di Gianmarco Pisa
La guerra in Siria sembra essere approdata a una specie di punto di non-ritorno che costringe tutti, osservatori e militanti, a fare i conti con il dispiegarsi della situazione sul terreno e con il moltiplicarsi di iniziative rispettivamente volte ad alimentare il conflitto, ad accelerare il cambio di governo al potere o, in più rari casi, a sollecitare soluzioni politiche e negoziali in linea con il diritto e la giustizia internazionale, che, in poche parole, significa lo sforzo di giungere ad una quadra possibile tra tutela della sovranità nazionale e della integrità territoriale, rispetto del diritto alla libertà e alla auto-determinazione popolare, divieto di ingerenza in qualsiasi forma ipotizzabile. La situazione sul campo, del resto, peggiora di ora in ora: chiuso da giorni, l’aeroporto internazionale di Damasco è stato dichiarato dalle milizie armate della opposizione siriana un “obiettivo militare”, allo scopo di consolidare il proprio controllo su quella parte della autostrada che collega la capitale allo scalo che hanno già conquistato e di sferrare contro l’aeroporto un attacco militare in grande stile che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti della “battaglia di Damasco” e, in definitiva, della stessa guerra in Siria.
Dispiace, a questo proposito, che la stampa usi celebrare questi frangenti con il ricorso al lessico epico delle narrazioni militari: tra battaglie campali e scontri decisivi, guerra alle porte della capitale e assalti finali ripetutamente annunciati e mai, in effetti, conseguiti. Dispiace per il linguaggio, che nulla ha di nonviolento e che nulla di buono lascia presagire in ordine alla soluzione del conflitto siriano, su cui troppi appetiti e troppi interessi hanno finito per concentrarsi. E dispiace inoltre per la carità pelosa che tale linguaggio epico-eroico finisce per rappresentare: dipingere lo sforzo militare dei cosiddetti “ribelli” come una lotta per la libertà e l’auto-determinazione contro un regime usualmente definito “sanguinario” e “tirannico” anche quando quegli stessi “ribelli” si macchiano di visibili e documentate efferatezze terroristiche, dalle auto-bombe alle torture contro militari regolari e civili sostenitori del governo in carica, è davvero un’offesa all’intelligenza ed una autentica sfida alla tenuta anche del movimento pacifista sui principi di non-ingerenza ed auto-determinazione.
Peraltro, basterebbe saper leggere o, per lo meno, leggere. Il governo tedesco e il governo olandese, a pochi giorni di distanza, hanno entrambi approvato la decisione di fornire alla Turchia batterie di missili Patriot, nel contesto di una decisione già approvata ed assunta dalla NATO, da dispiegare al confine turco a ridosso della frontiera con la Siria. Il che significa molto in termini di degenerazione del quadro militare e di escalazione bellica dell’ingerenza imperialistica in Siria: significa, in altri termini, militarizzare sostanzialmente il confine, fornire un retroterra militare ed armato, laddove prima sussisteva prevalentemente un retroterra logistico ed organizzativo, internazionalizzare “ufficialmente” il conflitto siriano. Probabilmente si tratterà anche, da parte delle forze democratiche, progressiste ed antimperialiste, di aggiornare le categorie di analisi e le chiavi di lettura. Potremmo trovarci davanti al tanto annunciato salto di qualità, dalla guerra civile e “per procura” cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi mesi (per lo meno dall’estate 2011) a un vero e proprio intervento internazionale, patrocinato dalla NATO ed attuato dalla sua prima linea, rappresentata, in questa circostanza, dalla Turchia e, in Europa, dalla Francia, oltre che, come si è visto, dalla Germania e dai Paesi Bassi, ed in cui l’Italia non ha per nulla un ruolo marginale, come vedremo. Non a caso, la Russia ha accusato la NATO di “coinvolgimento di fatto” – ed illegittimo – nella questione siriana. L’ambasciatore russo presso la NATO, Alexander Grushko, ha già avuto modo di dichiarare che Mosca vede profilarsi “il pericolo di un ulteriore coinvolgimento della NATO in Siria a seguito di provocazioni o incidenti al confine”.
