di Enzo Pellegrin
Non è trascorso nemmeno un giorno dalla sentenza che ha rifiutato l’estradizione di Julian Assange, che l’attenzione mediatica è stata completamente sequestrata dal penoso spettacolo di fine impero dell’invasione di Capitol Hill.
Lo Stato che spesso e indebitamente sale in cattedra nel giudicare le altre democrazie, lo Stato che pretenderebbe di processare chi ha rivelato gli orrendi crimini di guerra dei suoi funzionari e militari, oggi si trova alla berlina di tutto il mondo.
Tuttavia vi sono luoghi dove lo spettacolo continua anche se il re è nudo. Uno di questi è la Westminster Magistrate’s Court in London, in persona della giudice di Sua Maestà Vanessa Baraitser, davanti al quale si scontrano gli Stati Uniti d’America contro Julian Pail Assange, in un procedimento in cui la giudice, definita da John Pilger una “personalità gotica”, è sembrata spesso, a detta di molti commentatori, pesantemente appoggiare la linea del governo statunitense. Eppure, con la sentenza del 4 gennaio 2021, la giudice Baraitser ha rifiutato l’estradizione di Assange.
L’atteso provvedimento della Corte Inglese ha inaspettatamente scongiurato nell’immediato la consegna di Assange allo Stato che lo vuole perseguire, tuttavia, il provvedimento non si è smentito più di tanto, confermando nel merito la fondatezza di tutte le richieste di rinvio a giudizio, per tutti i capi di accusa contestati, accuse sulle quali i bravi difensori di Assange avevano dato dura e fondata battaglia.
La sentenza resa dalla magistrata ha accolto solamente le richieste difensive per cui l’estradizione doveva essere rifiutata in quanto ingiustamente oppressiva, a cagione delle condizioni mentali dell’imputato, che lo avrebbero esposto ad un alto rischio di suicidio qualora detenuto in un carcere di massima sicurezza degli USA, secondo l’articolo 91 del Trattato di Estradizione vigente tra i Paesi. (pag. 16 sentenza Westminster Magistrate’s Court 4 gennaio 2021, lettera f); il testo integrale del provvedimento può essere trovato qui: https://www.judiciary.uk/judgments/usa-v-julian-assange/ ).
Tale atteggiamento “compassionevole” aveva fatto sperare ai difensori di Assange che la liberazione dietro cauzione, in attesa del processo d’appello, si sarebbe rivelata niente più che una formalità. Tuttavia, tali speranze sono completamente svanite nell’aria come spula quando la giudice Baraitser, poco dopo, rientrando nel proprio gotico personaggio, ha negato la liberazione su cauzione.
Tale decisione ha dello spettacolare: come ha notato l’ex ambasciatore inglese Craig Murray, sembrerebbe suggerire che la giudice non nutre alcuna fiducia nel suo stesso provvedimento, ciò malgrado vi siano pochi precedenti dell’Alta Corte (giudice di appello) che riformano un provvedimento di primo grado che rifiuta l’estradizione per motivi di salute e incolumità ai sensi dell’art. 91 del Trattato di Estradizione. (C. Murray, in J.Cook, Uk and US may not will Assange ’s Death but Everything They are doing makes it more likely, Global Research, Jan 8 2021, https://www.globalresearch.ca/us-uk-may-not-will-assange-death-everything-they-are-doing-makes-more-likely/5733906 ).
Niente cauzione e niente libertà, dunque, in attesa di un processo d’appello nel quale gli esperti ritengono arduo per il Governo USA ottenere una riforma od un annullamento della sentenza a loro non del tutto favorevole.
C’è allora da chiedersi perchè la compassionevole giudice Baraitser abbia candidamente deciso di negare la cauzione e la scarcerazione ad un soggetto che ha dichiarato ad elevato rischio di suicidio nella sua sentenza. In tal modo, le paventate conseguenze che hanno determinato il rigetto dell’estradizione, finiscono per verificarsi nelle prigioni inglesi anzichè in quelle statunitensi.
Johnathan Cook arriva ad affermare che con la sentenza il regno Unito dice e proclama di voler evitare la morte di Assange, ma quello che fa in pratica la rende più probabile.
Nel processo si era infatti accertato, anche in virtù delle ammissioni compiute dalla controparte USA, che Assange, una volta estradato, sarebbe stato confinato in uno degli stabilimenti penali di alta sicurezza federale, in massimo e solitario isolamento, condizioni che gli esperti medici intervenuti in giudizio hanno associato ad un elevato rischio di suicidio, a cagione delle condizioni mentali dell’imputato.
Tuttavia, col rigetto della libertà su cauzione, Assange continua ad essere ugualmente confinato nella HM Prison Belmarsh, stabilimento di altrettanta alta sicurezza del Regno Unito, la quale, come sempre informa Cook, viene conosciuta come la “Guantanamo Inglese”. Le condizioni di solitario isolamento che gli esperti associano al rischio suicidiario sono per gli stessi esperti state sperimentate dall’imputato proprio nella prigione inglese in cui è detenuto e in cui dovrà attendere il giudizio di appello.
Rifiutare poi la libertà su cauzione affermando che Assange è inaffidabile perchè già in una occasione aveva chiesto asilo politico all’ambasciata dell’Ecuador di Correa, è argomento insieme terribile e profondamente pretestutoso. Come i fatti storici ricordano, Assange fu costretto a chiedere asilo all’Ecuador perchè vi era il concreto pericolo di essere arrestato e poi estradato in forza dell’allora vigente un mandato di cattura svedese per le accuse di stupro, accuse che – come è noto – si erano rivelate completamente infondate!
