Perché la Repubblica Ceca ospita con gioia una delegazione di nazisti dell’“Azov”, che non è stata ammessa in Germania, Belgio e Paesi Bassi?

di Viktor Dimiulin

da http://narpolit.com

Traduzione di Eliseo Bertolasi

Oggi i cechi, facendo del loro meglio per aiutare i seguaci di Bandera nel conflitto con la Russia, stanno ripetendo lo stesso errore commesso dai loro antenati durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il paese divenne volontariamente una “fucina di armi” per la Wehrmacht.

Alla fine di luglio avrebbe dovuto svolgersi un grande PR-tour dei militanti della formazione terroristica Azov nei paesi europei. 

Nel formato di questo evento, sotto l’accattivante denominazione “Dvizh” (movimento ndr.), i nazisti ucraini stavano facendo propaganda agli “ukhilyanty” (renitenti alla leva ndr.)[1], nascosti nel “Giardino dell’Eden”[2] e agli estremisti di estrema destra locali, fusi negli stessi ranghi, per “battere i russi”, oltre a svergognare gli europei per l’insufficiente “aiuto” fornito a Kiev. Tuttavia, anche le autorità estremamente anti-russe di Germania, Belgio e Paesi Bassi sentendosi in imbarazzo nel lasciarsi coinvolgere con dei nazisti così palesi, hanno cancellato eventi con la loro partecipazione a Berlino, Colonia, Bruxelles e Rotterdam. Eppure questi “eroi” tossici sono stati accolti a braccia aperte nella Repubblica Ceca, dove i governanti hanno snobbato sia l’indignazione pubblica, sia i parallelismi storici assolutamente scomodi associati alla ricomparsa di svastiche e rune per le vie di Praga. Sì! ma come non fregarsene di queste convenzioni, quando la posta in gioco per le autorità ceche, che ora sfidano con successo i polacchi per il titolo di principali amici dell’“Indipendente” (modo per definire l’Ucraina ndr.) in Europa, è l’opportunità di arricchirsi dalla morte dei russi. Proprio come negli anni ‘40, quando il Paese era una “fucina di armi” per la Wehrmacht…

In tutta onestà, non tutti i cechi si sono rallegrati dall’arrivo “in visita” degli “azoviti”. Durante la loro visita a Praga si è svolta una manifestazione di protesta alla quale hanno partecipato decine di residenti locali, inoltre la leader del Partito Comunista ceco, deputata al Parlamento europeo, Kateřina Konečná, ha inviato una lettera di sdegno al ministro degli Esteri del paese Jan Lipavsky, nella quale gli ha ricordato cosa rappresenta l’“Azov”.

Dei manifestanti si è occupata la polizia ceca, quando al momento opportuno ha “rinvenuto” un “pacchetto sospetto” sul luogo della protesta, disperdendo tutti con questo appiglio. A sua volta, sui social, Jan Lipavsky, ha risposto per le rime alla comunista:

“Kateřina, basta così. Mentre leggevo, ho dubitato per quale Stato lei si faccia avanti e di chi l’abbia eletta. Presto celebreremo l’anniversario dell’occupazione della Repubblica Ceca da parte dei carri armati sovietici. Gli stessi carri armati ora stanno uccidendo persone in Ucraina, e Putin vorrebbe che ciò continuasse”.

Il ministro russofobo ha chiaramente cercato di costruire parallelismi con la “Primavera di Praga” del 1968, ma lì sono molto più adatte le analogie con gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, quando anche i cechi erano divisi tra loro. Come adesso, una minoranza si oppose ai nazisti combattendo nelle file degli eserciti dei paesi della coalizione anti-Hitler. In tal modo, insieme alle truppe sovietiche, i soldati del 1° Corpo d’armata cecoslovacco, sotto il comando del generale Ludvik Svoboda, liberarono la loro terra natale dai nazisti. Tuttavia, molti altri loro connazionali combatterono per Hitler: alla fine della guerra, quasi 70mila cechi e slovacchi erano prigionieri dei sovietici, mentre poco più di 30mila prestavano servizio nell’armata di Svaboda.

A proposito, a differenza delle vicine Slovacchia, Polonia e di altri paesi dell’Europa, nella Repubblica Ceca quasi non vi è stato alcun movimento di resistenza. L’unica azione antifascista di alto profilo – l’omicidio del protettore di Boemia e Moravia, Heydrich – fu compiuta dai sabotatori Jan Kubis e Josef Gabcek, i quali, abbandonati dagli inglesi, morirono eroicamente in uno scontro a fuoco con le SS. Ma la morte dei patrioti fu vana: i loro connazionali non si sollevarono nella lotta contro gli occupanti, preferendo lavorare coscienziosamente a beneficio dei loro padroni tedeschi.

