di Maria Morigi
da https://lantidiplomatico.it/
ll visitatore della Città Proibita non manca di fermarsi al Gùgong Bówùyùan, “Museo del Palazzo” ospitato all’interno della Città Proibita, centro cerimoniale e politico fino alla caduta dell’Impero.
Nel 1924, l’ultimo imperatore Puyi fu sfrattato dalla Città Proibita e là il 10 ottobre 1925 fu istituito e aperto al pubblico Il Museo del Palazzo di Pechino sotto la giurisdizione del Ministero dell’Interno della Repubblica di Cina.
Un’ispezione del 1925 accertò che circa 1,17 milioni di pezzi d’arte erano allora conservati nella Città Proibita e le biblioteche imperiali ospitavano libri rari, documenti storici e governativi dei Ming e dei Qing.
Eppure il visitatore di oggi, ammirando le tante opere esposte, si accorge di “posti vuoti”, cioè dell’assenza di capolavori per i quali targhe e avvisi fanno riferimento al Museo del Palazzo di Taipei (Taiwan).
La frustrazione del visitatore si aggiunge all’impressione negativa provata di fronte alla targa di bronzo all’entrata del “Palazzo d’Estate” dove si legge che il 18 ottobre 1860 (II Guerra dell’Oppio) Lord Elgin, allora Alto Commissario britannico, ordinò la distruzione del Palazzo e che circa 3.500 soldati saccheggiarono e misero a ferro e fuoco padiglioni, sale e giardini (episodio denunciato Victor Hugo nella “Lettera al Capitano Butler” del 25 novembre 1861).
E, come informano altre targhe di bronzo, lo stesso copione fu seguito nel 1900 dal braccio armato dell’Alleanza delle Otto Nazioni (Austria-Ungheria, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) durante la rivolta dei Boxer. Così, se nel primo caso il visitatore mette a fuoco che al Museo del Palazzo di Pechino mancano pezzi significativi a causa delle minacce giapponese e comunista, nel secondo caso mette a fuoco che furono le potenze coloniali occidentali nel loro delirio di conquista a saccheggiare i tesori della Cina.
E adesso andiamo a Taiwan. Aperto al pubblico nel 1965, il National Palace Museum (Guólì Gùg?ng Bówùyuàn) di Taipei è il museo nazionale della Repubblica di Cina.
Ospita manufatti e oggetti d’arte e d’antiquariato trasferiti dal Museo del Palazzo di Pechino: una collezione composta da 697.490 pezzi che rappresenta oltre 8000 anni di storia cinese dal Neolitico alla Dinastia Qing.
Lo spostamento degli oggetti dalla Città Proibita a Taipei è un romanzo di suspence che inizia dall’invasione giapponese della Manciuria, quando il governo della Repubblica Cinese (Guomindang) decide di salvaguardare e trasferire verso Sud le collezioni selezionate da una commissione di esperti, chiuse in circa 20.000 casse sigillate. Il 4 febbraio 1933, le casse sono caricate su due treni diretti a Pukou, sulla riva sinistra dello Yangzi Jiang di fronte a Nanchino.
Un mese dopo, le casse vengono trasportate in barca a Shanghai e lasciate in un magazzino abbandonato; solo nel dicembre 1936 sono trasferite in treno a Nanchino. L’anno seguente le raccolte, separate in tre lotti, sono evacuate nel Guizhou e nel Sichuan con treno, camion e per via fluviale. Un lotto arriva nel Guizhou, ed è custodito nelle Grotte di Anshun; un secondo lotto di 9000 casse viene caricato a bordo di imbarcazioni che risalgono lo Yangzi fino a Chongqing, per arrivare nel settembre 1939 a Leshan (Sichuan); l’ultimo lotto (7000 casse) viene rimandato da Nanchino a Pukou, poco prima della presa della città da parte dei giapponesi. Da Pukou partenza per Hanzhong su una pericolosa strada di montagna.
Ma all’inizio del 1938 anche Hanzhong è sotto bombardamento giapponese e si prosegue per altri 600 km verso Chengdu, da dove il materiale è trasportato a Emei (il viaggio Pukou – Emei dura 19 mesi, da dicembre 1937 a luglio 1939). Fino al marzo 1947, la collezione viene custodita ad Anshun, Emei e Leshan, in Sichuan. Poi, assemblata a Chongqing, è spedita (su rotaia e fiume) a Nanchino dove entra a far parte del Museo del Palazzo di Nanchino.
Poiché era ormai prevedibile e prossima la vittoria di Mao Zedong, nel novembre 1948 il governo repubblicano decide di trasferire a Taiwan – su tre navi per l’attraversamento dello stretto – i pezzi più importanti, cui si aggiungono opere del Museo Nazionale di Nanchino, degli archivi della Biblioteca Nazionale e dell’Academia Sinica (altre 5.000 casse!). L’ultima nave lascia Nanchino nel gennaio 1949. Le raccolte scaricate al porto di Chilung sono trasportate alle grotte di Wufeng, dove rimangono alcuni anni. Nel 1965, le collezioni trovano sistemazione definitiva nel centro Sun Yat-sen, sobborgo a nord di Taipei.
Negli anni seguenti il governo della Repubblica di Taiwan ha utilizzato il tesoro a scopo propagandistico per dimostrare di essere l’unico governo cinese legittimo, in ragione del fatto che quaranta anni prima aveva preservato le testimonianze della civiltà cinese dall’invasione giapponese e dai cambiamenti rivoluzionari. L’operazione di propaganda però è fallita e dal 25 ottobre 1971 la Repubblica di Cina ha perso il seggio all’ONU, la sola Repubblica Popolare essendo riconosciuta titolare del seggio.
Oggi, potendo guardare in prospettiva storica gli enormi sforzi e la volontà dei cinesi nel costruire la nuova Cina post-imperiale, sarebbe auspicabile che il Patrimonio cinese non diventasse un’ulteriore arma di ricatto nelle mani di chi fomenta guerre, pratica interferenze e schiera flotte in mari lontani da casa sua invocando separazioni.
Vorremmo che i rancori finissero, che la spaccatura si saldasse per lasciare spazio ad una pacifica convivenza tra cittadini cinesi. Perché non è immaginabile la sopravvivenza di Taiwan senza la Cina. Sarebbe meglio che la Signora Presidente Tsai Ing-wen non si facesse strumentalizzare da chi è nemico giurato della R.P.C., e comunque dovrebbe sapere che le sue stupide esternazioni non passano inosservate. E d’altronde anche ai ciechi è evidente che, in altri luoghi della Cina, bene funziona l’autonomia regionale che ha dato ottimi frutti con largo margine di sviluppo e benessere.
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