di Gabriele Repaci | da frontepopolare.wordpress.com
Riceviamo e pubblichiamo come contributo alla discussione
Contrariamente a tutte le aspettative l’attacco militare degli Usa contro la Siria è stato sventato. Gli Stati Uniti infatti hanno messo da parte, almeno per ora, i propri intenti bellicosi accettando la proposta russa di mettere l’arsenale chimico siriano sotto il controllo internazionale. Il piano presentato da Mosca è diviso in quattro tappe: in primo luogo prevede l’adesione di Damasco alla Convenzione del 1993, attualmente sottoscritta da 189 paesi al mondo, che mette al bando le armi chimiche. La seconda tappa consiste nella localizzazione dei luoghi di produzione, a cui fa seguito l’autorizzazione che il regime di Assad dovrà concedere agli ispettori Onu di recarsi nel paese e infine la distruzione delle armi. A respingere categoricamente l’iniziativa russa sono stati oltre che i portavoce dell’Esercito Libero Siriano, braccio armato dell’opposizione, e alcuni esponenti della destra repubblicana statunitense, i rappresentanti dello Stato d’Israele. Benché il governo israeliano non si sia espresso apertamente sulla vicenda è facile capire l’insoddisfazione di Tel Aviv nei confronti del dietrofront di Obama.
Qualche settimana fa infatti Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare dello stato ebraico e ora direttore dell’«Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale» (Issn), aveva scritto, in una ricerca sugli interessi di Israele nel medio e lungo periodo, che l’attacco americano contro la Siria avrebbe dovuto «ristabilire il potere di deterrenza» degli Stati Uniti nei riguardi di quegli stati mediorientali che si fossero messi in testa di sfidare Israele. Sempre secondo Yadlin «… è importante perciò che l’Iran comprenda l’assoluta determinazione degli Stati Uniti nel tenere fede alle “linee rosse” poste alla Siria dal momento che Teheran osserva proprio questo». Riguardo al lungo periodo constatava l’ex capo dell’intelligence militare «è vitale per Israele che la guerra civile siriana non si concluda con la vittoria di Assad, poiché ciò rinsalderebbe l’asse Teheran-Damasco-Hezbollah»¹. La domanda che sorge spontanea è quindi la seguente: cosa ha spinto gli Stati Uniti a rinunciare ad attaccare militarmente Damasco pur essendo consapevoli che ciò avrebbe recato un enorme danno alla loro leadership a livello mondiale per di più facendo infuriare l’alleato israeliano?
Le risposte sono molteplici. In primo luogo ha contribuito senz’altro la contrarietà della maggior parte dell’opinione pubblica americana ed europea verso una nuova avventura militare dopo le disastrose esperienze dell’Iraq e dell’Afghanistan. In Occidente infatti la popolazione è in maggioranza contro l’intervento. Negli Usa ad esempio solo il 9% dei cittadini è favorevole ad una guerra in Siria contro i 60% dei contrari, mentre in Francia, altro principale assertore della soluzione militare contro il regime di Damasco, il presidente Hollande deve fare i conti con un’opposizione del 59%. Oltre a ciò pesa il fatto che in caso di un eventuale intervento militare in Siria il prezzo del petrolio salirebbe a 150 dollari al barile con evidenti effetti negativi sull’andamento dell’economia mondiale². Probabilmente è quest’ultima considerazione ad aver spinto alcuni parlamentari britannici, di cui 30 dello stesso partito conservatore al governo, a bocciare l’azione militare contro Damasco programmata dal premier David Cameron.
