidentale, fortemente integrata nella NATO, dal resto del continente. Linea di faglia che oggi passa drammaticamente attraverso i confini dell’Ucraina, teatro della contrapposizione geopolitica tra Russia e Stati Uniti. Potenza di terra, contro potenza di mare. 

Talassocrazia e contenimento costituiscono i due elementi necessari per inquadrare correttamente l’odierno contesto geopolitico. Con la fine della guerra fredda ed il crollo dell’URSS infatti, gli Stati Uniti sono riusciti ad imporre un ordine mondiale unipolare, di cui sono diretta conseguenza la globalizzazione e la sua variante economica, il neoliberismo. Negli ultimi anni tuttavia, la Repubblica Popolare Cinese è divenuta un partner commerciale fondamentale per un crescente numero di Paesi, sperimentando una forte crescita economica, sostenuta in parte proprio dalle esportazioni. L’ascesa della Cina ha portato all’emersione di un nuovo rivale sistemico, che richiede di riorientare ed aggiornare le vecchie strategie di contenimento. Un riferimento particolare va alla island chain strategy (strategia della catena di isole), formulata nel 1951 da John Foster Dulles, e basata su archi concentrici di atolli e stretti marittimi, che hanno il loro perno nell’isola di Taiwan e nella base militare di Guam. Gli Stati Uniti, da potenza di mare, talassocratica, presidiano militarmente i principali stretti attraverso cui transita il commercio internazionale, tra cui lo Stretto di Formosa, lo Stretto di Malacca e lo Stretto di Luzon, vitali per collegare il porto cinese di Shangai al mercato occidentale. Il loro controllo fornisce un formidabile strumento di interdizione in caso di conflitto. Le categorie introdotte da Schmitt facilitano in questo caso la comprensione giacché, secondo il giurista, “alla base della guerra di mare sta invece l’idea che debbono essere colpiti il commercio e l’economia del nemico”, concetto esteso non solo all’“avversario combattente”, ma anche ad ogni “Stato o cittadino che commercia col nemico e ha con lui relazioni economiche”. Non possono che tornare alla mente le guerre commerciali e le sanzioni economiche unilaterali, tanto care alla politica estera statunitense, così come altri mezzi come l’embargo, “il bombardamento e il blocco navale delle coste nemiche e la confisca, secondo il diritto di preda, del naviglio commerciale nemico e neutrale” [8]. La rottura del contenimento è pertanto una questione prioritaria per la Repubblica Popolare Cinese, che non a caso sta investendo numerose risorse in progetti destinati all’integrazione economica del continente eurasiatico, come la Belt and Road Initiative. In tale contesto, l’isola di Taiwan assume il ruolo particolarmente importante di “portaerei inaffondabile”, in grado di assicurare alla Cina il pieno accesso all’Oceano Pacifico.

Proprio qui si consumò una crisi dalle importanti conseguenze. Nel 1996 l’Esercito Popolare di Liberazione lanciò tre razzi verso l’isola, come segno di protesta per la visita del presidente taiwanese Lee Teng-hui negli Stati Uniti. Durante l’esercitazione militare, si persero le tracce del secondo e del terzo missile: il segnale GPS che li guidava era stato disattivato. Per Pechino si trattò di una “umiliazione indimenticabile”, che spinse il governo cinese ad accelerare nella realizzazione di un proprio sistema di navigazione satellitare, il BeiDou [9]. Da quel momento divenne a tutti evidente che la strategia del contenimento poteva estendersi anche allo spazio extra-atmosferico. Il GPS garantisce infatti la supremazia economica degli Stati Uniti, poiché permette di sincronizzare i tempi delle transizioni finanziarie e di localizzare le attività delle compagnie di trasporti ed aeree [10]. Inoltre, rende possibile il funzionamento dei missili convenzionali a lungo raggio e dei sistemi a guida di precisione, senza i quali le capacità militari statunitensi risulterebbero inevitabilmente degradate.

I sistemi di posizionamento come il BeiDou e il GPS si trovano nelle Medium Earth Orbits (MEO, Orbite Terrestri Medie), situate tra i 2000 e i 36000 chilometri di quota. Più in basso, nelle Low Earth Orbits(LEO, Orbite Terrestri Basse), cioè tra i 200 e i 2000 chilometri dal nostro pianeta, transitano invece i satelliti spia e le costellazioni internet satellitari, come Starlink, che ha trovato largo impiego nel corso del conflitto in Ucraina.

Anche per questo motivo, paesi come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e l’India stanno sviluppando capacità di counterspace per neutralizzare le reti satellitari nemiche, sia sotto forma di missili antisatellite (ASAT), che di disturbatori terrestri e di sistemi coorbitali. Ci troviamo dinanzi ad una vera e propria fase di militarizzazione dello spazio extra-atmosferico, entrata nel vivo durante la presidenza Trump, con l’istituzione della United States Space Force, il ramo delle forze armate statunitensi specializzato nell’astronautica militare. Il suo obiettivo è preservare la space superiority, ovvero la possibilità di “condurre operazioni senza interferenze da parte dell’avversario, negando al contempo a quest’ultimo la medesima libertà di azione” nel dominio spaziale [11]. Una condizione che permette di incrementare la quantità e l’efficacia delle operazioni militari possibili e di raggiungere  posizioni di vantaggio rispetto ad eventuali avversari. Tale consapevolezza è da tempo presente nella classe dirigente degli Stati Uniti [12] ed ha portato il governo federale ad identificare la libertà di accesso e di movimento nello spazio esterno come un “interesse nazionale vitale” [13].

