
di Maria Morigi
C’è di che sentirsi sotto assedio: da una parte dictat a boicottare le Olimpiadi di Pechino e il cotone dello Xinjiang, dall’altra minacce di sanzioni utili ad abbassare gli standard di sviluppo cinese/russo… infine la terza via gratificante, colorata, poetica e leggera dello spettacolo Shenyun.
Nella religione tradizionale cinese, l’ideogramma Shen (神) indica “Spirito” o “essere divino” (la religione tradizionale è detta anche Shenismo); l’ideogramma Yun (韻) significa “ritmo, rima, portamento personale”. I due termini uniti si possono tradurre come “la bellezza degli esseri divini che danzano”: un’ immagine manieristica e convenzionale della Cina com’era, prima del Comunismo, ovviamente. Peccato che nella trappola cadano come allocchi -non sappiamo se in buona o cattiva fede – Politeama e Teatri comunali, programmazioni di festival e centri culturali: solo in Francia spettacoli di Shenyun saranno in tournée 2022 à Paris, Tours, Nantes, Roubaix, Nice, Montpellier et Aix-en-Provence… A Trieste danze Shenyun a fine gennaio al Teatro Rossetti (biglietti già in vendita).
Ma vediamo di che si tratta: le acrobatiche performances di danza sono ‘espressione artistica’ della setta buddhista del Falun Gong o Falun Dafa cioè “Pratica della Ruota del Dharma/ Ruota della Legge”, i cui adepti sono sparsi nel mondo. Chiarisco che l’uso del termine “setta” fa parte del linguaggio tecnico di Scienze delle religioni (anche Scienze sociali e antropologiche) per definire realtà comunitarie o associazioni con specifiche caratteristiche di fideismo in una particolare dottrina. Spesso le sette sono gruppi ereticali che si separano dalla comunità religiosa originaria, in questo caso il Buddhismo cinese.
Se oggi in Cina si percepisce un clima di distensione religiosa, non è stato così negli anni ‘90 quando la tensione arrivò alle stelle a causa della setta del Falun Gong, che mise a dura prova l’autorità dello Stato e divenne protagonista di proteste e manifestazioni. Il Falun Gong segnò infatti un gravissimo ‘incidente di percorso’ nel rapporto Stato – libertà religiosa. Le regole base di tale rapporto stanno nella Costituzione della Repubblica Popolare, Capitolo II, Articolo 36: “I cittadini della Repubblica Popolare Cinese godono del diritto di libertà religiosa… Lo Stato protegge le normali attività religiose. Nessuno può fare uso della religione per impegnarsi in attività che disturbano l’ordine pubblico, mettono in pericolo la salute dei cittadini o interferiscono con il sistema di istruzione dello Stato. Gli enti religiosi e gli affari religiosi, non sono soggetti ad alcuna dominazione straniera[o controllo estraneo]”.
Il Falun Gong, incorporando elementi della tradizione taoista, sostiene la pratica della meditazione, enfatizza la moralità e la coltivazione della virtù. Introdotto nel 1992 per mezzo di conferenze pubbliche dal guru fondatore Li Hongzhi, inizialmente godette di sostegno da parte governativa, ma, dalla metà degli anni ’90, il Partito Comunista e gli organi di pubblica sicurezza lo videro come una potenziale minaccia (secondo stime confermate il numero di praticanti si aggirava su alcune decine di milioni); per di più non fu mai condiviso, anzi fu messo al bando dalle Scuole buddhiste ‘storiche’ cinesi, e non senza ragione.
Le teorie professate preoccupavano il governo, sia per la loro singolarità (ad esempio: la terra è già stata distrutta 81 volte, e solo il guru Li Hongzhi ha il potere d’impedire un’ altra distruzione; la terra è la spazzatura dell’universo e solo seguendo il Falun Gong si può evitare di finire nella discarica…), sia perché chi decideva di aderire alla setta doveva: 1-dar via tutti i suoi possessi, 2-non temere di far del male ai propri congiunti e parenti, 3-non assumere medicine né rivolgersi ai medici in caso di malattia. E poi c’era l’ultimo definitivo assioma dell’adepto: “considerare il Falun Gong al di sopra di ogni legge umana e/o costituzionale”, cosa questa che metteva in discussione l’autorità statale oltre ogni limite sopportabile.
Il principale crimine imputato a molti seguaci del Falun Gong fu di aver provocato la morte di persone: è assodato che circa mille seguaci della setta hanno perso la vita per aver rifiutato di sottoporsi a cure mediche, che diverse centinaia si sono suicidati, mentre una trentina di persone sono state uccise da fedeli della setta. E per ricordare qualche episodio atroce: Il 4 settembre 1998 un seguace s’è ucciso tagliandosi il ventre in cerca della “ruota della legge” che ogni praticante della setta avrebbe al proprio interno; il 23 gennaio 2001, 7 seguaci si sono dati fuoco in Piazza Tienanmen per il rito della “Consumazione” (per fortuna alcuni sono stati salvati dal pronto intervento medico e ospedalizzazione); nel giugno 2003 un seguace ha avvelenato e ucciso 16 persone al nobile scopo di aumentare i propri “poteri Gong”… ci sono centinaia di episodi, tutti documentati da prove di cartelle cliniche e resoconti di polizia.
Mentre Pechino conduceva una meticolosa ricerca sulle violazioni di diritti umani da parte della setta – la difesa dei diritti non è appannaggio del solo Occidente! – le tensioni culminarono in aprile 1999 con oltre 10.000 praticanti riuniti per chiedere riconoscimento giuridico e libertà dalle regole costituzionali. Il Partito avviò allora una campagna destinata a sradicare la pratica del Falun Gong. In ottobre 1999 la setta venne dichiarata ‘organizzazione eretica’ che minacciava la stabilità sociale. Il governo praticò il blocco dei siti web, ed ecco che immediatamente solerti gruppi occidentali per i diritti umani riferirono di abusi, torture, detenzioni extra giudiziali, lavori forzati… dunque, niente di nuovo sotto il sole!.
Negli anni successivi alla repressione governativa, gli aderenti del Falun Gong sono emigrati per lo più negli Stati Uniti che li finanzia in funzione anti-cinese, come risulta dai libri contabili delle associazioni per i diritti che fanno capo alla NED National Endowment for Democracy. (E per chiarire, sono finanziati da NED anche gli Uiguri del World Uyghur Congress che tanto piace ai nostri Radicali).
Oggi il Falun Gong, chiede ancora – in nome della democrazia – la fine e la delegittimazione del PCC e rappresenta una voce di primo piano della cosiddetta ‘comunità dissidente cinese’. Le sue bandiere sono ben identificabili nei cortei di protesta di Hong Kong fin dal 2014, ma anche a New York, Sidney, Singapore, Milano… I suoi spettacoli Shenyun sulla Cina “felice” prima del Comunismo hanno grande successo, visto che, nel mondo dell’apparenza e della propaganda, ormai solo pochi ‘antiquati’ testardi sanno la vera verità sul Falun Gong. Pechino preferisce non parlarne o, se provocata, risponde con fermezza: la credibilità dello Stato non deve retrocedere di fronte ai ricatti dei profeti democratici della libertà di opinione.