SVB e l’economia di carta dell’Occidente, Usa in testa

di Fabio Massimo Parenti

da https://italian.cri.cn

Il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti, ha riportato le lancette indietro nel tempo a quel lontano 15 settembre 2008. Quando Lehman Brothers, la quarta banca d’affari statunitense, crollò sotto il peso di una lunga stagione di deregolamentazione finanziaria (caratterizzatasi dalla spinta combinata ad accrescere la leva finanziaria, a minimizzare il rischio di investimento e a ridurre sempre di più il capitale minimo). Insomma, l’effetto domino dei mutui subprime fu solo la punta dell’iceberg che fece scoppiare quello tsunami che avrebbe contagiato l’intero sistema economico-finanziario dell’Occidente. Oggi, ci risiamo, nel senso che siamo sempre dentro la stessa logica iper-speculativa mai sanata in questi anni, ma riprodottasi in un contesto di politiche monetarie espansive, che, con le nuove politiche di segno opposto, ripresentano il conto nell’ambito di un sistema insostenibile.

Il 10 marzo 2023, in continuità dunque coi problemi rimasti irrisolti sin dall’ultima crisi finanziaria globale, il regolatore bancario californiano ha ordinato la chiusura della SVB e nominato la FDIC, la Federal Deposit Insurance Corporation, come curatore dei “beni” dell’istituto. In un battito di ciglia la banca con sede nella prestigiosa Silicon Valley, nonché finanziatrice di innumerevoli start-up, è evaporata come neve al sole. Diverse società sono rimaste direttamente coinvolte nel disastro, visto che i loro milioni, e per alcuni anche miliardi, di dollari risultavano inesigibili dalla banca. Siamo ancora a quel gioco degli specchi a cui la Cina, ad esempio, ha guardato sempre con sospetto e con un certo distacco sin dagli anni Novanta, preferendo l’economia reale, gli investimenti in capitale fisso a lungo termine, nell’innovazione tecnologica e nella manifattura. Ecco un’altra conferma del perché l’Occidente continua a declinare a fronte della contributo economico crescente dato dalla Cina al mondo, divenendo quest’ultima il polo più attraente per la maggior parte dei paesi del mondo. Piaccia o non piaccia questa è la realtà emersa dagli ultimi decenni di globalizzazione neoliberale, dove la mano visibile dello stato, in Cina, ha fatto la differenza.

L’ultima miccia, in ordine di tempo, è partita pochi giorni dopo che la SVB aveva annunciato di aver venduto un portafoglio obbligazionario dal valore di 21 miliardi di dollari, con una perdita di 1,8 miliardi, in seguito alla decisione della Federal Reserve di alzare ulteriormente i tassi di interesse. Le obbligazioni hanno una relazione inversa con i tassi di interesse, quando questi ultimi salgono, i prezzi delle obbligazioni già emesse scendono per compensare il livello di rendimento più basso dei titoli scambiati in precedenza. Quindi, quando la Federal Reserve ha iniziato ad aumentare rapidamente i tassi per combattere l’inflazione negli Usa, il portafoglio obbligazionario di SVB ha iniziato a perdere valore, innescando la spirale della “corsa agli sportelli” dei suoi depositanti milionari. Se la SVB non fosse stata troppo esposta finanziariamente, ovvero, non avesse investito eccessivamente i depositi ricevuti da numerose società tecnologiche, avrebbe potuto sostenere la perdita del valore delle proprie obbligazioni, detenendole fino a scadenza o vendendole in periodi più propizi per recuperare il loro valore originario. In generale, come sappiamo fin troppo bene, le eccessive passività accumulate rispetto alle attività, spesso sempre più rischiose a causa di fattori “esogeni” mutevoli, mandano in crisi i requisiti minimi di capitale netto, che vanno a farsi benedire, con buona pace di tutte le prescrizioni di Basilea. 

E’ il mondo del capitalismo del debito che domina in Occidente, con gli Usa che hanno raggiunto i 31 trilioni di dollari a partire da pochi trilioni alla metà degli anni Novanta.

Il punto, non considerato, ma ampiamente prevedibile date le debolezze strutturali dell’economia reale in tutto l’Occidente, è che le società tecnologiche della SVB, che hanno depositi bancari consistenti, non solo cercano nuove forme di impiego più redditizie, quando c’è una corsa al rialzo dei tassi di interesse, ma valutano attentamente la perdita di valore degli asset della banca in cui hanno i depositi, determinata ancora una volta dal nuovo aumento dei tassi da parte delle banche centrali. Per arginare queste richieste massicce di liquidità, la SVB non ne aveva a disposizione ed ha dovuto iniziare a vendere alcune delle sue obbligazioni, in forte perdita, spaventando ulteriormente investitori e clienti. Sono passate appena 48 ore tra il momento in cui la banca ha rivelato di aver venduto i suoi beni e il crollo. Basti pensare che nel primo trimestre del 2020, la Silicon Valley Bank poteva contare in totale su 60 miliardi di dollari depositi che, grazie all’exploit dell’industria tech durante la pandemia, è schizzata ad oltre 200 miliardi di dollari. Una disponibilità impiegata dalla SVB nell’acquisto massiccio di titoli di stato a lunga scadenza, anche qui in barba alle regole sui requisiti minimi di capitale e il contenimento del rischio. Tutti ingredienti che hanno generato un’ennesima bolla speculativa, colpita oggi dalle nuove politiche monetarie.

L’intervento della FDIC dovrebbe contribuire a limitare il contagio del fallimento della SVB e a coprire tutti i depositi. Inoltre, l’ulteriore intervento della FED, che potrebbe ricorrere a nuovi bailout, aiuterà a limitare i danni, ma sicuramente continuerà ad incentivare la speculazione, dato l’ombrello che ogni volta verrebbe offerto dal governo. 

Quando le logiche dell’anarchismo capitalista arrivano alle estreme conseguenze anche ai capitalisti statunitensi piace moltissimo l’intervento della mano visibile dello stato. Questo secondo il FTs sta generando grande irritazione e sconcerto presso le autorità europee, perché dimostrerebbe ancora una volta che gli Usa evadono le regole discusse insieme e si muovono esclusivamente in base ai propri interessi, senza farsi carico delle responsabilità verso regimi di “regole” finanziare che hanno contribuito a creare sia a casa propria, sia nell’ambito del processo di Basilea e degli accordi transatlantici.

Intanto, però, sono fallite anche la Signature Bank, con un patrimonio stimato dalla Fed in 110 miliardi di dollari alla fine del 2022, e la Silvergate Bank, più piccola, ma nota per i suoi stretti legami con il mondo delle criptovalute. Altre banche scricchiolano e le borse ne risentono. Senza contare l’effetto contagio all’altro pezzo della finanza occidentale radicato in Europa, ma legato a doppio filo con i processi di de-regolamentazione (e timida, recente, parziale re-regolamentazione) implementati su entrambe le sponde dell’atlantico del nord fin dagli anni Ottanta.

C’è grande fermento nei mercati, con nuove scommesse al ribasso ed il rischio concretissimo che la corsa al rialzo dei tassi vada a togliere ulteriore liquidità a sistemi economici in sofferenza. La liquidità messa in circolo artificiosamente negli anni passati paleserà il suo vero costo in termini sistemici. A suon di bombe e derivati non ci si può sorprendere se un crescente numero di persone e paesi del mondo guardi con sempre più avversione, se non repulsione, a quel mondo guidato od ancora arcionato agli Usa.

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