Francesco Galofaro, Università di Torino
L’attuale conflitto aperto dal presidente polacco Morawiecki nei confronti della UE, rappresentata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, contiene giravolte inspiegabili. Sembrava che Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość – PiS), la formazione di destra social-clericale che attualmente governa la Polonia, si fosse piegata alle richieste di Bruxelles in tema di riforma della giustizia: il 7 agosto scorso il presidente del partito, Jaroslaw Kaczynski, aveva annunciato lo stralcio dalla riforma della giustizia di una norma che prevedeva un organismo disciplinare per vigilare sul potere giudiziario e che aveva suscitato le ire della Corte di giustizia della UE; secondo il governo polacco, il nuovo sistema sarebbe ispirato a quello in uso in Germania e in Spagna.
L’apparente retromarcia va vista in relazione alla minaccia, da parte della UE, di tagliare fondi e sussidi al Paese. Da anni infatti la Polonia si avvale di aiuti UE, coi quali ha costruito le proprie autostrade e ammodernato le ferrovie. Il PiS si è spesso intestato il merito della crescita economica, ma la realtà è che l’economia polacca dipende strutturalmente da questi finanziamenti. Mentre scrivo, l’EU minaccia di trattenere ben 23 miliardi di euro in sovvenzioni e 34 miliardi in prestiti a tasso agevolato, stanziati per la pandemia. Una scelta eticamente discutibile e controversa, dato che la Polonia è in piena “quarta ondata” di contagi da COVID, ma politicamente efficace.
Ad ogni modo, negli ultimi giorni il governo polacco sembra aver cambiato di nuovo idea e alza il livello dello scontro: l’8 ottobre la Corte costituzionale polacca ha dichiarato alcune norme del trattato che fonda la UE incompatibili con la Costituzione. In particolare, si tratta dell’articolo 1, che introduce una “nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”; dell’articolo 2, che contiene i valori del rispetto della dignità umana, compresi i diritti delle minoranze; dell’articolo 19, che sancisce la giurisdizione della Corte di giustizia dell’UE. Secondo i giudici polacchi, gli articoli 1 e 4 del trattato UE consentono all’Unione di agire oltre i limiti di competenza trasferiti dalla Repubblica di Polonia nei trattati. Gli articoli 2 e 19 permettono alla Corte di giustizia europea di annullare illegalmente la costituzione polacca. Come si vede, il problema non è più il merito della questione, ma chi ha il diritto di decidere. Non si tratta del rapporto tra potere esecutivo e giurisdizionale e del rispetto dei diritti LGBT; la posta in gioco di questa escalation politico-giudiziaria è il prevalere del diritto dell’Unione europea (che non è una democrazia ma difende i diritti civili) su quello di uno Stato sovrano (che in alcuni casi può minacciare i diritti civili ma è pur sempre una democrazia).
I giornali hanno scritto a lungo del conflitto in corso, ma – a mio parere – ne sottovalutano gli aspetti geopolitici. Si contrappongono nettamente due schieramenti: la Commissione europea è supportata dallo schieramento liberale alla guida di Paesi come Francia e Germania, che mirano a un’Unione più integrata sotto la propria guida, con l’ambizione di pesare di più nell’agone internazionale. Dall’altra parte abbiamo uno schieramento di destra sociale conservatrice, alla guida di Paesi come Polonia e Ungheria, che non possono essere considerati caricaturalmente “sovranisti”. Negli anni, il gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) ha delineato una propria visione dell’Europa e del proprio ruolo. Attraverso il Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei hanno stabilito relazioni con partiti conservatori europei e del mondo (i Repubblicani USA, i conservatori UK). Hanno elaborato un proprio modello di Stato, e, per attuarlo, contendono ai Paesi guidati da liberali l’egemonia sull’Unione europea. Tutt’altro che la Polexit, insomma.
