Una guerra contro la Siria. Tre motivi per non farla

La lettera del giorno. Risponde Sergio Romano | da Il Corriere della Sera

guarinoLa protesta in Siria si è ormai trasformata in guerra civile e sta divenendo ogni giorno più violenta e tragica. C’è però un aspetto che credo condizioni molti nel decidere un vero intervento contro Assad, ossia quello di «cadere dalla padella alla brace». I russi in particolare sembrano molto restii all’incognita di un cambio di regime. Gli americani, pur se la loro diplomazia sbandiera il contrario, credo abbiano imparato la lezione del «primo» Afghanistan quando la cura (l’appoggio ai talebani) si rivelò peggiore del male (l’invasione sovietica). E dopo l’equivoca evoluzione delle «primavere arabe» non crede che non si possa dare a entrambi loro torto? 
Mario Taliani, Noceto (Pr)

Quali problemi limitano un intervento Nato in Siria? Siamo spettatori di repressioni e massacri quindi in buona parte complici. È solo il veto russo che fa paura o c’è dell’altro?
Umberto Brusco, Bardolino(Vr)


Cari lettori, credo che contro l’intervento vi siano almeno tre buoni motivi. Dovremmo agire, anzitutto, contro gli interessi e i desideri di due grandi Paesi — Russia e Cina — che hanno un seggio permanente al Consiglio di sicurezza. È già accaduto nel 1999, durante la guerra del Kosovo, quando la Nato cominciò i bombardamenti senza il beneplacito dell’Onu, ma la Russia di Boris Eltsin era molto più debole della Russia di Putin. Oggi, mentre gli Stati Uniti si apprestano a installare basi missilistiche che i russi considerano ostili, una guerra della maggiore organizzazione militare occidentale contro l’amico e alleato di Mosca nel Mediterraneo avrebbe l’effetto di rendere glaciali i nostri rapporti con la Russia: una prospettiva che potremmo affrontare soltanto se i nostri interessi vitali dipendessero dalla sconfitta del regime di Bashar al Assad. È meglio quindi fare pressioni su Mosca perché faccia, a sua volta, pressioni su Damasco. Credo che la recente iniziativa francese per affrontare la questione siriana nell’ambito dell’articolo 7 della Carta dell’Onu (interventi militari) abbia questo scopo. A giudicare dalle ultime dichiarazioni del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, la Russia sembra del resto avere ammorbidito la sua posizione. Un’operazione militare contro la Siria, in secondo luogo, s a r ebbe più compl i c a t a di quella condotta contro la Libia. La contraerei siriana è molto più efficace di quella libica, il Paese è maggiormente popolato (più di 22 milioni), i centri urbani sono più numerosi e il regime, a differenza di quello di Gheddafi, è un blocco costituito da molti interessi: il partito Baath, la minoranza alauita, la borghesia degli affari e le minoranze religiose cristiane (16%) che non sono alleate di Assad, ma hanno tratto numerosi vantaggi dalla politica laica del suo governo e temono l’avvento di un regime islamico. Vi è infine, cari lettori, una terza ragione. L’esperienza libica ha dimostrato che l’eliminazione del tiranno non ha necessariamente per conseguenza l’automatico avvento di un regime democratico. Per governare il dopoguerra siriano la Nato dovrebbe andare sul terreno con la proprie truppe, liquidare gli ultimi contrafforti del regime, costringere i ribelli a deporre le armi, evitare per quanto possibile gli strascichi della guerra civile. Non credo che la Nato, dopo quanto è avvenuto in Afghanistan e in Iraq, abbia le intenzioni di sobbarcarsi un tale compito.