
Di Maria Morigi
Dal 1951 si interruppero i rapporti diplomatici tra Pechino e la Santa Sede e iniziò una polemica che ha talvolta raggiunto toni apocalittici nella stampa anti-cinese, così da convincere che in Cina fosse in atto una persecuzione ai danni dei cristiani. A suo tempo i media occidentali avevano analogamente soffiato sul fuoco della “persecuzione” cinese in Xinjiang contro l’islam e contro il buddhismo tibetano del Dalai Lama, tanto da farne crociate a sostegno di uno Xinjiang indipendente dalla Cina e di un “Tibet libero” (sempre, ovviamente, libero dalla Cina).
Premesso che chi invoca “libera Chiesa in libero Stato” non solo non conosce la Storia, ma non ha neppure compreso che non si possono attribuire alla Cina concetti e valori tipicamente occidentali, basterebbe consultare la Costituzione della RPC per mettere a fuoco che in Cina non sono ammesse autorità esterne allo Stato né “istituzioni separate” e che nessun dualismo è tollerato tra Stato e Religione.
Peraltro, se islam e buddhismo non hanno oggi in Cina alcun problema di coesistenza con le regole dello Stato (1), nel cristianesimo rimane il tema controverso della nomina dei vescovi che ha dato luogo alla formazione di due distinte Chiese:
1-Associazione patriottica cattolica cinese, riconosciuta dalla RPC, che non ammette il primato del Papa e la cui fondazione risale alla consacrazione dei primi vescovi senza approvazione papale (1958 ad Hankou), dopo l’elezione del vescovo Bernardino Dong Guangqing candidato da Pechino;
2-Chiesa in comunione con Roma (o Chiesa sotterranea) che opera in clandestinità e secondo la Costituzione della RPC è sovversiva del potere dello Stato.
Segno di disgelo tra Vaticano e Cina è stata la lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi del 2007 (scritta in larga parte dall’allora monsignor Pietro Parolin), che, pur rivendicando il diritto della scelta al Vaticano, ha tentato di smussare le incomprensioni nella nomina dei vescovi. La lettera seguiva a stretto giro la nomina del vescovo di Pechino, Giuseppe Li Shan, con l’approvazione sia del governo cinese che della Santa Sede. L’intento del Papa era di aiutare i cattolici cinesi a fare unità tra loro e con Roma, chiamando le parti al reciproco rispetto per avviare un miglioramento dei rapporti. Tuttavia, dopo l’ordinazione di Li Shan, i cattolici di Pechino si divisero e furono in molti ad accusare Li Shan di essere un ‘traditore’ della Chiesa di Roma. Comunque Benedetto in quella lettera formulava l’auspicio di veder presto vie concrete di comunicazione e di collaborazione tra Santa Sede e RPC.
Oggi la questione – che ha provocato forti critiche alle mosse diplomatiche di Papa Francesco e anche tentativi di interferenza da parte USA (2) – incombe sul Conclave, divide le opinioni e gli animi in fazioni contrapposte, suscita accese e odiose invettive come ad esempio su IL FOGLIO (3).
Questo succede proprio perché i rapporti con la Cina sono stati il principale dossier di politica estera di Papa Bergoglio. Nel 2018 un primo “Accordo Provvisorio” tra Santa Sede e RPC ha riconosciuto che il Papa ha l’ultima parola sulla nomina dei vescovi e inoltre ha sanato le posizioni dei vescovi scelti in passato da Pechino. Nel 2020l’incontro tra il Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e Wang Yi, Ministro degli Affari Esteri della RPC, ha ribadito “la fondamentale importanza per i cattolici, per il popolo cinese e per la pace nel mondo” dell’Accordo Provvisorio del 2018 quale “pratica innovativa che ha dato positivi risultati” nella fiducia reciproca e nell’intenzione di continuare sulla via del dialogo e delle concessioni reciproche. Nel 2022 l’Accordo Provvisorio tra Vaticano e Pechino è stato prorogato per due anni; nel 2024 la proroga è stata per altri quattro anni.
Ora cerchiamo di guardare con imparzialità alla questione dal punto di vista della Repubblica Popolare Cinese che è Stato laico, tutela religioni radicate nel proprio territorio e ammette religioni di origine straniera – cristianesimo cattolico e protestante e islam – con precise regole costituzionali. Il diritto cinese, come accennato sopra, si limita a normare l’aspetto religioso solamente in relazione all’integrità dello Stato. Diversamente che in Occidente, dove storicamente siamo abituati a più fonti di autorità, in Cina la fonte dell’ autorità è UNICA e appartiene allo Stato, sia esso il Celeste Impero o la Repubblica Popolare. Nel 1982 fu approvato il Documento n° 19 (tuttora in vigore), atto fondante della politica religiosa con cui si afferma che le religioni non devono essere combattute, bensì tutelate in quanto possono essere guida morale e sostenere sviluppo e modernizzazione. Nel Documento n° 19 è detto a chiare lettere che la libertà di credere è una concessione da parte dello Stato il quale garantisce ruolo sociale alla religione purché essa non interferisca con la sfera politica.
La Costituzione della RPC (testo 14 marzo 2004) al Capitolo II (Diritti fondamentali e doveri dei cittadini), Articolo 36 dice: “I cittadini della Repubblica Popolare Cinese godono della libertà di credo religioso. Nessun organo dello Stato, organizzazione pubblica o individuo può costringere i cittadini a credere o non credere, né discriminare i cittadini che credono o non credono in una religione. Lo Stato protegge le normali attività religiose. Nessuno può fare uso della religione per impegnarsi in attività che disturbano l’ordine pubblico, mettere in pericolo la salute dei cittadini o interferire con il sistema di istruzione dello Stato. Gli enti religiosi e gli affari religiosi non sono soggetti ad alcuna dominazione straniera”.
Infine bisognerà che i tanti critici del sistema cinese prendano atto che il cristianesimo in Cina è religione minoritaria (2.4% ) divisa tra cattolicesimo (solamente 3 milioni di fedeli, cioè 0,2 %, ancora più minoritario) e protestantesimo, nato dall’azione missionaria favorita dal colonialismo europeo nei secoli 18° e 19°, che costituisce la assoluta maggioranza dei cristiani cinesi (30 milioni di fedeli, cioè 2,2 %). Poiché, per avere tutela e riconoscimento, sia cattolicesimo che protestantesimo devono sottostare alle regole costituzionali, è ovvio che la maggior parte dei cristiani in Cina è rappresentata dalle Chiese Protestanti che aderiscono all’Associazione Patriottica: solo così sono libere di praticare il culto cristiano.
Si può dunque capire, specialmente in questo momento storico, la siderale lontananza tra interessi del Conclave della Chiesa cattolica e interessi della Repubblica Popolare Cinese.
Note
(1) Istituita dal governo nel 1953, l’Associazione islamica cinese (AIC) rappresenta tutte le comunità cinesi musulmane a livello nazionale; l’Associazione Buddhista della Cina (CBA) fondata nel 1955 rappresenta tutti i buddisti in Cina ed è l’unica associazione legale riconosciuta dal governo.
(2) In ottobre 2020, Papa Francesco ha rifiutato di incontrare in Vaticano Mike Pompeo, Segretario di Stato di Trump, per non farsi condizionare a proposito del rinnovamento dell’Accordo Provvisorio con Pechino.
(3) IL FOGLIO, “Il filo rosso di Papa Francesco con la Cina” di Massimo Introvigne 23 apr 2025 (https://www.ilfoglio.it/chiesa/2025/04/23/news/il-filo-rosso-di-papa-francesco-con-la-cina-7642295/
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