da https://piccolenote.ilgiornale.it
Un crimine di enorme gravità ha scosso il Libano, dove i manifestanti vicini a Hezbollah e al partito politico cui si riferisce, Amal, sono stati colpiti da cecchini appostati sui palazzi. I colpi hanno ucciso sei militanti di Hezbollah e una donna estranea alla protesta, freddata sul balcone di casa (al Manar).
Un crimine che ricorda nelle modalità quanto avvenuto a piazza Maidan o in Venezuela, ma allora i media occidentali avevano potuto incolpare i governi di quei Paesi, accomunati dall’ostilità di Washington, stavolta i cecchini hanno fatto fuoco su persone vicine a Hezbollah ed è tutto è diverso.
Allora i madia d’Occidente riempirono pagine e pagine, tuonando contro quei governi, interrogandosi sulla tragedia. Ma questi sono morti di Hezbollah, ai quali va aggiunta una vittima collaterale, e non è importato nulla a nessuno.
Ma al di là, se c’è un filo comune in questa strategia della tensione basata sui cecchini è quella di innalzare il livello dello scontro, che a Maidan ebbe come esito una rivoluzione colorata, mentre in Venezuela ebbe solo l’effetto incendiare ancora più le piazze, senza però conseguire il cambio di regime.
Tale destabilizzazione era quanto si ripromettevano i cecchini che ieri hanno fatto strage in Libano (non loro, ovviamente, ma i loro mandanti), che speravano in una risposta subitanea di Hezbollah, che avrebbe dato inizio a una nuova guerra civile nel Paese dei cedri.
Un’ipotesi non troppo remota, tanto che è adombrata in un articolo di L’Orient le Jour, media peraltro avverso a Hezbollah. Ma il partito di Dio ha evitato la trappola e dato prova di saggezza, con un comunicato in cui invitava i suoi militanti alla calma.
L’inchiesta sul porto di Beirut
Così veniamo al motivo della manifestazione, anche se è elemento secondario dopo il sangue versato. La manifestazione era diretta a protestare contro la decisione della Corte Suprema, che aveva respinto una mozione di alcuni parlamentari per togliere al magistrato titolare l’inchiesta sull’esplosione del porto di Beirut, che ad agosto del 2020 devastò un intero quartiere della città, uccidendo oltre trecento persone.
Hezbollah e altri accusano il magistrato, Tarek Bitar, di politicizzazione, cioè di cercare di far ricadere le responsabilità dell’accaduto su Hezbollah, in nome e per conto dei suoi nemici interni e internazionali.
Accusa, quella di Hezbollah, ovviamente ipotetica. Ma per suffragarla Hezbollah ha ricordato come, il tribunale internazionale che aveva indagato sull’omicidio di Rafiq Hariri, il politico libanese fatto saltare in aria nel 2005, abbia indicato per anni in Hezbollah il mandante dell’assassinio, accuse poi risultate del tutto infondate (come da sentenza riconosciuta anche dal figlio dell’assassinato, Saad, leader politico di primo piano del Paese dei Cedri).
Insomma, c’è un precedente in tal senso. Nel caso del porto di Beirut, il magistrato ha accusato alcuni politici libanesi, tra cui alcuni vicini a Hezbollah, di aver chiuso un occhio, anzi due, sul nitrato di ammonio stipato per anni in un silos del porto, causa dell’immane esplosione.
Hezbollah sostiene che Bitar sia manovrato dagli Stati Uniti, sospetto che è stato rafforzato da quando, a difesa del magistrato,, è sceso in campo il Dipartimento di Stato Usa con il suo portavoce de Ned Price che ne ha difeso l’operato, affermando che: “i giudici devono essere liberi da minacce e intimidazioni”, comprese quelle di Hezbollah e che “il terrorismo e le attività illecite di Hezbollah minacciano la sicurezza, la stabilità e la sovranità del Libano” (Houston Chronicle).
Le parole di Price appaiono infelici, soprattutto oggi, dopo che tale organizzazione “terroristica” piange sei morti, uccisi a sangue freddo da cecchini di matrice ancora ignota. Ma anche nella sostanza, in particolare nel punto in cui Price detta al Libano come debba conformarsi la sua sovranità.
il carico di ammonio dei ribelli siriani
Hezbollah non si è limitato a parlare di politicizzazione dell’inchiesta, ha anche accusato gli Stati Uniti di voler coprire qualcosa di indicibile. Il partito di Dio non ha fatto riferimento a nulla di concreto, ma potrebbe riferirsi a quanto portato alla luce, poco dopo la strage, dal suo sito di riferimento, al Manar, che ricordava una vecchia storia, denunciata dal sito siriano Syria Truth, nel 2013.
Su questo sito la rivelazione che un carico di nitrato di ammonio diretto ai cosiddetti ribelli siriani era stato dirottato a Beirut dopo esser stato scoperto dalle autorità siriane. Il nitrato di ammonio, infatti, è stato usato su vasta scala da questi criminali, soprattutto per i camion bomba usati per sfondare le difese erette a protezione di siti sensibili di Damasco, tra i quali gli ospedali (vedi video).
Il carico, spiegava il sito, era diretto alle milizie di al Qaeda o a quelle del Free Syrian Army, queste ultime sostenute apertamente dagli Stati Uniti.
Se fosse provato che il nitrato di ammonio che ha fatto strage a Beirut era diretto ai ribelli siriani, è ovvio che gli Usa, ingaggiati con i cosiddetti ribelli contro il governo Assad, non sarebbero affatto contenti. La narrativa consolidata che vede nei cosiddetti ribelli i buoni e in Assad il cattivo subirebbe un duro colpo.
Un vulnus per il regime-change siriano, che, seppur sospeso per cause di forza maggiore (leggi intervento russo), non è affatto finito, come denotano le stupefacenti dichiarazioni del Segretario di Stato Usa Tony Blinken, il quale non solo si è detto contrario a una normalizzazione dei rapporti con la Siria – monito diretto in particolare alla Giordania, che ha fatto passi in tal senso -, ma ha aggiunto che gli Usa si oppongono anche alla “ricostruzione” del Paese, un niet che impedisce a milioni di persone di tornare a una parvenza di normalità dopo un decennio di guerra.