Pedro Castillo, tra incertezza e speranza

di Paulo Fernando Lévano – GRIS (Universidad de Lima)

Per gli entusiasti di numerologia, la recente conclusione del conteggio dei voti al ballottaggio presidenziale in Perù potrebbe essere motivo di interesse. Il conteggio si è concluso lo scorso quindici giugno, alle ore quindici (abbondanti), ed è risultato nella terza sconfitta consecutiva della candidata di “Fuerza Popular”, Keiko Fujimori. A batterla, per poco più di quarantamila voti, questa volta è stato Pedro Castillo, insegnante di scuola elementare impegnato nella lotta sindacale, nonché membro delle rondas campesinas, di cui diremo più avanti. Per ora, restiamo sui numeri.

Tre elezioni perse (2011, 2016 e ora 2021) equivalgono a tre periodi presidenziali, ciascuno di cinque anni, in cui il tentativo fujimorista di riappropriarsi del potere esecutivo si è visto frustrato. Contando i prossimi cinque anni, sono quindici gli anni in cui la volontà popolare priva Keiko della possibilità di sedere sul soglio presidenziale, costringendola ad all’opposizione. Anche se cinque di questi anni devono ancora trascorrere, cinque anni incerti e imprevedibili per l’intera nazione, l’aritmetica basta a quegli otto milioni ottocentomila peruviani come motivo per festeggiare la fiesta de quince años di Keiko.

La fiesta de quince años, importante rito femminile di passaggio, non è una tradizione peruviana, ma messicana. La sigla di una famosa telenovela (Quinceañera, apparsa in Italia come La debuttante) è oggi la colonna sonora di questa nuova sconfitta, a riprova dell’egemonia di questo genere televisivonell’America Latina del neoliberalismo e della globalizzazione. Dal giorno quindici c.m. alle ore quindici, trasmissioni di radio regionale e podcasts hanno ripreso le note iniziali del brano come richiamo alla terza volta che si impone il voto anti-fujimorista, quasi a ricordare che anche per Keiko è rimasto un passaggio da compiere dopo il quinceañero: non avendo avuto accesso alla presidenza, la Fujimori dovrà affrontare il maxi-processo che la identifica come capa di un’organizzazione criminale che ha usato il partito FP come facciata di un’operazione di riciclaggio di denaro. Il pubblico ministero ha chiesto trent’anni di prigione, sulla base di una complessa indagine lunga quindici mila cartelle (per eccesso).

A differenza delle stazioni radio regionali e dei podcasts (per lo più indipendenti, autogestiti e crowdfunded), i grandi canali di televisioni e i giornali di maggiore diffusione nel territorio nazionale non sembrano voler festeggiare, in uno spirito diametralmente opposto a quello delle emittenti televisive statunitensi interrompendo le conferenze stampa di Trump e i suoi sicofanti. Forse, un fatto della stampa internazionale aiuta a descrivere efficacemente il trattamento mediatico diseguale rivolto ai due candidati: la sera dell’11 aprile CNN non aveva una fotografia del profesor Castillo da collocare assieme al 16% che l’exit poll gli attribuiva, per cui una sagoma oscurata precedeva le fotografie di Keiko e di Hernando De Soto, uno dei padri fondatori del neoliberalismo peruviani, il quale sarebbe stato superato dall’imprenditore Rafael López Aliaga alla fine del conteggio, restando al quarto posto. 

Le ombre non avvolgono la sola sagoma di Castillo in quel servizio, anche se queste comunque non sono tali da giustificare l’operazione di propaganda e disinformazione finalizzata a screditare la candidatura di Castillo davanti agli elettori. Si è insistito molto sull’improvvisazione, la cifra distintiva del percorso che ha portato il candidato di “Perú Libre” alla giornata del 6 giugno. Un altro tema ricorrente è stato il ruolo, nel futuro governo di Castillo, del dott. Vladimir Cerrón, fondatore e segretario generale di PL, condannato nel 2019 per aver favoreggiato la sopravvalutazione di interventi nella rete idrica di La Oroya, in qualità di governatore regionale di Junín (incarico dal quale è stato sospeso di conseguenza). All’improvvisazione bisogna quindi aggiungere le motivate preoccupazioni di chi ha affidato il proprio voto a un partito come PL a mo’ di reazione di fronte al prospetto di un ripristino del fujimorismo.

La vittoria di Castillo non è stata ancora proclamata: al conteggio dei voti seguono tutti i ricorsi presentati di FP al tribunale elettorale, allo scopo di annullare i voti emessi nelle regionI dove PL ha vinto per differenze insormontabili: Puno, Cusco, Ayacucho, Huancavelica, Apurímac, e in generale tutto il Perù andino, contadino e quechuofono. La strategia, tanto sistematica dal punto di vista dell’impiego di avvocati quanto labile probatoriamente, si è rivelata un fallimento, ma è riuscita a fomentare la sfiducia nella giustizia elettorale e in un processo lodato da osservatori nazionali e internazionali, libero di intromissioni del governo Sagasti, un processo trasparente in cui tutti i documenti elettorali sono stati digitalizzati e resi pubblici. I ricorsi di FP sono stati rifiutati dai giudici, i cittadini andini accusati di partecipare a un’inesistente frode si sono serviti delle reti sociali per alzare la voce e rifiutare le accuse, eppure è molto probabile che le fake news diffuse dai sicofanti di Keiko non si fermeranno nemmeno con la proclama ufficiale.

Non può però passare inavvertito un fatto alquanto curioso: pur essendo consapevoli che i prossimi cinque anni di quinceañero avranno come tratti distintivi l’instabilità politica e l’ingovernabilità, l’opposizione fra parlamento e potere esecutivo, la polarizzazione fra giornalismo indipendente e giornalismo di señal abierta (grandi canali e giornali), è la prima volta, dopo soli duecento anni di vita repubblicana, un peruviano completamente slegato dalle élites urbane diventi presidente. Un rondero ma di quelle rondas storiche, che apparvero dopo la riforma agraria del 1969 come forma autoctona di  giustizia contadina, con una storia indipendente dallo sviluppo dei comités de autodefensa sorti durante il conflitto interno con Sendero Luminoso. Una di quelle tante facce del Perù plurinazionale che la costituzione neoliberale del 1993 ha ridotto all’uniformità del mito del progresso economico a oltranza. Si tratta di una forma di giustizia parallela sorta fra coloro il cui voto era ritenuto facile da annullare, coloro che per 200 anni sono stati gli invisibili, gli illegittimi, gli incompresi nell’idea cosmopolita di Perù che vive nella poetica di un autore come Vargas Llosa, il caso più noto di fujimorismo asintomatico di fronte al quale il voto del 6 giugno è da interpretarsi, riprendendo le parole del giornalista César Hildebrandt, come risposta immunitaria del popolo.