di Marco Dell’Aguzzo
Con il mercato spot del gas l’Europa pensava di mettere in difficoltà la Russia, che invece si adeguò velocemente. Bruxelles non tenne conto dei rischi: ecco perché. L’analisi di Demostenes Floros, senior energy economist del Centro Europa Ricerche (Cer)
La carenza di gas naturale in Europa – che alcuni riconducono principalmente alla Russia, ma non è la sola causa – sta facendo crescere i prezzi del combustibile in un momento dell’anno delicato: la stagione fredda, quella in cui la domanda di energia è più alta per il riscaldamento, è vicina, e le scorte sono generalmente su livelli bassi.
Non è tutto. Secondo l’agenzia di rating S&P Global Ratings, i prezzi dell’energia in Europa continueranno a crescere anche nel 2022 e nel 2023, parallelamente alla diminuzione dell’offerta.
“Nel passaggio dai contratti del gas oil-link a quelli spot i paesi consumatori potrebbero trovarsi in una situazione peggiore rispetto a quella precedente”, ha detto a Start Magazine Demostenes Floros, senior energy economist del Centro Europa Ricerche (CER), responsabile dei mensili Rubrica del Mercato Petrolifero e Geopolitica dell’Energia e responsabile del X corso di Geopolitica all’Università Aperta di Imola. È autore di Guerra e Pace dell’Energia. La strategia per il gas naturale dell’Italia tra Federazione Russa e NATO.
I CONTRATTI DEL GAS LEGATI AL PETROLIO
Floros spiega che “nel mercato regionale europeo del gas naturale, sino a pochissimi anni fa, i contratti cosiddetti take or pay erano quasi tutti oil-link: il prezzo del gas, cioè, variava in base all’andamento di un paniere di prodotti petroliferi – in particolare, gasolio da riscaldamento e olio combustibile – venutisi a determinare nel corso del semestre precedente”.
Questo tipo di contratti take or pay oil-link, precisa l’analista, “erano stati fortemente voluti dai paesi consumatori sulla scia dello shock petrolifero del 1973. Prevedevano la fornitura/acquisto di un determinato ammontare di gas ad un prezzo in parte concordato e tendenzialmente stabile. Essi avevano una durata che poteva raggiungere anche 25-30 anni. Parecchi sono quindi tutt’ora in essere”.
LE PENALI
“Nel caso in cui una delle controparti non avesse rispettato gli accordi presi, scattavano delle penali piuttosto salate. Ad esempio”, spiega Floros, “se l’acquirente non avesse ritirato un predeterminato quantitativo della materia prima entro un preciso arco di tempo, avrebbe sborsato sino all’80% del valore dell’accordo)”.
IL VANTAGGIO PER I VENDITORI
“Per i venditori come Gazprom, Statoil, Sonatrach e Socar, i contratti oil-linkerano molto più vantaggiosi rispetto a quelli spot (scambiati soprattutto nel hub olandese TTF in Olanda, il più importante in UE), i cui prezzi erano molto più bassi”.
COSA FECE GAZPROM CON ENI
“A onore del vero”, precisa Floros, “la Gazprom intervenne più volte per rinegoziare i propri take or pay in essere, rendendoli meno gravosi per l’acquirente-consumatore: per ben tre volte con ENI, cosa che invece non fecero i norvegesi dell’allora Statoil, oggi Equinor, sino a quando non furono costretti, perché citati in giudizio dal Cane a Sei Zampe”.
LA SVOLTA VERSO LO SPOT
“Complice il difficilissimo contesto politico (a partire dalla crisi Ucraina)”, prosegue l’analista, “a Bruxelles intimarono a gran voce di modificare la cornice contrattuale dei contratti gasiferi da take or pay oil-link a spot sul modello del mercato regionale nordamericano e con una durata molto più breve rispetto ai precedenti (in realtà, alcuni contratti prevedono che nel caso in cui le oscillazioni dello spot fossero superiori al 30%, si ritorni all’oil-link)”.
“Così facendo, l’Unione europea riteneva scioccamente di mettere in grossa difficoltà la Federazione russa, la quale invece si adeguò velocemente al nuovo contesto, senza invece tenere conto dei rischi ai quali l’Unione andava incontro. E dire che il responsabile dei contratti della Gazprom, Sergey Komlev, più volte, durante i suoi interventi in Italia (Forum Italia-Russia di Milano, Forum Eurasiatico di Verona, Forum NE-Nomisma Energia di Bologna), ci aveva messi apertamente in guardia sulle possibili conseguenze negative”.
“Tengo comunque a precisare”, conclude Floros, “che un’analisi seria che confronti l’andamento dei prezzi nei due modelli contrattuali – oil-link e spot – necessiterebbe di un arco di tempo che non è ancora giunto a maturazione”.
LA QUESTIONE DEL GNL
A contribuire all’aumento dei prezzi del gas naturale in Europa, oltre alle politiche russe di limitazione dei flussi, è anche la forte domanda di gas naturale liquefatto (GNL) in Asia, che ha attirato a sé carichi che altrimenti si sarebbero diretti nel Vecchio continente.
Il GNL però, spiega Floros, “permane quasi sempre più costoso del gas spedito via tubo”.
“È vero che il mercato asiatico è ancora in larga parte caratterizzato da contratti take or pay oil-link e che i gasdotti siberiani che riforniscono l’Europa sono diversi da quelli che approvvigionano la Cina (il Power of Siberia). Ma commetteremmo un errore esiziale se ritenessimo che “il mercato dei due forni” – così lo definì Il Sole 24 Ore, anni or sono – non aumenterà il rapporto di forza del fornitore (la Federazione russa) soprattutto, in presenza dello spot.