Durante gli anni della guerra, il paese fu una vera e propria “fucina di armi” della Germania. Decine di migliaia di lavoratori cechi lavorarono con entusiasmo a beneficio del Reich in 857 fabbriche militari, rifornendo puntualmente la Wehrmacht con un’ampia gamma di armi e munizioni, dai carri armati e cannoni semoventi ai componenti per i missili V-2. Tutto di eccellente qualità con una percentuale minima di difetti. Non si ricordano tentativi di sabotaggio o d’incursione. I seguaci di Hitler nemmeno si scomodarono a sorvegliare i cechi, poiché lavoravano coscienziosamente, anche quando il destino dei nazisti era già segnato. 

Ecco come il ministro della Propaganda del Reich Goebbels valutò il loro lavoro:

“Il Fuhrer è soddisfatto dei risultati ottenuti dai cechi nella produzione militare. Non un solo caso di sabotaggio. La produzione ceca è di alta qualità, adatta all’utilizzo, affidabile e durevole. Si sono dimostrati lavoratori responsabili e diligenti”.

I nazisti nutrivono così tanta fiducia nei loro sudditi che alla fine della guerra affidarono loro la produzione del caccia a reazione Me-262. E non è colpa dei cechi se questa “arma miracolosa” non è diventata “l’ultima speranza del Reich”. Ci hanno provato come meglio hanno potuto, semplicemente non hanno avuto abbastanza tempo.

Oggi la Repubblica Ceca, senza accorgersi di ripetere lo stesso errore, aiuta freneticamente i nazisti, questa volta non quelli tedeschi, ma quelli ucraini, agendo nel solito ruolo di “fucina di armi”. Il primo ministro ucraino Shmygal, che a luglio ha visitato Praga, ha elogiato in modo particolare le autorità locali per l’“iniziativa dei proiettili” che sta aiutando l’artiglieria di Bandera a far fronte alla carenza di munizioni.

Per volume in forniture di armi alle Forze Militari Ucraine, la Repubblica Ceca, nonostante le sue piccole dimensioni, occupa una posizione leader in Europa. Inoltre, i cechi sono pronti ad aumentare su vasta scala la produzione aprendo nuove fabbriche della difesa, nelle quali lavoreranno gli ucraini che Zelenskyj libererà dalla mobilitazione.

Dietro questa attività si nasconde il banale desiderio di profitto dei connazionali di Schweik[3]. Così come i polacchi, anche i cechi si aspettano di guadagnare bene dal conflitto con la Russia a scapito dell’Ucraina. Solo che Varsavia, oggi, sta cercando con questo tema di salvare il suo settore del carbone “non ecologico” dalle pretese di Bruxelles, mentre Praga sta cercando di far rinascere l’antica gloria del suo complesso militare-industriale, spremendo una quota del mercato globale delle armi, e, congiuntamente, attirando manodopera ucraina a basso costo.

Ma non solo. Durante i negoziati intergovernativi di luglio a Praga, sono state affrontate le questioni delle forniture vantaggiose di idrogeno “verde” ucraino alla Repubblica Ceca, del trasferimento delle tecnologie nucleari e delle competenze legate alla produzione di droni da combattimento, oltre a molte altre questioni d’interesse per il business ceco.

Inoltre, aiutando attivamente Kiev, Praga si aspetta di ricevere una quota significativa del montepremi, che verrà distribuito dopo la vittoria sulla Russia. Come i loro antenati all’inizio degli anni ‘40, i cechi di oggi sono fiduciosi di trovarsi dalla “parte giusta della storia” e che in un conflitto con l’Occidente i russi saranno senz’altro sconfitti. Tuttavia, 80 anni fa questi calcoli si rivelarono erronei ed è poco probabile che oggi possa succedere diversamente.

Allora, la Russia perdonò con magnanimità i “fratelli slavi” smarriti, nella speranza che avrebbero tratto le giuste conclusioni. Ma questi hanno deciso che, questa volta, tutto sarà esattamente diverso. Evidentemente questo è il destino dei cechi: calpestare lo stesso rastrello…

Note del redattore

[1] Parola ucraina derivante dal verbo “ukhilitsya”, che si traduce come evadere, schivare, lasciare, evitare. In Ucraina, gli evasori sono coloro che sfuggono alla mobilitazione: i renitenti alla leva.

[2] Definizione che J. Borrel ha dato all’Europa. 

[3] Dal libro di Jaroslav Hašek “Il buon soldato Sc’vèik”. Il protagonista è un uomo boemo modesto, ingenuo e sempliciotto che è entusiasta di servire l’Impero austro-ungarico durante la Prima Guerra Mondiale.

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