Dove stanno andando gli Stati Uniti?

Usa bandiera 640750di Albano Nunes, Segreteria del Partito Comunista Portoghese | da Avante.pt

Traduzione di Marx21.it

Quo vadis?

Dove stanno andando gli Stati Uniti? Fino a quando il popolo statunitense continuerà ad essere vittima della dittatura del capitale finanziario e del potente complesso militare industriale che tanta sofferenza ha già arrecato al mondo? E non si individueranno motivi di speranza nella capacità dei lavoratori e del popolo di questo grande paese di liberarsi dal dominio dell’oligarchia finanziaria e di imporre una politica rispettosa della sovranità dei popoli e indirizzata al disarmo e alla pace? E nel breve periodo che cosa è lecito attendersi?

A tre mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi si può dare per scontato che l’immensa copertura mediatica planetaria delle “primarie” continuerà persino ad intensificarsi, non perché ci si aspetti un dibattito chiarificatore attorno alle principali questioni che riguardano le grandi responsabilità degli USA sul piano internazionale, ma per distrarci da esse e trasmettere un’errata percezione degli USA come bastione della democrazia e potenza “protettrice” indispensabile. E’ necessario combattere la pericolosa pretesa di imporre una cultura vassalla dell’imperialismo nordamericano. Ma è soprattutto necessario individuare, dietro al deprimente show propagandistico che da mesi occupa le prime pagine dei media in tutto il mondo, i segnali di crescente resistenza popolare alla classe dominante.

Ciò che più merita di essere evidenziato e che, anche se per ragioni diverse e talvolta contraddittorie, si sta manifestando un’ondata di rigetto dei candidati dell’establishment, il che, traducendo la grande insoddisfazione di fronte all’aumento delle ingiustizie e disuguaglianze sociali nella società statunitense e la crescente sfiducia nei confronti dell’oligarchia finanziaria, rappresenta una seria scossa alla credibilità di un sistema politico che si fonda sul regime di vero e proprio “partito unico” in cui “Repubblicani” e “Democratici” condividono il potere. All’inizio Trump non era il candidato preferito dalla leadership del Partito Repubblicano, ma collocandosi demagogicamente su una posizione “anti-sistema” è riuscito ad aggregare diversi scontenti, in una versione americana di ciò che è accaduto in Europa con l’ascesa di forze xenofobe e fasciste. Da parte sua, Hillary Clinton è riuscita a passare. Ma Bernie Sanders, con un messaggio socialdemocratizzante e appoggiato in modo militante da settori anticapitalisti, non è riuscito a vincere solo perché è stato chiaramente discriminato dall’apparato del Partito Democratico. Questa forte corrente anti-establishment apre prospettive di cambiamento che prima o poi potrebbero avere successo. Tutto dipenderà dai comunisti e dalle altre forze realmente progressiste, che, nel frattempo, sono ancora deboli.

E nell’immediato che ci si può aspettare da queste elezioni che la comunicazione sociale dominante presenta come una scelta tra i cielo e l’inferno? Fino a quando a determinare la politica degli USA sarà il loro sistema di potere dominato dai grandi gruppi economici, non sarà indifferente il profilo del Presidente. Quanto a Trump, dice molto della natura del sistema politico nordamericano il fatto che una tale creatura possa essere arrivato fin dove è arrivato. E che dire di Hillary Clinton, la cui storia di falco aggressivo è ben nota e che è appoggiata da Wall Street e dal complesso militare-industriale? Che nessuno si aspetti una inversione della politica militarista e aggressiva degli Stati Uniti. Al contrario. Tanto più quando l’appoggio di Sanders a Clinton (che molti dei suoi sostenitori hanno visto come un tradimento) imbianca il suo reazionarismo e il suo scontro con Trump le attribuisce l’ingannatrice aureola di umanista e democratica.