“Che cosa succederà ai prezzi”, si chiede Floros, “quando russi e cinesi, e potenzialmente anche mongoli, apriranno la West Route, attraverso il Kanas Pass? In quel caso, mi permetto di ricordare che il gas che rifornirà quest’ultimi verrà estratto dagli stessi giacimenti che oggi approvvigionano noi europei”.
L’INVITO ALLA POLITICA
“In conclusione, invito in primo luogo la politica italiana, ma non solo, a lasciare da parte la russofobia imperante, le cui conseguenze sono lesive dei nostri interessi nazionali al lato pratico, e ad adottare un sano pragmatismo scevro dalle logiche della Guerra fredda: chiedo troppo, o dobbiamo attendere un ulteriore aumento dei costi dei materiali che ci servono per rinnovabili e batterie?”
Le accuse alla Russia e l’aumento dei prezzi del gas sul mercato spot visti da Demostenes Floros, senior energy economist del Cer
Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino, ha detto recentemente che non è la Russia la causa dell’aumento dei prezzi del gas naturale in Europa, ma gli scambi sul mercato spot.
L’Agenzia internazionale dell’energia, un’organizzazione internazionale che si occupa di coordinare le politiche energetiche dei paesi membri, aveva chiesto a Mosca di inviare quantità maggiori di gas naturale in Europa per alleviare la crisi energetica: i prezzi del gas sono cresciuti del 280 per cento quest’anno, e i livelli di stoccaggio in previsione della stagione fredda sono bassi.
COSA HA DETTO PESKOV
I paesi europei, ha detto Peskov, “preferiscono concentrarsi sulle forniture spot, sul mercato spot. È esattamente il mercato spot che porta a questi salti, come questo aumento dilagante dei prezzi”. Più che al mercato spot – quello che prevede una compravendita immediata di gas -, la Russia e la società energetica statale Gazprom preferirebbero che l’Europa firmasse dei contratti di fornitura a lungo termine.
LA RUSSIA E IL MERCATO SPOT
Eppure il mercato spot non rappresenta uno svantaggio per la Russia. Lo ha spiegato a Start Magazine Demostenes Floros, Senior Energy Economist del Centro Europa Ricerche (CER), responsabile dei mensili Rubrica del Mercato Petrolifero e Geopolitica dell’Energia e responsabile del X corso di Geopoliticaall’Università Aperta di Imola. È autore di Guerra e Pace dell’Energia. La strategia per il gas naturale dell’Italia tra Federazione Russa e NATO.
“In un mercato spot”, ha detto Floros, “con 2/3 fornitori di grandi dimensioni, dove la Gazprom copre oltre il 40 per cento delle forniture dell’Unione europea, la cui produzione interna diminuisce costantemente da anni, le tensioni internazionali si rifletteranno immediatamente sul gas naturale che – mi permetto di ricordare – farà da ponte tra l’era delle fonti fossili e quella delle rinnovabili”.
GAS E TRANSIZIONE ENERGETICA
“Inoltre, la transizione energetica non solo comporterà un aumento significativo dei costi, che oggi si scaricano quasi per intero sul fattore lavoro, ma non è affatto detto che essa avverrà pacificamente. A tal riguardo”, aggiunge l’analista, “mi permetto di riportare le parole pronunciate dal segretario di stato americano Anthony Blinken lo scorso aprile: [se Washington non aumenterà gli investimenti verdi], “l’America perderà l’opportunità di modellare il futuro climatico del mondo, in un modo che rispecchi i nostri interessi e valori”.
LE ACCUSE ALLA RUSSIA
Sono molte le voci che accusano Gazprom, che ha il monopolio sull’esportazione di gas via tubature, di stare limitando le sue vendite all’Europa, contribuendo all’aumento dei prezzi. Una quarantina di politici europei hanno chiesto alla Commissione europea di indagare sull’impatto delle pratiche di Gazprom sul mercato del gas.
Su questo punto, Floros evidenzia una contraddizione logica tra gli europei e gli americani, che guardano con preoccupazione all’influenza di Mosca sul Vecchio continente. “Se i russi ci forniscono grandi quantità di gas”, dice, “allora è a rischio la nostra sicurezza energetica, perché siamo troppo ‘ricattabili’ da parte di Mosca. Se invece”, prosegue, “i russi non ci riforniscono di tutto il gas di cui abbiamo bisogno, allora ci ricattano comunque, vuoi sui gasdotti, o speculando sui prezzi. Non mi pare un modo serio di ragionare, si mettano d’accordo”.
COSA FA GAZPROM
“Nei primi 8 mesi e mezzo del 2021, Gazprom ha prodotto 357,7 Gm3 di gas naturale (+17,8% anno su anno, pari a 53,9 Gm3)”, ricostruisce Floros.
“Nel contempo, le esportazioni russe di gas al di fuori dell’ex-Urss hanno raggiunto 138,6 Gm3, prossime al record di 141,3 Gm3 stabilito nel 2018 (+17,4 Gm3 anno su anno, pari a 20,6 Gm3). Ciò è stato possibile nonostante le forniture verso la Cina attraverso il gasdotto Power of Siberia attivo da dicembre 2019 siano anch’esse frattanto cresciute (per la precisione, eccedendo regolarmente l’ammontare giornaliero contrattualizzato). Nello specifico, nei primi 8 mesi del 2021, esse hanno raggiunto 6,4 Gm3 (+270% anno su anno).
“Tutto si può dire”, conclude Floros, “tranne che i russi abbiano ‘il braccino corto’, come si dice dalle mie parti. La verità è un’altra: coloro i quali oggi avanzano le critiche a Mosca sono gli stessi che ieri gridavano in favore dello spot in maniera totalmente acritica. E il peggio, temo, è là da venire”.