
di Maria Morigi
Sempre sull’orlo di insurrezioni separatiste, la regione del Jammu e Kashmir è rivendicata dal Pakistan. Fin da quando Il “piano di partizione” dell’ Indian Independence Act previde che lo Stato principesco del Kashmir potesse scegliere se aderire all’India o al Pakistan, il sovrano Hari Singh non se la sentì di optare, così il territorio fu riconosciuto dall’India con lo “status di autonomia speciale”, solo Stato dell’ India ad avere una Assemblea Costituente incaricata di redigere una Costituzione separata da quella di Nuova Delhi. Seguirono continui scontri, crisi ricorrenti, vere e proprie guerre locali, fino agli Accordi di Simla nel 1972 (dopo la sanguinosa secessione del Bangladesh) che stabilirono il ritiro dei rispettivi eserciti e tracciarono la “linea di controllo” militare di cessate il fuoco, fraintesa spesso come “linea di confine”, oggi percorsa da una barriera elettrificata. Una vera indipendenza si sarebbe potuta raggiungere tramite referendum che, non voluto da entrambe le parti, di fatto è sempre stato procrastinato e non è mai avvenuto.
In agosto 2019 fu cancellato dalla Costituzione indiana l’articolo 370 che garantiva lo “status speciale” di autonomia del Jammu e Kashmir. In base all’art.370 il governo centrale poteva legiferare solo su difesa, esteri, comunicazioni e vietava ai cittadini indiani di altri Stati di comprare proprietà immobiliari in Kashmir. Tutto il resto spettava al Parlamento locale. L’abolizione per decreto dell’art. 370 fu accolta da enormi proteste. Il ministro degli Esteri pakistano definì illegale e incostituzionale la decisione unilaterale dell’India: “il giorno più buio della democrazia indiana… la decisione renderà l’India una forza di occupazione nel Jammu e nel Kashmir”. Il mese dopo Il premier Narendra Modi ha presentato un disegno di legge per la divisione del Jammu e Kashmir e la trasformazione del Ladakh, a maggioranza buddista, in stato federale. Jammu e Kashmir (con le pianure prevalentemente indù del Jammu e la valle di Srinagar, prevalentemente musulmana) erano retrocessi allo status di “territori dell’Unione” per cui la regione è amministrata direttamente da Nuova Delhi. La decisione definitiva sull’abolizione dell’art. 370 e sulla fine dell’autonomia è passata alla Corte suprema che lo scorso 10 dicembre 2023 ha preso la decisione “storica” di confermare la revoca dell’autonomia dello Stato a maggioranza musulmana. La sentenza è stata accolta dal premier Narendra Modi come “un faro di speranza, una promessa di un futuro più luminoso e una testimonianza della nostra determinazione collettiva a costruire un’India più forte e più unita“. La revoca dell’autonomia del Kashmir era uno dei cavalli di battaglia elettorale dei nazionalisti indù del BJP, il partito del premier.
Ora con l’abrogazione del 370 la strada è aperta ad una forma di colonizzazione indù (il modello somiglia a quello di Israele in Cisgiordania) e la “indianizzazione” del Kashmir va a tutto discapito dei musulmani che nella regione sono ben 13 milioni. L’ideologia politica razziale del premier Modi si conferma come sostenitrice della Hindutva o Induità i cui pilastri sono: nazione, razza e cultura comuni ed esclusione dell’ Islam, benché in India i musulmani siano il 14% della popolazione totale. Una china pericolosa per l’India che – geopoliticamente – sta abbandonando il “non allineamento” mantenuto dal Partito del Congresso fino all’elezione di Modi, per riassestarsi come fiancheggiatore degli interessi USA nell’Oceano indiano e portare il sistema- India verso Israele quale naturale alleato. Non deve sfuggire l’ambiguità di tale posizione che rischia di far perdere credibilità ai BRICS come blocco di economie emergenti in modello multipolare. All’ultimo vertice di agosto 2023 hanno fatto domanda di partecipazione ai BRICS molti stati, tra cui il Pakistan: sarà interessante vedere quali convergenze si potranno essere nelle comuni strategie globali e locali, dal momento che permango contrasti di confine e l’atteggiamento autoritario dell’India sta risvegliando gruppi secessionisti/fondamentalisti e jihadisti.
