di Lanfranco Vaccari | da www.lettera43.it
Perché Russia e Cina guardano con sospetto al decisionismo dell’Occidente.
C’è anche chi non compra la retorica dell’intervento umanitario e crede che l’unico parametro della politica estera sia l’interesse nazionale. C’è chi preferisce un rigido e selettivo pragmatismo alle mozioni dei sentimenti e a un internazionalismo liberale tanto trionfalista quanto (spesso) arrogante.
Se si vuole un riferimento storico, il più ovvio è Otto von Bismarck e la sua decisione (riassunta in una mirabile frase: «Tutti i Balcani non valgono le ossa di un granatiere della Pomerania») di non appoggiare le mire dell’impero austro-ungarico nel timore che ciò potesse spingere la Russia a unirsi a una coalizione anti-Berlino.
Guglielmo II non aveva quelle inibizioni e si è visto come è andata a finire: la sconfitta della Germania, la fine dell’impero e un’ondata rivoluzionaria in Europa che favorì il trionfo di bolscevismo, fascismo e nazismo.
DALLA SIRIA ALLA LIBIA. Per spiegare invece la posizione di Russia e Cina sulla Siria, e il loro veto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, basta ricordare quello che è successo l’anno scorso in Libia.
Allora l’Occidente offrì delle garanzie per ottenere il via libera all’intervento militare che si rimangiò appena incassato il voto. Il presidente Barack Obama prima disse: «Un cambio di regime non è in discussione». Subito dopo affermò: «Gheddafi se ne deve andare».
Le critiche russe al rifornimento di armi francesi ai ribelli non furono mai prese in considerazione. E le operazioni sul campo andarono ben oltre il mandato dell’assemblea. Poi, il nuovo regime di Tripoli ha cancellato tutti i contratti che la Russia aveva stipulato con Muammar Gheddafi e non è disposto a invitare Mosca alla spartizione della nuova torta.
Ma al di là degli interessi immediati russi e delle considerazioni di politica interna che possono aver mosso Vladimir Putin (all’inizio di marzo ci sono le elezioni presidenziali e la retorica anti-americana funziona con una buona parte dell’elettorato), l’intervento in Libia ha avuto perniciose conseguenze politiche, che offrono buoni motivi alla cautela russo-cinese. Intanto, l’operazione Odissey Dawn è ben lontana da poter essere considerata un successo.
GLI STRASCICHI DI ODISSEY DAWN. Fazioni armate rivali continuano a spararsi addosso. Una parte dell’arsenale di Gheddafi è finito in Mali, dove bande di tuareg ribelli stanno montando un’insurrezione. E Médicins sans Frontières ha ritirato parte del suo personale dopo aver assistito ad atti di tortura commessi da quei rivoluzionari che l’Occidente aveva aiutato ad abbattere il Colonnello.
Gli interventi militari non avvengono nel vuoto pneumatico, in genere hanno strascichi molto sgradevoli e poco programmabili, e non è chiaro che cosa possano provocare in una regione già destabilizzata come quella al centro della quale c’è la Siria.
In più, non è stupefacente che Paesi con un discutibile atteggiamento nei confronti dei diritti umani, come sono la Russia e la Cina, guardino con sospetto al furore interventista dell’Occidente e considerino con diffidenza il rifiuto del riconoscimento della sovranità nazionale con argomenti che giudicano un misto di pretesti e opportunismo.
ESPORTARE DEMOCRAZIA. Subodorano un che di ingannevole nella volontà di esportare la democrazia (un argomento che fa molta presa sulle anime belle, quelle che pensano ancora adesso che la primavera araba sia una faccenda provocata da qualche intelletuale liberale e da Facebook) dichiarata da gente che, a parer loro, insegue invece interessi ben più prosaici, in genere economici. E, se non temono che un giorno o l’altro quella retorica venga usata contro di loro, è solo perché sanno di possedere un efficace deterrente nucleare.
Dietro alla polemica, c’è in gioco il rapporto di forze fra sunniti e sciiti
Una volta ancora viene buono l’esempio di Gheddafi. Nel 2003, rinunciò con gran fanfara alle sue ambizioni nucleari. Ma è stato rovesciato qualche tempo dopo che gli Stati Uniti avevano ristabilito regolari relazioni diplomatiche.
La sequenza non fa una grande pubblicità alla denuclearizzazione e alla diplomazia. Piuttosto rappresenta l’esatto contrario: avere delle bombe atomiche evita che l’Occidente, considerato capriccioso e imprevedibile dai regimi autoritari, decida prima o poi di invadere o di interferire negli affari interni (è un discorso che ovviamente vale anche per l’Iran).
Infine ci sono delle considerazioni strategiche, ben più profonde della preoccupazione russa di perdere una base navale nel Mediterraneo o di non incassare il contratto per 550 milioni di dollari appena firmato con Damasco per la fornitura di caccia militari.
UNA PARTITA COMPLESSA. Dietro alla polemica che oppone l’Occidente a Russia e Cina sulla Siria, si nasconde un gioco molto più complesso che riguarda il rapporto di forze fra sunniti e sciiti, dunque l’intero Medio Oriente.
È una partita che vede protagonisti la Turchia e l’Iran; che ha già aperto una crisi nei rapporti interni dei palestinesi, dei curdi e del governo di Bagdad; che vede le monarchie del Golfo scatenate contro Bashar al-Assad, quando il loro vero obiettivo è l’Iran.
Sabato, 11 Febbraio 2012