di Bruno Drweski, “Investig’Action” | da www.michelcollon.info
Traduzione a cura di Massimo Marcori per Marx21.it
Ancora poco più di quarant’anni fa, non era raro a Montreal, all’epoca “metropoli del Dominion del Canada”, di sentirsi rispondere nei grandi magazzini del centro gestiti dai discendenti dei ricchi coloni inglesi o scozzesi: “Parla bianco!” quando un (in)fedele suddito francofono di sua maestà britannica si rivolgeva nella sua lingua al venditore.
E’ in tale situazione di costante oppressione coloniale almeno dalla repressione dell’insurrezione patriottica del 1838 che, nel corso degli anni 60, quelli che i coloni inglesi chiamavano all’epoca spesso “i negri bianchi d’America” fecero una “rivoluzione tranquilla” mettendo il Québec sotto i riflettori mondiali, mentre alcuni militanti più radicali prendevano la via di ciò che il potere definirà “terrorismo”.
“Rivoluzione tranquilla” che conobbe del resto alcuni momenti non così tranquilli poiché numerose ondate di repressione si succedettero, e la proclamazione della “legge delle misure di guerra” vide molte centinaia di persone arrestate, alcune di loro in seguito condotte davanti ai tribunali con accuse che si rivelarono di fantasia. E’ anche in quest’epoca che i dirigenti delle tre maggiori centrali sindacali del Québec furono imprigionati per aver sostenuto uno sciopero dichiarato illegale.
In quegli anni di lotte, il Québec divenne la regione dell’America settentrionale con le leggi sociali più progredite e, sotto tale costante pressione, l’intero Canada dovette seguire una politica sociale e internazionale relativamente scollegata da quella del suo potente vicino del Sud. Questo spiega perché il Canada non ruppe mai le relazioni diplomatiche con Cuba e accolse numerosi americani che sfuggivano alla coscrizione militare durante la guerra del Vietnam.
Poi come altrove, venne il riflusso degli ultimi decenni di regressione al punto che, ancora alla fine del 2011, i media e le autorità consideravano chiusa la pagina dell’ “eccezione del Québec”, e che, come nel resto del Canada, il popolo non esistesse più o cercasse soltanto di fare affari o di trovarsi delle occupazioni precarie. L’elezione di un deputato della sinistra radicale di origine iraniana appartenente al partito “Québec solidaire” non pareva essere che un incidente di percorso sulla via della “normalizzazione” all’americana. Tuttavia, il fuoco covava sotto la cenere. Una serie di rivendicazioni parallele si erano susseguite, andando dalla mobilitazione massiccia contro la NATO e le sue guerre alla denuncia del saccheggio delle risorse naturali del Québec da parte delle grandi imprese multinazionali che condusse al lancio, all’inizio del 2012, del “Piano Nord” che fa riferimento ai diritti degli Amerindi e degli obblighi ambientali.
Ecco dunque in quale situazione, nel 2012, il “naturale ritorna al galoppo” con una forza tale che non si può ormai pretendere che la popolazione del Québec continui a rimanere addormentata! Da oltre tre mesi, infatti, il Québec è attraversato da un conflitto in cui la grande maggioranza di studenti e liceali si oppone all’aumento delle tariffe di iscrizione. Un conflitto che supera ampiamente quest’ultima questione, poiché risveglia e raduna l’insieme di rivendicazioni frammentarie che erano state condotte durante l’ultimo decennio da differenti gruppi critici verso il sistema che domina in America del Nord e nel mondo.
Le manifestazioni sono proseguite per tre mesi, sovente represse in modo violento, generalmente accompagnate da numerosissimi arresti e hanno coinvolto oltre 200.000 partecipanti in una provincia che conta 7 milioni di abitanti. Esse hanno destabilizzato il governo liberale, causando le dimissioni della ministra dell’educazione, Line Beauchamp, e spingendo infine il capo del suo governo, Jean Charest, a far adottare il 17 maggio una “legge speciale” rendendo, tra l’altro, illegale l’organizzazione di picchetti di sciopero e i tentativi effettuati dai manifestanti di proteggersi dagli informatori della polizia indossando dei passamontagna. Così si è saputo che in Canada, capita che la polizia utilizzi agenti provocatori.
La determinazione di cui danno prova gli studenti dopo tre mesi, i diversi sostegni che hanno trovato, l’unità dei loro sindacati di fronte alle manovre del potere e alla violenza della polizia fanno sì che il Québec di domani non sarà in ogni caso più come prima. Gli studenti infatti si oppongono frontalmente alla logica neoliberale che punta a trasformare l’educazione e i servizi pubblici in merce.
La decisione di aumentare del 75% le spese di iscrizione non costituisce d’altronde, secondo il governo del Québec stesso, che una misura di recupero in rapporto alla norma imposta in tutta l’America del Nord, nella logica dell’OCSE, e che deve andare molto più lontano. Questa rivolta, denominata “primavera degli aceri”, riunisce protestatari di ogni origine etnica in nome di una visione politica della nazione che si rifà esplicitamente ai movimenti popolari del mondo arabo e agli scioperi degli studenti inglesi del 2010, degli studenti cileni del 2011 e al movimento Occupy Wall Street. La solidarietà con i popoli dell’Europa del Sud è esplicita. Il movimento riceve il sostegno dei lavoratori e delle classi medie minacciate di precarizzazione.
Secondo il più coinvolto dei tre sindacati liceali-studenteschi del Québec, la CLASSE (Larga coalizione associativa per una solidarietà sindacale studentesca), si tratta di un ritorno del popolo e di una “lotta di classe”. Il suo quadrato rosso è d’altronde divenuto rapidamente il simbolo del movimento, spesso affiancato alla bandiera dei patrioti del 1837/38 e alle bandiere rosse.
Malgrado uno scenario mediatico pressoché totalmente dominato dalle potenze del denaro e che denuncia con un inaudito disprezzo la mobilitazione in corso, un giornale di Montreal ha colto l’essenza del problema: il debito degli studenti americani è quintuplicato nel corso degli ultimi dodici anni per raggiungere mille miliardi di dollari US, cioè un debito medio per studente di 25.000 $, un’altra bolla speculativa dunque che raggiunge l’economia del vicino del Sud e che rischia di destabilizzare ancor di più l’insieme del sistema finanziario già fortemente scosso.
Il prolungamento del movimento del Québec costituisce dunque una minaccia per il complesso dei rapporti di forza in America del Nord, e rappresenta un segnale per i popoli d’Europa in cui si cerca di imporre altrettanto in fretta servizi pubblici al ribasso e la mercificazione dell’educazione. Si tratta dunque di una lotta contro il capitalismo finanziario, e per molti, di una lotta contro il capitalismo semplicemente. Si comprendono pertanto i tentativi fatti dal potere per criminalizzare il movimento popolare del Québec. Fatica sprecata, l’imposizione della legge del 17 maggio non fa che rafforzare la mobilitazione popolare. Malgrado i sondaggi manipolati, sono ormai obbligati a riconoscere che questa legge incontra l’opposizione della maggioranza della popolazione, cosa che testimonia il successo della nuova manifestazione di massa, il 22 maggio, questa volta non solo più condotta per denunciare la controriforma dell’educazione, ma contro la politica di repressione. In questo momento la mobilitazione prosegue e sta trasformando il Québec.