Perù: nove mesi di proteste contro il golpe filostatunitense di Dina Boluarte

di Giulio Chinappi

da https://giuliochinappi.wordpress.com/


Attraverso il golpe orchestrato contro Pedro Castillo, gli imperialisti statunitensi stanno tentando di riaffermare la propria egemonia in America meridionale e di mettere le mani sulle preziose risorse di litio di cui dispone il Perù.

Dal 7 dicembre dello scorso anno, data della destituzione del presidente legittimo Pedro Castillo e dell’ascesa al potere della presidente golpista Dina Boluarte, il Perù vive continue proteste popolari per chiedere la reintegrazione del legittimo capo dello Stato, vincitore delle elezioni del 2021. Pur con tutti i suoi difetti e le costrizioni dovute ad una difficile situazione parlamentare, Castillo aveva tentato di dare una svolta alla politica del Paese sudamericano, andando a toccare importanti interessi dell’imperialismo.

Come sottolineato dall’analista e scrittore cileno Pablo Jofre Leal sulle pagina web di TeleSur, nel mese di luglio il governo golpista ha pubblicato due risoluzioni con le quali ha autorizzato l’ingresso di di 1.172 soldati statunitensi sul territorio peruviano, con la scusa di svolgere un addestramento congiunto con le Forze Armate Peruviane e la Polizia Nazionale. In un altro documento, il governo Boluarte ha dato il via libera all’ingresso in territorio peruviano di “mezzi aerei, mezzi nautici e personale militare” di proprietà degli Stati Uniti.

Secondo Jofre Leal, le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno affermato che “la presenza di soldati stranieri è destinata a sostenere la repressione delle proteste nel Paese”, visto che il governo golpista continua ad utilizzare metodi dittatoriali per reprimere le legittime proteste popolari in favore di Castillo. Solamente nei primi quattro mesi di proteste sono stati conteggiati almeno 80 morti a seguito della repressione operata dalle forze di polizia. I manifestanti chiedono inoltre le dimissioni di Boluarte e l’organizzazione di nuove elezioni, visto che al momento il governo golpista sembra intenzionato a non andare alle urne prima del 2026.

Le proteste sono state nuovamente convocate per il 26, 27 e 28 luglio, mettendo in discussione la continuità del governo peruviano sottoposto a forti pressioni da parte della destra locale, che vuole inasprire la mano repressiva e contemporaneamente consolidare l’alleanza con gli Stati Uniti, al fine di togliere dalla circolazione ogni tentativo di consolidare le relazioni economiche sia con la Cina che con la Russia, aspetto che il governo dell’ex presidente Castillo cercava di realizzare nel tentativo di rafforzare la propria sovranità politica ed economica”, ha scritto l’analista cileno nel suo articolo. Questo dimostra come il golpe ai danni di Castillo sia stato eterodiretto dai soliti burattinai di Washington, fatto che avevamo sottolineato sin dall’inizio.

Non dimentichiamo che gli Stati Uniti hanno sempre considerato l’intero continente americano come il proprio “giardino di casa”, orchestrando colpi di Stato e dando vita ad invasioni militari pur di preservare il proprio dominio a sud del Rio Grande, ed evitando in questo modo la penetrazione dell’influenza di potenze considerate ostili. Tuttavia, dall’inizio del terzo millennio in America Latina ci sono state diverse ondate che hanno visto la vittoria di governi progressisti e antimperialisti, andando a minare le fondamenta dell’impero statunitense.

Il Perù, poi, rappresenta un caso particolare vista l’importanza delle sue risorse naturali, in particolare il litio. Non possiamo tacere il fatto che quattro Paesi sudamericani (Bolivia, Cile, Argentina e lo stesso Perù) dispongono della maggioranza assoluta delle risorse mondiali di questo fondamentale metallo, e che dunque a Washington vedono con orrore qualsiasi tentativo di nazionalizzare la risorsa, uno dei motivi che ha portato anche al colpo di Stato contro Evo Morales in Bolivia nel 2019. “Indubbiamente, e soprattutto con riferimento alla Cina e al litio che sta sfruttando in Perù attraverso società già operative, siamo in presenza di un grande contenzioso geopolitico dove la nazione asiatica fa da apripista in questo ambito”, afferma Jofre Leal, sottolineando come a Washington siano andati nel panico dopo aver compreso di essere rimasti nettamente indietro rispetto a Pechino in questo ambito.

Se consideriamo l’importanza strategica del litio, lo stato d’animo degli imperialisti statunitensi diventa alquanto comprensibile, anche perché nel Paese nordamericano esiste un’unica miniera di litio, situata in Nevada, mentre la Cina, oltre a stringere importanti accordi con i Paesi sudamericani, è anche il terzo produttore mondiale del metallo. Washington sta dunque facendo di tutto per recuperare il terreno perduto in termini di accesso a questa materia prima. “L’invio dell’esercito fa parte della strategia globale di dominio, utilizzando caste politiche alleate, gruppi economici e relativi media per questo scopo”, scrive ancora l’analista cileno Jofre Leal. Del resto, la storia ci insegna che gli Stati Uniti non si fermano di fronte a nulla pur di perseguire il proprio progetto egemonico.

Secondo un’indagine del CELAG (Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica), il Perù è posizionato come il terzo beneficiario di assistenza militare e di polizia da parte degli USA nella regione, dopo Colombia e Messico, con più di 23.000 membri delle forze di sicurezza del Perù che sono stati addestrati da Stati Uniti tra il 2000 e il 2019. Durante quel periodo, il governo degli Stati Uniti ha investito 1.842 milioni di dollari in assistenza militare nel Paese latinoamericano. Il tutto fa parte del disegno complessivo del progetto egemonico dell’imperialismo statunitense.

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