di: Francesco Maringiò
Le ragioni del viaggio della speaker della Camera Usa a Taiwan sembrano più dettati da motivi interni agli Usa che a reali esigenze istituzionali. E non a caso hanno suscitato più di qualche perplessità anche in patria. Ma il problema vero è che il prezzo di questo gesto inopportuno, vissuto da Pechino come una provocazione a tutti gli effetti, lo pagherà il mondo intero.
Sembra quasi di rivivere la crisi dei missili a Cuba del 1962, che tenne il mondo con il fiato sospeso per 12 interminabili giorni. Perché, come allora, si cammina lungo un crinale molto accidentato e si corre il rischio, in ogni momento, di scivolare verso il baratro di una guerra di proporzioni inenarrabili.
Per queste ragioni la visita delle scorse ore è un brutto segnale, per almeno due ragioni.
La prima, la più macroscopica: la speaker Pelosi ha dato vita ad un atto unilaterale, in forza del suo ruolo istituzionale, che collide sia con la risoluzione 2758 dell’Onu (con cui le Nazioni Unite hanno riconosciuto Pechino come unico governo legittimo della Cina), sia con il comunicato sino-americano del 1979, con il quale gli Stati Uniti si impegnavano a riconoscere il principio già adottato dall’Onu nel 1971 ed a “mantiene in questo contesto con il popolo di Taiwan rapporti non ufficiali in ambito culturale, commerciale e in altri settori”. Evidentemente il viaggio della terza carica dello stato non può essere derubricata ad iniziativa personale e non ufficiale.
Di sicuro tutto questo non farà che incrinare profondamente il rapporto tra i due paesi. Ma la domanda, vista da Occidente è: quale messaggio si lancia al mondo intero? Siamo di fronte alla messa in discussione del diritto internazionale e di un ordine internazionale basato sulle regole ed il rispetto della sovranità degli stati?
La seconda questione attiene ai rapporti tra gli Usa e Taiwan. Perché le dichiarazioni rilasciate dalla speaker statunitense una volta atterrata, hanno contraddetto anche i principi sottoscritti, nel 1979, nella Legge sulle Relazioni con Taiwan. Questo accordo, infatti, non chiama assolutamente ed in nessun modo gli Usa ed intervenire al fianco di Taiwan.
Questo atto non ha provocato soltanto il crollo della fiducia cinese nelle istituzioni americane e nelle loro decisioni strategiche, ma ha anche squadernato a tutti noi lo stato di confusione della strategia americana su questa vicenda. Una confusione nata da dichiarazioni e segnali completamente contrastanti tra di loro, che lasciano pensare ad un conflitto interno molto accentuato nelle stesse élite americane. Allora, stante così le cose, dobbiamo chiederci: cosa sta succedendo nella politica estera degli Usa? Quali implicazioni avrà tutto questo, non solo per la Cina, ma anche per il mondo intero e per i suoi alleati storici?
Sembra banale dirlo, ma ora più che mai diventa necessario rendersi conto che la palla passa all’Europa. Di fronte alla perdita di fiducia da parte cinese nei confronti degli Stati Uniti ed al deterioramento del quadro internazionale, l’Europa ha l’occasione di uscire dall’angolo e giocare una partita politica nell’interesse dei propri cittadini e del mondo intero. Smetterla quindi di giocare di rimessa ed inseguire gli Usa in nuove avventure belliche e contribuire a far diradare le nubi di una nuova guerra fredda. Il tempo, invece, si incaricherà di dimostrare se l’atto della speaker Pelosi sia stato una manifestazione di forza, oppure il segno di una profonda debolezza.