Ma chi sono questi gruppi che si battono per l’indipendenza o l’inclusione del Kashmir entro i confini pakistani?. Attualmente quello più pericoloso è Jaish-e-Mohammad (Esercito di Maometto), fondato nel 1999 dal leader religioso pakistano Masood Azhari . Il gruppo ha condotto numerosi attentati in Kashmir e in India e, benché accusato da New Delhi di essere al soldo dell’ l’Inter-services Intelligence (ISI) pakistano, ha rivendicato attacchi anche contro obiettivi militari in Pakistan, tra cui l’attentato nel 2003 contro l’ex Presidente Pervez Musharraf. Tra i colpi inferti al gruppo da parte indiana vi è stata, nel dicembre 2017, l’uccisione del comandante Noor Tantray, uno dei responsabili dell’attacco alla base aerea indiana di Pathankot, evento che ha scatenato l’escalation di violenze e tensioni in Kashmir.Lashkar-e-Tayyaba (LeT) “Esercito del Bene”, è un’altra delle più grandi organizzazioni islamiche militanti che fu fondata nel 1987 da Hafiz Saeed in Afghanistan con il sostegno di al Qaeda. Dopo il ritiro delle truppe sovietiche, l’ISI pakistano, spostò il centro operativo in Kashmir e LeT cominciò ad operare come parte della strategia regionale proxy sotto la guida dell’ ISI. LeT, più di ogni altro gruppo estremista in Pakistan, è riuscito a penetrare nel tessuto sociale fornendo servizi di assistenza alla popolazione. Ci sono poi Hizbul Mujahideen (HM) uno dei più grandi gruppi terroristici attivi in Kashmir nato sempre nel 1989, e Harkat ul-Ansar di ideologia pan-islamica con sede a Muzaffarabad, capitale dell’entità autonoma dell’Azad Kashmir che ha partecipato a operazioni terroristiche in Kashmir, Myanmar, Tagikistan, Bosnia-Erzegovina. In Kashmir. L’organizzazione ha oggi perso la sua influenza, tuttavia ha trasferito la maggior parte dei quadri al Lashkar-e-Tayyaba.
Si potrebbe continuare almeno con una ventina di organizzazioni islamiste militanti che Narendra Modi dovrebbe temere molto, tuttavia preferisco segnalare che tali gruppi non solo prosperano ma si riuniscono in associazioni, come ad esempio Hurriyat, “Conferenza di tutti i partiti”, alleanza secessionista costantemente promossa dal Pakistan come fronte politico per sostenere il separatismo del Kashmir, divenire un “ombrello” di gruppi militanti e ideale piattaforma per promuovere la causa separatista. Anche il Muttahida Jehad Council (MJC) è un’associazione formata per riunire sotto un’unica bandiera molti gruppi secessionisti. Il quartier generale del MJC si trova a Muzaffarabad e ben 16 gruppi terroristici compongono il Consiglio Jihad Muttahida.
Per concludere, la decisione del governo indiano di eliminare l’autonomia del Kashmir mi pare un gesto di provocazione ed egemonia che riattiva un focolaio di discordie politiche a lungo sopito e non tiene affatto conto che le popolazioni musulmane e indù da sempre convivono in quei territori senza problemi E soprattutto la decisione indiana non mette in conto i danni a lungo termine del terrorismo jihadista.
Note:
i Masood Azhar, originario del Punjab pakistano, era uno dei tre prigionieri rilasciati dall’India in cambio della liberazione dell’equipaggio e dei passeggeri del volo di linea Indian Airlines IC-814 del dicembre 1999 che, nella rotta da Kathmandu a New Delhi, fu dirottato verso Kandahar, nell’Afghanistan allora governato dai Talebani. I dirottatori appartenevano al gruppo fondamentalista con base in Pakistan Harakat-ul-Mujahideen.
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