Il gruppo di Visegrád è formato da Paesi la cui idea di democrazia – ha fatto notare Carlo Galli – ha le proprie radici nell’anticomunismo; non nell’antifascismo, come i Paesi dell’Europa occidentale. La loro collocazione geografico-politica è stata definita “Europa centro-orientale” da studiosi come Piotr S. Wandycz (1923-2017), professore emerito dell’Università di Yale. In questo modo si critica la prospettiva occidentalista per cui i Paesi dell’ex patto di Varsavia sono genericamente “Europa dell’est”, sottolineandone l’autonomia culturale e politica tanto dalla Russia quanto dalla Germania. Per ragioni storiche, infatti, questi Paesi hanno sempre dovuto conquistarsi un’autonomia su due fronti, resistendo ad ogni processo di assimilazione (tanto di germanizzazione, quando di russificazione). Questo fa sì che vadano spesso a cercare i propri alleati altrove: nella prima metà del ‘900, in particolare, si è trattato di USA e Regno unito. Tutt’ora, l’ingresso di questi Stati nella UE è stato solo il preludio per la loro integrazione nella NATO. Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria sono entrate nella NATO nel 1997; in Ungheria si tenne un referendum che ebbe il risultato plebiscitario dell’85% di favorevoli. La Polonia ospita basi militari USA permanenti ed è un tassello strategico dei sistemi balistici antimissile che minacciano la Russia. Nel 2014, dopo l’annessione russa della Crimea, la Polonia attivò la NATO invocando l’articolo 4 del trattato atlantico (“le parti si consulteranno ogni volta che, a giudizio di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti è minacciata”).
Certamente, PiS aveva più affinità ideologiche con gli USA di Trump che con l’amministrazione Biden, e non sono mancati i dispetti. Ad esempio, in estate il governo aveva annunciato di non voler rinnovare la licenza di trasmettere al canale TVN24, vicino all’opposizione liberale e posseduto da Discovery channel, sulla base di una nuova legge che impedisce la proprietà non europea dei mezzi di comunicazione di massa, motivata dall’intenzione di chiudere le TV polacche al capitale russo. Dopo molte polemiche, gli USA hanno richiamato all’ordine il presidente polacco Andrzej Duda chiedendogli di porre il veto sulla legge; d’altro canto, Discovery channel ha ceduto la quota di maggioranza della televisione. Il prevedibile compromesso dimostra come gli USA rimangano l’unico partner strategico della Polonia, che primeggia tra i membri che aderiscono alla NATO in funzione anti-russa e vede come il male assoluto l’accordo russo-tedesco rappresentato dal Nord Stream.
Per tutte queste motivazioni, il conflitto tra Polonia e UE va inquadrato nella più ampia crisi interna alla UE e delle sue relazioni con il resto della NATO. Il 20 ottobre, infatti, nel contesto delle dichiarazioni sul conflitto in corso con la UE, il presidente Morawiecki ha dichiarato di essere “per un’Europa della difesa all’interno della Nato”. Escludendo la “Polexit”, di fatto Morawiecki schiera la Polonia con gli USA contro l’esercito comune europeo in un momento in cui i rapporti tra USA, da un lato, Francia e Germania, dall’altro, sono al minimo storico; gli USA hanno sostituito il più agile accordo nucleare AUKUS alla NATO nel ruolo di contenimento della Cina; la UE non è mai stata così debole quanto a politica internazionale.
Se i nazionalisti polacchi approfittano della debolezza UE per alimentare le proprie meschine ambizioni, non bisogna credere però che vi sia una vera alternativa in Polonia. Le ragioni culturali dell’accordo di Visegrád e le direttrici della politica estera polacca sono profonde e durature, e non mutano a seconda della maggioranza. Non ci si può attendere che la destra liberale polacca, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, porti avanti una linea diversa dall’atlantismo e dalla fedeltà a Washington, candidandosi anzi a sostituire il Regno unito nel ruolo di curatore degli interessi americani entro l’Unione europea. Come ho affermato più volte, Piattaforma Civica (in polacco: Platforma Obywatelska – PO) è una formazione di destra liberale conservatrice, che in passato ha approvato l’ora di religione nelle scuole, sostiene la castrazione chimica ed è contraria ai matrimoni e alle adozioni gay.
Per tutte queste ragioni, è improbabile che la mossa di Morawiecki abbia qualcosa a che vedere con la chiacchierata Polexit. Si tratta piuttosto di un passo entro un disegno politico più ampio che vede il gruppo di Visegrád proporsi agli USA come partner affidabile, cercandone l’appoggio entro una lotta per l’egemonia nella UE a guida franco-tedesca, mantenendo attiva la parte della NATO che mira al contenimento della Russia con ogni mezzo necessario, incluso quello militare.