di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
Il politologo e storico Robert Kagan, salito alla ribalta negli anni dell’amministrazione Bush jr come cofondatore del “Progetto per il nuovo secolo americano” – un “mein kampf” dell’imperialismo Usa – produce ora su Foreign Policy un’analisi della situazione internazionale che è una sorta di manifesto per il mantenimento del predominio globale statunitense.
Il “non indietreggiare neppure di un pollice” – questo l’invito rivolto all’amministrazione Trump – consiste nel rispondere alla sfida “revisionista” di Pechino e Mosca non accettando sfere di influenza, rinsaldando i rapporti con i tradizionali alleati e ribadendo il proprio ruolo di guida globale nella difesa delle istituzioni democratiche e del libero mercato. In caso contrario, se gli Usa ripiegassero su se stessi o si mostrassero deboli e poco reattivi (questa è una denuncia chiara rivolta alla amministrazione Obama) le due potenze potrebbero ripercorrere gli stessi passi della Germania nazista e del Giappone imperiale che hanno portato al secondo conflitto mondiale: “L’attuale sistema ha quindi dipeso non solo dal potere americano, ma anche dalla coerenza e dall’unità nel cuore del mondo democratico.
Gli Stati Uniti hanno dovuto fare la loro parte in quanto principale garante dell’ordine, specialmente nel campo militare e strategico, ma anche il cuore ideologico ed economico – le democrazie dell’Europa e dell’Asia orientale e Pacifico – si è dovuto mostrare relativamente sano e sicuro di sé. […] è stato nel 1920, non nel 1930, che le potenze democratiche hanno preso le decisioni più importanti e, in definitiva, fatali. La disillusione degli americani dopo la prima guerra mondiale li ha portati a respingere la responsabilità di giocare un ruolo strategico nel preservare la pace in Europa e in Asia, anche se l’America era l’unica nazione abbastanza potente per svolgere tale ruolo. Il ritiro degli Stati Uniti ha contribuito a minare la volontà di Gran Bretagna e Francia e ha incoraggiato la Germania in Europa e il Giappone in Asia ad intraprendere azioni sempre più aggressive per raggiungere una posizione dominante regionale”.
Per quanto concerne in particolare la Cina popolare, Robert Kagan sottolinea che se da un lato non sono in discussione il crescente ruolo economico – sarebbe ormai difficile farlo anche alla luce delle istituzioni create ed attive – e la sua influenza in Asia in questo ambito, dall’altro non devono essere praticati cedimenti sul piano della sicurezza militare (riferimento alla situazione del Mar cinese meridionale), campo nel quale gli Stati Uniti godono di chiari vantaggi. Lo studioso sembra riproporre, anche se non esplicitamente, la proposta di un “grande patto” – ma tacito – tra Washington e Pechino avanzata nel novembre scorso da James Woolsey, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump: gli Stati Uniti accettano l’ascesa economica della Cina popolare, il suo peso crescente negli organismi multilaterali, non si pongono come obiettivo quello di sovvertire il suo particolare regime politico e sociale, ma in cambio non deve essere messo in discussione lo status quo militare in Asia e il predominio statunitense nell’area.
Riferimenti
Robert Kagan, “Backing Into World War III”, Foreign Policy, 6 febbraio 2017
James Woolsey, “Under Donald Trump, the US will accept China’s rise – as long as it doesn’t challenge the status quo”, South China Morning Post, 10 novembre 2016.