In un simile scenario, il controllo delle LEO assume una valenza strategica. Riprendendo le categorie schmittiane, possiamo infatti immaginare la Terra come un singolo porto, immerso in un vasto e sconfinato oceano cosmico. Le orbite basse sono i suoi colli di bottiglia, rotte marittime che devono necessariamente essere attraversate per avere accesso allo spazio extra-atmosferico. Satelliti militari posizionati lassù possono facilmente rilevare le scie di calore dei razzi in ascesa, ed eventualmente abbatterli [14]. L’ipotesi di un contenimento spaziale non è più così remota. Anzi, l’epoca della cooperazione tra superpotenze sembra essere destinata a cedere il passo ad una nuova fase di competizione nel settore, alimentata dalle tensioni geopolitiche odierne. Una preoccupazione recentemente espressa anche dal direttore del programma di esplorazione lunare cinese, Ye Peijian: “Abbiamo perso il nostro diritto sul mare durante la dinastia Ming. L’Universo è un oceano, la Luna rappresenta le isole Diaoyu, Marte è l’atollo Huangyan. Se non andiamo lì ora pur essendone capaci, saremo criticati dai nostri discendenti. Se altri vi andranno, allora ne prenderanno il controllo e non saremo in grado di arrivarci neanche se lo vorremo” [15]. Possiamo quindi concludere con una citazione tratta da Astropolitik, di Everett Dolman, del tutto speculare a quella pronunciata secoli prima da Sir Walter Raleigh: “Chi controlla l’orbita terrestre bassa controlla lo spazio vicino alla Terra. Chi controlla lo Spazio vicino alla Terra domina la Terra. Chi domina la Terra determina il destino dell’umanità”.


Note:

[1]C. SCHMITT, “Dialogo sul nuovo spazio”, in  Dialogo sul potere, Milano 2012, Adelphi.

[2]C. SCHMITT, “Dialogo sul nuovo spazio”…, cit.

[3]E. GALEANO., Le vene aperte dell’America Latina, Milano 2013, Sperling & Kupfer.

[4]F. ENGELS, Antiduhring, Roma 1971, Editori Riuniti.

[5]La conclusione dell’opera di Schmitt è affidata ad citazione tratta dai Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel: “Come per il principio della vita familiare, è condizione la terra fondamento e terreno stabile, così il mare è per l’industria l’elemento naturale che la stimola verso l’esterno”, citato in C. SCHMITT., Terra e mare: Una riflessione sulla storia del mondo, Milano 2003, Adelphi.

[6]    Editoriale di Limes, Se crolla la Russia, n. 6/21.

[7]Cfr. Editoriale di Limes, Se crolla la Russia … cit. Si veda anche K. WEISBRODE, A tale of three Cold Warriors, in Nato Review, https://www.nato.int/docu/review/articles/2006/03/01/a-tale-of-three-cold-warriors/index.html.

[8]C. SCHMITT., Terra e mare: Una riflessione sulla storia del mondo …, cit.

[9]M. CHAN, ‘Unforgettable humiliation’ led to development of GPS equivalent, in South China Morning Post, https://www.scmp.com/article/698161/unforgettable-humiliation-led-development-gps-equivalent, citato in G. CUSCITO, “Per ambire al cosmo Pechino deve controllare i mari cinesi”, in Limes, Lo spazio serve a farci la guerra, n. 12/21.

[10]M. SPAGNULO, Geopolitica dell’esplorazione spaziale. La sfida di Icaro del terzo millennio,Soveria Mannelli 2019, Rubettino.

[11]Space Capstone Publication, Spacepower, Doctrine for Space Forces”, United States Space Force, 2020.

[12] Nel 1958 il senatore, poi presidente, Lyndon B. Johnson dichiarò: “C’è qualcosa di più importante di qualsiasi arma definitiva. Si tratta della posizione definitiva – la posizione di controllo totale sulla Terra che si trova da qualche parte nello spazio”. O ancora John F. Kennedy, durante la campagna presidenziale del 1960: “Se i sovietici controllano lo spazio possono controllare la Terra, come nei secoli passati la nazione che controllava i mari dominava i continenti”.

[13]Space Capstone Publication…”, cit.

[14]E. C. DOLMAN, “Mahan negli astri: perché l’America va nello spazio”, in Limes, Lo spazio serve a farci la guerra, n. 12/21.

[15]  Le isole Diaoyu e l’atollo Huangyan appartengono alla “prima catena di isole”, prevista dal contenimento USA della Cina. Citato in G. CUSCITO, “Per ambire al cosmo Pechino deve controllare i mari cinesi”, in Limes, Lo spazio serve a farci la guerra, n. 12/21.

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