Una crisi senza fine. Editoriale

di Marco Pondrelli

La questione palestinese viene spesso dimenticata, il fatto che il popolo palestinese viva in un regime di apartheid, che a Gaza manchi l’elettricità e che negli omicidi mirati di Israele (veri e propri atti terroristici) muoiano civili non interessa ai nostri governi, così come non interessa il fatto che tutto questo non sia la rappresaglia per le ultime azioni di Hamas ma sia la normalità nella striscia di Gaza e non solo. D’Alema nel suo libro ‘Grande è la confusione sotto il cielo‘ racconta che quando incontrò Ariel Sharon questi gli disse ‘noi siamo disponibili ad avere delle aree amministrate dai palestinesi all’interno dei confini d’Israele e sotto il controllo militare israeliano. Lì i palestinesi potranno vivere e amministrarsi da soli’, alla risposta di D’Alema che questo sarebbe stato una sorte di bantustan Sharon ‘sorrise e replicò: ‘se vogliono possono chiamarlo Stato”.

La verità è che la causa del popolo palestinese non interesse ai governi occidentali e purtroppo neanche a tanti governi arabi, abbiamo lasciato incancrenire la situazione e quando si levava qualche timida voce, che reclamava giustizia per i soprusi israeliani o per l’occupazione dei territori palestinesi veniva sommersa dall’accusa di antisemitismo. Premesso che anche quella araba è una popolazione semita è abbastanza contraddittorio riversare quest’accusa su chi si batte per i diritti del popolo palestinese, è interessante ricordare le parole di Primo Levi ‘ognuno è ebreo di qualcuno’ o l’impegno di Moni Ovadia (ebreo) per il popolo palestinese.

Dopo l’offensiva di Hamas si è riprodotto il film già visto, come prima del 24 febbraio in Ucraina non era successo nulla adesso 75 anni di storia sono stati dimenticati, se un razzo di Israele colpisce un ospedale a Gaza è un danno collaterale; se un razzo russo colpisce un ospedale ucraino è un crimine di guerra. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk ha affermato: ‘Il diritto internazionale umanitario è chiaro: l’obbligo di prestare costante attenzione a risparmiare la popolazione civile e i beni civili rimane applicabile durante gli attacchi’, al contrario, il ministro israeliano alla difesa Yoav Gallant ha definito ‘animali umani‘ gli abitanti della striscia di Gaza per giustificare l’interruzione delle forniture di energia e viveri. Dunque, la soluzione di Israele quanto al problema dei diritti umani è de-umanizzare il nemico. La gran cassa della superiorità occidentale (ma qualcuno ci spiegherà mai un giorno quali sono i valori occidentali) è ripartita ed è inutile chiedere a questi signore e a questi signori quale tortuosa strada ha seguito il superiore occidente per arrivare a Guantanamo, la risposta sarà sempre la stessa: noi sbagliamo ma ci dispiace.

L’informazione in Italia è peggio che negli Stati Uniti, Malcolm X avrebbe definito certi personaggi i ‘negri da cortile’, noi ci limitiamo a constatare che i loro slogan sono vuoti quanto la loro testa. Anziché riscoprire il meglio della politica estera italiana che aveva guidato alla difesa del mondo arabo non solo il PCI ma anche Mattei (a proposito di piano Mattei), Moro, Andreotti, Craxi e tanti altri, ci si rifugia nel solito squadrismo televisivo, chi critica il genocidio israeliano e un putiniano antisemita, la prima della lista oggi pare essere Elena Basile, a cui va tutta la nostra solidarietà oltreché la nostra stima.

Provando ad alzarci al di sopra delle miserie italiane possiamo provare a fare un po’ di ordine rispetto a quello che è successo, anche se è difficile al momento avere un quadro completo. Come in molti hanno notato l’attacco di Hamas sorpreso Israele che ha subito una incredibile umiliazione, la vera domanda però è: qual è l’obiettivo di Hamas? La risposta della stampa italiane è che Hamas è mossa dalla stessa cattiveria che muove Putin, questa è una risposta poco convincente. Più probabilmente Hamas è stata mossa da due considerazioni, colpire la screditata leadership dell’ANP e rimettere al centro del dibattito internazionale, sopratutto regionale, la questione palestinese.

Per quanto riguarda il primo punto la scelta di dirigere le operazioni militare verso la Cisgiordania è un modo per dare un segnale al malessere che in quelle zone serpeggia, Hamas si sta rafforzando dentro la Palestina e questo succede perché l’ANP ha tradito tante aspettative. Per quanto ci riguarda non si tratta di dare un giudizio su Hamas, la stessa definizione di terrorismo aveva colpito molti ebrei come ad esempio il gruppo Stern o come ebbe a dire Bettino Craxi in Parlamento anche Giuseppe Mazzini, quello che ci preme è un’analisi di quello che succede in Palestina e ci come porre fine alle violenze.

Per rispondere a questo secondo punto occorre analizzare il quadro internazionale, gli attacchi di Hamas si inscrivono in un quadro che è cambiato rispetto a pochi anni fa, gli accordi di Abramo che dovevano portare al disgelo fra Israele e Arabia Saudita erano in crisi già prima dello scorso fine settimana. La novità in medio oriente è l’accordo mediato dalla Cina fra Iran e Arabia Saudita, i due grandi rivali nella regione. Quest’area del mondo ha spesso preceduto gli avvenimenti mondiali, se il 1979 fu la finestra dalla quale si vide la fine della guerra fredda adesso iniziamo a vedere i primi vagiti del nuovo sistema multipolare. Israele ha sempre puntato sulle divisioni del campo avversario che avevano portato i Paesi arabi a non vedere più la causa palestinese come prioritaria, il dialogo fra i due grandi nemici (iraniani e sauditi) mette in crisi la politica di Tel Aviv ed è molto probabile che la dura risposta israeliana porterà il mondo arabo a compattarsi dietro la causa palestinese. Le tensioni con gli Hezbollah e con la Siria potrebbero essere solo le prime avvisaglie, a questo punto se la comunità internazionale (quella vera non la Nato) vuole evitare che il conflitto si estenda c’è solo una cosa da fare, rimettere al centro della discussione la nascita di uno Stato Palestinese, come anche Vladimir Putin ha sostenuto. Le crisi si risolvono con la politica e l’Occidente non può chiedere responsabilità quanto bombarda e affidarsi alla retorica bellicista quando il contesto internazionale non è quello desiderato. Per risolvere la questione palestinese non servono le armi, occorre coinvolgere i grandi attori internazionali come Cina e Russia, oggi non è in gioco l’esistenza di Israele ma la liberazione della Palestina.

Il Papa parlò di guerra mondiale combattuta a pezzi, se un domani non troppo lontano gli Stati uniti decidessero di aprire anche il fronte di Taiwan il rischio è che questi pezzi si colleghino fra di loro e ci precipitino nell’abisso.

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