Per chiudere il “cerchio”, non si dimentichi che:
a) il dispiegamento di Patriot comporta un certo numero di soldati, di artiglieria e di forze di elite, a supporto, stimati in circa 800 unità (solo in relazione al dispiegamento delle batterie) e
b) tale dispiegamento finisce per concentrare attenzione e risorse esclusivamente sul profilo militare della vicenda siriana, un vero e proprio “dito sul grilletto” puntato contro ogni sforzo per la soluzione politica e negoziale del conflitto in corso, quella auspicata in particolare dal sistema latino-americano e bolivariano dell’ALBA, oltre che dalla Cina, che ha promosso, come si ricorderà, anche un piano di tregua piuttosto innovativo, maversocuigliStatiUniti e(colpevolmente)l’UnioneEuropea sisonomostrati sempre “riluttanti”.
Il piano diplomatico, dunque. Nel recente vertice di Dublino, il Segretario di Stato Hillary Clinton e l’omologo russo Sergej Lavrov hanno espresso insieme, significativamente, “scetticismo” sulla possibilità di risolvere la crisi. Lo stesso “piano Brahimi”, a sua volta basato sul “piano in sei punti” del predecessore Kofi Annan, è in agonia, mentre dell’interessante e originale piano cinese (basato su una tregua scaglionata per fasi e per territori e su un dialogo nazionale autentico, aperto ad esponenti del governo e delle diverse opposizioni) già non si parla più da settimane. Non parla la diplomazia, ma parlano gli interessi, sia quelli dichiarati (degli Stati Uniti) sia quelli “a rimorchio” (leggi Unione Europea): lo scorso 10 dicembre ha visto inaugurarsi non solo la celebrazione della giornata mondiale dei diritti umani ma anche la circostanza del vertice a Bruxelles tra il nuovo portavoce della Coalizione Nazionale Siriana (delle opposizioni), Ahmad al Khatib, e i 27 ministri degli esteri dei Paesi Membri riuniti per il Consiglio UE, incontro che segue il riconoscimento “ufficiale”, da parte dell’Unione Europea, del cosiddetto “consiglio delle opposizioni” come “rappresentante legittimo” del popolo siriano. Un annuncio che sarà presto formalmente ratificato.
Un atto illegittimo, per di più, assunto anche con la colpevole complicità della diplomazia italiana e che, senza alcuna misura di contrasto alla proliferazioni di armi ed armati all’interno dei confini della Siria e senza alcuna reticenza nello sbandierare la “minaccia” e il “pretesto” delle armi chimiche usate dalle forze governative, rischia di rappresentare la vera e propria anticamera dell’intervento militare e dell’aggressione euro-atlantica. Lo si intravede nelle gravi e minacciose affermazioni rilasciate dal Ministro degli Esteri italiano, Terzi, a margine del Consiglio UE che ha incontrato il nuovo portavoce di quelle opposizioni siriane su cui gioca la diplomazia euro-atlantica per reggere e legittimare la propria ingerenza in Siria. “L’opposizione siriana deve avere aiuto e sostegno da parte della comunità internazionale, soprattutto della UE, rivendicando il ruolo dell’Italia, di “incoraggiamento dell’opposizione” e di formatrice di “personale” destinato ad “entrare nella nuova Siria come personale dirigente”. Anche per questo, contro l’“imperialismo dal volto umano” del Governo Monti (come prima quello Berlusconi e come non diversamente “promette” di fare un eventuale governo Bersani), saremo in piazza, come movimenti per la pace e contro la guerra, il 12 dicembre, dalle 16.00 alle 18.00, all’Altare della Patria a Roma, per il dialogo e la pace, contro la guerra e l’aumento delle spese militari.