Pare che in Cina si viva con un certo disinteresse la campagna presidenziale in atto negli Usa. Alla base non c’è il nostro amato e abusato “tanto non cambierà nulla”, ma un senso di forza crescente, con tanto di volontà di mostrarla, che permetterà di condizionare comunque l’atteggiamento di Washington, sia che venga confermato Obama o che Romney faccia l’exploit.
E proprio i toni più anti-cinesi di quest’ultimo al momento della ufficializzazione della sua candidatura – furto di know-how, Yuan tenuto artificialmente basso, mancato rispetto delle regole di concorrenza con conseguente aumento della disoccupazione – non sembrano spaventare più di tanto. Certo meno della diffusa sensazione che ci si avvicini ad un rinnovato clima da guerra fredda. Più volte in questi ultimi mesi la stampa ufficiale legata al PCC ha più volte messo a confronto l’attuale presidente democratico, accusato di dare fiato alle tensioni tra la Cina e i suoi vicini, con il repubblicano Nixon – quest’anno si è celebrato il 40° anniversario del suo storico incontro del 1972 con Mao – più volte lodato per la sua politica di avvicinamento e apertura.