Il lungo provvedimento della giudice Baraitser meriterà una successiva approfondita analisi sul merito dei capi di accusa in articoli successivi che promettiamo fin d’ora. Tuttavia, lo stato e l’oggetto del processo meritano sin d’ora qualche riflessione etica politica e giuridica.
La Magistrate’s Court ha ritenuto la fondatezza della richiesta di giudizio in ordine a tutti i capi di accusa, ivi compresa quella sulla asserita illecita divulgazione di notizie ritenute segreto di stato o militare, o comunque divulgazione tale da pregiudicare gli alti interessi della sicurezza nazionale.
Al contrario, però, le rivelazioni del media di Assange non hanno affatto rivelato informazioni militari o di sicurezza coperte dal segreto: le operazioni, i siti e le unità operative coinvolte erano già tutte di pubblico dominio, mentre non lo erano i comportamenti criminali rivelati, questi sì illecitamente nascosti dalle autorità governative per coprire ogni responsabilità in merito agli accertati abusi e crimini contro la popolazione civile in una guerra in cui si sono registrati oltre 109.000 morti tra i civili iracheni.
Uno degli episodi era appunto l’uccisione indiscriminata di ben 700 civili iracheni che si erano “avvicinati troppo” ad un checkpoint militare. Un altro era il famoso attacco avvenuto nel 2007 a Baghdad e documentato nel video “Collateral Murder”, nel quale si vede un elicottero che ha sparato ed ha ucciso ben 19 civili iracheni, 2 giornalisti dell’Agenzia Reuters, ferito gravemente 2 bambini che sono entrambi rimasti orfani del loro padre, ucciso dai militari USA perchè era arrivato alla guida di un furgone per soccorrere i feriti con i figli al suo fianco. L’atto è stato perpetrato senza aver alcun fondato sospetto che i civili stessero ponendo in essere atti di guerra, come ha specificato sul punto il relatore ONU contro la tortura Nils Melzer. Nel momento in cui isi vede arrivare il furgone che soccorreva i feriti, con accanto al guidatore due bambini, si sentono i soldati dire “Beh, è colpa loro se portano i bambini in guerra” e poi sparano, uccidendo il guidatore e ferendo gravemente i minori. (https://www.republik.ch/2020/01/31/nils-melzer-about-wikileaks-founder-julian-assange ).
Atti di questo tipo sono considerati crimini di guerra dal diritto bellico internazionale, come conferma lo stesso Melzer nell’intervista su Republik sopra citata. Crimini di questo tipo dovrebbero essere perseguiti dalle competenti Corti Internazionali, non nascosti.
Può infatti ancora parlarsi di segreto militare o di Stato quando le informazioni tenute nascoste dai Governi riguardano le condotte criminali dei loro funzionari? In questo caso,. rivelare tali informazioni, non solo non può essere considerato un crimine, ma diventa atto doveroso nei confronti delle vittime, dei popoli e della Comunità Internazionale che si proclama custode dei diritti umani sanciti nelle dichiarazioni e Convenzioni per la tutela dei Diritti dell’Uomo.
Conoscere se i propri funzionari, o i funzionari di un altro Governo, hanno commesso crimini perseguibili durante il loro mandato è condizione fondamentale per il diritto a “partecipare alla direzione degli affari pubblici nel proprio Paese” come sancisce l’art. 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948, ma anche per il diritto a che “sul piano sociale e su quello internazionale, regni un ordine tale che i diritti e le libertà enunciate nella presente Carta possano trovarvi pieno sviluppo”. I crimini rivelati sono comportamento invero contrari ai più fondamentali diritti umani sia in tempo di pace che in tempo di guerra, dalle Convenzioni sul diritto bellico e sui diritti della popolazione civile.
Potremmo mai considerare legittimo un segreto di Stato che illecitamente copre la responsabilità di autori e mandanti di stragi come quella della Stazione di Bologna in Italia o i responsabili dell’attentato dell’11 settembre 2001 a New York? Non dovremmo considerare reato anche ogni comportamento che copra le responsabilità, svii le indagini insabbi ovvero impedisca l’emergere di fatti penalmente rilevanti?
Soprattutto, il caso Assange riguarda il fondamentale diritto di manifestare il pensiero anche e soprattutto quando questo è contrario al volere od alla politica del proprio Governo, quando riveli informazioni di pubblico interesse che i Governo vogliono mantenere nascoste per coprire le proprie responsabilità ovvero per non essere democraticamente giudicati o controllati. Questo diritto non è espressione solamente di una libertà individuale, come molti ritengono. E’ cardine fondamentale e condizione necessaria per l’esercizio della fondamentale libertà collettiva di autodeterminazione dei popoli e delle comunità: controllare e mantenere propria la direzione della propria vita collettiva e sociale.
Come abbiamo imparato nell’emergenza pandemica, ogni bavaglio è spesso anche un peloso ed ipocrita guinzaglio: se i Governi non hanno nulla da nascondere del proprio operato, non possono impedire la piena conoscibilità e trasparenza dei loro atti, salvo eccezioni riguardanti l’urgenza e la sicurezza nazionale, che di certo nulla hanno a che fare con gli odiosi crimini commessi da propri funzionari in tempo di pace e di guerra.
La libertà di Assange è la stessa libertà dell’autodeterminazione dei popoli, libertà sacra e necessaria, per quanto indigesta o scomoda sia per le burocrazie dirigenti.