di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it
Si avvicina sempre più il cambio della guardia alla Casa Bianca, con un probabile passaggio di testimone da Barack Obama a Hillary Clinton. Ci si può chiedere, in questo quadro, se sia casuale la rivelazione del New York Times del 16 giugno sull’esistenza di una profonda divisione all’interno del Dipartimento di Stato Usa in relazione alla politica condotta sino ad ora nei confronti della Siria.
Quel che racconta il prestigioso quotidiano non è certo sorprendente, tuttavia merita di essere preso in considerazione in quanto potrebbe delineare i contorni di una prossima svolta pericolosa. Un memorandum firmato da oltre 50 diplomatici critica fortemente la politica seguita da Obama in Siria ritenendo giunto il momento di adottare un atteggiamento più duro nei confronti del governo di Assad, ricorrendo anche ad attacchi militari (“uso giudizioso della forza”) per indebolirne la posizione e costringerlo a negoziare.
Il documento si qualifica tradizionalmente come una sorta di “rapporto di minoranza”, ma nello stesso articolo viene più volte ribadito come le opinioni riportare godano di appoggi e consenso anche ai piani alti del Dipartimento di Stato e dintorni. Robert S. Ford, ex ambasciatore in Siria, ha infatti dichiarato che “molte persone che lavorano sulla Siria per il Dipartimento di Stato hanno da tempo sollecitato una politica più dura con il governo di Assad come un mezzo per facilitare la conclusione di un accordo politico e impostare la nascita di un nuovo governo siriano”. E in questo governo – è facile trarne la conclusione – avrebbero maggiore spazio i “sunniti moderati” alleati di Washington.
Certo c’è il rischio di aumentare la tensione con la Russia, che appoggia militarmente lo sforzo di Damasco contro Isis e ribelli vari, ma – conclude il memorandum – ci sono imperativi superiori: “è ora che gli Stati Uniti, guidati dai nostri interessi strategici e dalle convinzioni morali, conducano uno sforzo globale per porre fine a questo conflitto una volta per tutte.”