Ritorno al maoismo. Con Xi Jinping stiamo assistendo alla fine del cosiddetto «capitalismo cinese»

Con molte semplificazioni ed anche volgarizzazioni analitiche, questo articolo de l’Inkiesta (testata anti-comunista e ultratlantica, il cui direttore proviene dal Foglio di Giuliano Ferrara e dall’area di Emma Bonino) riconosce a malincuore che la nuova direzione di Xi in Cina ha dato ulteriore impulso al processo di transizione al socialismo.

Fausto Sorini

di Beniamino Natale

da https://www.linkiesta.it/

Il presidente della Cina ha lanciato una campagna contro aziende private come Evergrande, Alibaba e Tencent. Un cambio di rotta che liquida, in parte, la direzione intrapresa dall’ex compagno di partito Deng Xiaoping negli anni ’80

La Evergrande, una delle più grandi imprese private cinesi, è sull’orlo del fallimento. Schiacciata da una montagna di debiti – valutati in circa 300 miliardi di dollari – ha visto un crollo verticale delle sue azioni in borsa.

La Evergrande è forse la più grande impresa di costruzioni della “nuova Cina”, sostiene di avere 200mila dipendenti e che il suo giro di affari è fondamentale per il benessere di 3-4 milioni di persone in tutto il paese. Secondo notizie diffuse su Twitter e riprese da prestigiose testate come il britannico Guardian, ci sarebbe stata anche una protesta dei dipendenti che reclamavano i loro salari davanti al quartier generale dell’impresa nella metropoli di Shenzhen, nella Cina meridionale.

Solo un massiccio intervento dello Stato potrebbe salvarla dal fallimento e segnerebbe la fine di una delle maggiori imprese private cinesi. Per ora non è chiaro se il presidente della Repubblica e segretario del Partito comunista (oltreché della potente Commissione militare centrale) Xi Jinping abbia intenzione di procedere su quella strada.

L’anno scorso Xi ha lanciato una campagna contro quella che ha definito «l’espansione irrazionale del capitale» che ha visto colpite una ad una alcune delle principali stelle dell’industria privata cinese, tra cui il gigante del commercio online, il gruppo Alibaba (che è anche proprietario del quotidiano di Hong Kong South China Morning Post). Il suo popolare fondatore, il visionario Jack Ma, è scomparso per tre mesi dopo aver pubblicamente criticato il funzionamento del sistema finanziario cinese.

In quella che è apparsa come una rappresaglia, Alibaba è stata poi multata per aver violato le norme antimonopolio. A fare le spese della campagna di Xi contro i grandi capitalisti cinesi sono state in seguito la Tencent Holdings, costretta a rinunciare ad un grosso contratto di distribuzione della musica online e la Didi Chuxing, la “Uber cinese”, multata e minacciata con l’accusa di aver voluto sfidare le autorità allargando le sue operazioni negli Stati Uniti e in Europa.

Xi Jinping ha affermato che il Partito deve fare di più per «guidare e controllare» l’economia e sta rafforzando il ruolo dei funzionari del Partito nella gestione delle imprese.

La giornalista Nina Xiang, co-fondatrice della rivista China Money Network, sostiene che Xi «sta rischiando di rovinare le maggiori imprese cinesi che sono state costruite in quattro decenni e che rappresentano le fondamenta dell’economia del paese». In un articolo pubblicato dalla rivista giapponese Nikkei, Xiang ricorda che gran parte di queste imprese (tra cui Alibaba e Tencent) «sono state fondate da imprenditori privati e finanziate con capitale di rischio».

La Evergrande, fondata nel 1996 da Xu Jiayin (62 anni), è una di queste imprese. Nel corso degli anni ha esteso il suo business entrando in settori come i pannelli solari, gli allevamenti di maiali, l’agroalimentare e il cibo per bambini. Tra l’altro, è proprietaria della squadra di calcio del Guangzhou Evergrande, che oggi è allenata da Fabio Cannavaro dopo essere cresciuta sotto la direzione di Marcello Lippi.

Il settore privato cinese si è sviluppato grazie agli investimenti esteri e all’ intraprendenza degli imprenditori cinesi a partire dagli anni ‘80, quando l’allora leader Deng Xiaoping aprì il paese ai capitalisti stranieri. Uno dei suoi slogan era «arricchirsi è glorioso». Deng, che è stato definito dallo studioso David Shambaug un «leninista pragmatico», prese quest’ iniziativa per risollevare l’economia del paese, nel caos dopo la rivoluzione culturale lanciata dal suo predecessore Mao Zedong, che invece è considerato da Xi un modello da seguire.

Deng mostrò il suo volto leninista nel 1989, quando chiamò l’esercito per mettere fine alla protesta degli studenti in quello che è passato alla storia come il massacro di piazza Tiananmen. Negli anni seguenti, il leader rilanciò le riforme economiche con il “viaggio al sud”, cioè la sua visita nella regione più industrializzata e modernizzata della Cina.

Per gestire la crescita dell’economia e la parziale liberalizzazione della vita civile, Deng ritenne necessario mettere alla testa del paese una leadership collettiva, che si concretizzò nella salita al potere, nel 2002, del “grigio” Hu Jintao, un efficiente funzionario del Partito che condivideva il potere con gli altri membri del Comitato permanente dell’ufficio politico – il cuore del potere comunista – e in primo luogo col premier Wen Jiabao.

Accentrando tutto il potere nelle sue mani, attaccando l’industria privata e abolendo il limite di due mandati di cinque anni per il segretario del Partito/segretario della Commissione militare centrale/presidente della Repubblica, Xi ha messo fino al periodo della leadership collettiva, seppellendo definitivamente l’eredità del “leninista pragmatico” Deng Xiaoping.