
di Marco Pondrelli
La ingenue speranze di pace che nei mesi scorsi erano state alimentate da alcune dichiarazione di Trump sembrano al momento ricordi lontani. La scorsa settimana abbiamo analizzato gli ultimi sviluppi del genocidio in Palestina, che questa settimana si è completato con una nuova drammatica pagina, quando mercoledì 29 fra anziani e bambini sono morti di fame. Di fronte a questo chi continua giustificare il governo israeliano aggrappandosi al 7 ottobre non potrà domani dire ‘non sapevo’.
Se in Palestina non si vede una reale prospettiva di pace lo stesso può dirsi per l’Ucraina. I paesi europei continuano a premere per la guerra, hanno capito che essa è l’ultimo collate che tiene assieme quella fragile entità chiamata Ue. Quando si va in bicicletta per non cadere occorre pedalare, purtroppo per noi la Ue per non cadere deve continuare la guerra.
Ma cosa succede in Europa? Nel dibattito attuale si confondono progetti diversi mettendo tutto sotto l’ombrello del riarmo europeo. In realtà il riarmo europeo è uno strumento prevalentemente tedesco, di cui bisogna avere paura. Quando il neo cancelliere ambisce a diventare la prima potenza militare europea dobbiamo preoccuparci. Il futuro potrebbe consegnarci una Germania pronta non solo a contenere la Russia (che non ha alcun interesse ad una guerra in Europa) ma anche ad allargare la sua sfera d’influenza.
La Francia ha gli stessi progetti egemonici ma è convinta di potere realizzare il suo obiettivo grazie al nucleare, il suo attivismo e la sua ingerenza rispetto alle elezioni rumene sono un chiaro segnale di questa volontà. La Romania occupa una posizione geostrategica delicata vicina all’Ucraina, alla Moldavia e alla Transnistria, ecco perché le elezioni in quel Paese dovevano essere ‘addomesticate’.
L’ultimo attore rilevante è la Polonia, che con il suo Trimarium si candida ad essere il riferimento degli Stati Uniti in Europa. Gli interessi dei due paesi (e del Regno Unito) corrispondono e il Trimarium può divenire la punta di diamante della NATO del nord.
Quale sarà il futuro dell’Europa è difficile dirlo, se questi progetti troveranno un punto d’incontro oppure se da essi emergerà un nuovo egemone non è una risposta che si può dare ora. Quello che possiamo dire è che quando finirà il conflitto ucraino si aprirà un altro capitolo, a quel punto Macron, o chi per lui, più che sulla Grandeur dovrà concentrarsi sui bilanci.
Se la situazione in Europa è complicata in Ucraina non è da meno. Il popolo ucraino non vuole più combattere, anche chi esaltava una fantomatica resistenza popolare nel 2022 oggi tace, tutti i giorni il web ci consegna immagini di ragazzi che fuggono ai reclutatori, addirittura abbiamo saputo (notizia da confermare) che l’interprete dei primi colloqui fra Russia e Ucraina è scappato per evitare di finire al fronte. Pur davanti a un popolo stremato qualsiasi presidente sa che firmare una pace che non preveda il ritorno di tutti i territori persi (Crimea compresa) vuole dire aprire un conflitto interno. Le armi che abbiamo inviato a Kiev sono finite alla parte più oltranzista del regime (oltre che, forse, alla mafia italiana), quelle stesse armi potrebbero domani essere puntate su chi si permettesse una ‘pugnalata alle spalle’.
Gli stati europei e il governo ucraino non vogliono reali colloqui di pace, tanto è vero che chiedono una tregua che sarebbe usata per riorganizzare le forze armate ucraine non interrompendo l’afflusso di armi, come è successo dopo gli accordi di Minsk 2. Karl von Clausewitz nel suo ‘Della guerra’ scrisse che ‘i due avversari non possono essere quindi interessati entrambi simultaneamente né ad agire né a temporeggiare’, basta questo per chiarire perché la Russia non ha alcun interesse a questa prospettiva.
Putin ha ribadito più volte che per una pace stabile e duratura occorre discutere della sicurezza europea, se la sua controparte non è disponibile a farlo la sicurezza dovrà essere conquistata manu militari. La volontà di creare una zona di sicurezza oltre le regioni entrate nella Federazione russa va in questa direzione. Gli opinionisti e i politici italiani possono piangere senza fine ma questa è la realtà, rifiutare la pace oggi vorrà dire sedersi domani ad un tavolo delle trattative e discutere di equilibri molto più avanzati per la Russia. La retorica da salotto può fare prendere qualche applauso da un pubblico compiacente ma non risolve i problemi. Anziché chiederci se possiamo fidarci di Putin dovremmo chiederci se i russi si possono fidare di chi negli ultimi 30 anni non ha fatto altre che disconoscere gli impegni presi. È questa politica che ha provocato la guerra.
In ultimo gli Stati Uniti sembrano avere imboccatola via d’uscita. Come si dice in medio oriente ‘mai scendere in un pozzo con una corda americana’, dopo avere armato e convinto gli ucraini e gli europei a combattere Washington ci comunica che questo non è il suo fronte principale e che anzi non vedrebbe di cattivo occhio riaprire i rapporti commerciali con Mosca. La sensazione è che Trump sia pronto a disinteressarsi dell’Ucraina dando semaforo verde alla Russia per risolvere militarmente la questione. Non sappiamo se effettivamente sarà così ma questa è una possibilità.
In tutto questo la proposta del Vaticano di ospitare colloqui di pace, definita irrealistica da Lavrov, è sicuramente positiva ma si limita a rappresentare una prospettiva logistica, le posizioni sono ancora lontane e se l’Occidente rinuncia a fare politica e diventa schiavo della sua retorica la strada per la soluzione del conflitto non sarà diplomatica.
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