Anche nel mondo arabo la situazione è cambiata: uno degli storici alleati degli Stati Uniti in medioriente come l’Egitto, dopo il rovesciamento del Presidente Mohamed Morsi e del suo governo, strenuo sostenitore della ribellione anti-Assad, ha assunto un atteggiamento più conciliante nei confronti del regime siriano. Già alla fine di agosto alle prime avvisaglie di un possibile intervento militare americano il ministro della difesa e capo dell’esercito egiziano, Abdel Fatah al-Sisi, avvertì che avrebbe chiuso il Canale di Suez alle navi da guerra degli Stati Uniti e del Regno Unito dirette verso la Siria. Da parte sua, il ministro degli esteri Nabil Fahmi dopo avere dichiarato di non poter affermare con certezza chi tra il governo e i ribelli abbia usato le armi chimiche ha fatto sapere che il Cairo punta sul dialogo con Damasco.³
Determinante per evitare la guerra è stato ovviamente anche l’impegno della Cina e della Russia in sede internazionale. In particolare quest’ultima si è attivata per trovare una soluzione diplomatica concretizzatasi poi nel piano per lo smantellamento dell’arsenale chimico siriano accettato anche dagli Usa. La determinazione di Putin per evitare un conflitto contro la Siria è stata certamente dettata da ragioni di carattere geopolitico ed economico e non certo da spirito umanitario. Damasco infatti oltre ad essere uno dei maggiori acquirenti di armi russe nella regione ospita a Tartus l’unica base navale di Mosca nel mediterraneo. Inoltre il Cremlino sa che una volta caduto Assad nulla tratterrebbe più gli americani e gli israeliani dal dichiarare guerra anche all’Iran. Con l’eventuale rovesciamento del regime degli Ayatollah i russi vedrebbero gli occidentali avvicinarsi tremendamente alle frontiere meridionali delle repubbliche ex sovietiche. Ciò non toglie che la Russia come la Cina e gli altri BRICS svolgano un ruolo progressivo in quanto cercano di contenere la voracità dell’imperialismo americano.
Grande assente è invece il movimento contro la guerra. Se le intenzioni guerrafondaie dei governi occidentali sono state momentaneamente fermate non è di certo merito del movimento pacifista il quale dopo l’elezione di Obama alla Presidenza degli Stati Uniti sembra essersi dissolto nel nulla. Anzi, molti di coloro che a suo tempo condannarono la «guerra al terrore di George W. Bush ora sono in prima fila nel benedire i bombardamenti «umanitari» della nuova amministrazione democratica.
Per concludere possiamo dire che ci troviamo, per usare le parole di Hegel, in un’epoca «di gestazione e di trapasso» in cui gramscianamente il «vecchio muore e il nuovo non può nascere». Se il vecchio ordine unipolare affermatosi con il crollo dell’Unione Sovietica è inequivocabilmente morto il mondo multipolare non riesce ad affermarsi ancora compiutamente. Tuttavia possiamo vedere alcune manifestazioni di questo crescente policentrismo nella risoluzione della questione siriana. Dieci anni fa gli Stati Uniti non ebbero esitazioni nello scavalcare il veto dell’Onu e attaccare l’Iraq ma oggi non possono più fare una cosa del genere. E questo grazie anche alla crescita di nuove potenze mondiali come la Russia, la Cina, il Brasile, l’India e il Sudafrica in grado di tenere testa agli Usa.
Coloro che ispirano al metodo e all’analisi di Karl Marx non possono certo illudersi che questi paesi rappresentino il sol dell’avvenire. Non bisogna farsi illusioni al riguardo, questi sono stati caratterizzati da consistenti connotati capitalistici in cui vigono forti contraddizioni di classe. Tuttavia sarebbe errato non riconoscerne il carattere progressivo nella misura in cui essi riescono, contrapponendosi a vicenda, a evitare la formazione di unico polo egemone in grado di dettare le proprie regole al mondo intero.
Note:
No comment di Netanyahu, Michele Giorgio, Il Manifesto, 03/09/2013.
Guerra in Siria, rischio balzo del petrolio a 150 dollari in caso di attacco. Il report di SociétéGénérale, Flavio Bini, L’Huffington Post http://www.huffingtonpost.it/2013/08/28/siria-prezzo-petrolio-150-dollari_n_3829349.html
Egipto cerrará Canal de Suez a buques de guerra que se dirijan a Siria, teleSUR, 28/08/2013 http://multimedia.telesurtv.net/media/telesur.video.web/telesur-web/#!es/video/egipto-cerrara-canal-de-suez-a-buques-de-guerra-que-se-dirijan-a-siria