Riflessioni sul genocidio come crimine definitivo

filospinato usaun interessante articolo che dimostra come, anche negli Stati Uniti, i dubbi sulla politica anti-cinese siano forti

di Alfred De Zayas e Richard Falk

da https://www.counterpunch.org

Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

L’uso improprio della parola genocidio è dispregiativo nei confronti dei parenti delle vittime dei massacri armeni, dell’Olocausto, del genocidio ruandese – e anche un disservizio sia alla storia, sia al diritto, sia alla prudente condotta delle relazioni internazionali. Sapevamo già di essere alla deriva in un oceano di fake news. È molto più pericoloso scoprire che siamo anche a rischio di essere immersi nelle acque turbolente del “falso diritto”. Dobbiamo reagire con un senso di urgenza. Un tale sviluppo non è tollerabile.

Pensavamo che l’elezione di Biden ci avrebbe risparmiato da minacciose corruzioni del linguaggio come quelle diffuse da Donald Trump, John Bolton e Mike Pompeo. Pensavamo che non saremmo più stati sottoposti ad accuse senza prove, post-verità e cinici intrugli di fatti. Ci sbagliavamo.

Ricordiamo le vanterie di Pompeo sull’utilità della menzogna, abbiamo ascoltato le sue accuse incendiarie contro Cuba, Nicaragua, le sue affermazioni stravaganti che Hezbollah era in Venezuela, le sue buffonate per conto di Trump – tutto in nome del MAGA.

Donald Trump e Mike Pompeo non sono riusciti a rendere l’America di nuovo grande. Sono riusciti ad abbassare la già bassa opinione che il mondo aveva dell’America come paese che giocava secondo le regole stabilite a livello internazionale. Uno sviluppo decisivo in questa spirale negativa è stato il megacrimine di George W. Bush – l’invasione non provocata e la devastazione dell’Iraq, che il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha definito una “guerra illegale” in più di un’occasione. Abbiamo osservato il coinvolgimento di Barak Obama nella distruzione della Libia, cui hanno dato un’amara risonanza le indicibili parole di Hillary Clinton sulla morte di Gheddafi pronunciate con gioia imperiale: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto”. Non possiamo dimenticare le criminali sanzioni economiche e i blocchi finanziari di Trump che puniscono intere società nel mezzo di una pandemia paralizzante. Sono stati crimini contro l’umanità commessi in nostro nome. Tali sanzioni ci hanno ricordato gli spietati assedi medievali delle città, volti ad affamare intere popolazioni fino alla sottomissione. Ripensiamo al milione di morti civili causati dal blocco di Leningrado da parte della Germania nel 1941-44.

No, per fare di nuovo grande l’America è sbagliato pensare che questo possa avvenire continuando a comportarsi come un bullo internazionale, minacciando e colpendo interi popoli. No, per rendere l’America rispettata e ammirata nel mondo possiamo e dobbiamo iniziare a rivivere l’eredità di Eleanor Roosevelt, riscoprendo lo spirito e la spiritualità della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e più in generale rievocando l’umanesimo orientato alla pace di John F. Kennedy.

Possiamo e dobbiamo chiedere di più a Joe Biden e Antony Blinken. Le accuse senza prove di “genocidio” nello Xinjiang, in Cina, sono indegne di qualsiasi paese, soprattutto del paese che vuole agire come campione internazionale dei diritti umani. Raphael Lemkin si rivolterebbe nella tomba se sapesse che il crimine di “genocidio” è stato così grossolanamente strumentalizzato per battere i tamburi della sinopobia. L’improvvisa ondata di interesse degli Stati Uniti per la sorte del popolo uiguro sembra meno motivata dalla compassione o dalla protezione dei diritti umani che sollevata dalle pagine più ciniche del machiavellico manuale di geopolitica.

Il genocidio è un termine ben definito nel diritto internazionale, dalla Convenzione sul genocidio del 1948 e nell’articolo 6 dello Statuto di Roma. I tribunali internazionali più rispettati hanno concordato separatamente che la prova del crimine di genocidio dipende da una presentazione estremamente convincente di prove fattuali, compresa la documentazione di un intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, la Corte internazionale di giustizia – tutti si sono sforzati di fornire prove autorevoli di “intento”, trattando l’intento come elemento essenziale del crimine di genocidio. Questa giurisprudenza è ciò che dovrebbe guidare i nostri politici nel raggiungere conclusioni prudenti sull’esistenza di motivi credibili per presentare accuse di genocidio, dati i suoi effetti infiammatori. Dovremmo chiederci se la situazione di fatto è offuscata, chiedere un’indagine internazionale indipendente seguita da ulteriori azioni se ritenuto opportuno e, in un mondo armato di armi nucleari, dovremmo essere estremamente cauti prima di fare una tale accusa.

L’affermazione di Mike Pompeo che la Cina stava commettendo un genocidio nello Xinjiang non è stata supportata nemmeno da un accenno di prove. È stato un esempio particolarmente irresponsabile di postura ideologica al suo peggio, e inoltre, un uso sconsiderato della geopolitica. Ecco perché è così scioccante per noi che il rapporto sui diritti umani del Dipartimento di Stato americano del 2021 ripeta l’accusa di “genocidio” nel suo riassunto esecutivo, ma non si preoccupi nemmeno di menzionare tale accusa provocatoria nel corpo del rapporto. Si tratta di un’accusa irresponsabile, irragionevole, non professionale, controproducente e, soprattutto, pericolosamente incendiaria, che potrebbe facilmente andare fuori controllo se la Cina decidesse di rispondere allo stesso modo. La Cina sarebbe su un terreno più solido di Pompeo o del Dipartimento di Stato se dovesse accusare gli Stati Uniti di “genocidio continuo” contro le Prime Nazioni delle Americhe, Cherokees, Sioux, Navajo e molte altre nazioni tribali. Possiamo solo immaginare la reazione rabbiosa se fosse stata la stata la Cina a parlare per prima di genocidio.

Facendo affermazioni non comprovate il governo degli Stati Uniti sta seriamente minando la propria autorità e credibilità per rilanciare il suo ruolo di leader globale. Svolgere questo ruolo internazionale costruttivo “armando” i diritti umani contro la Cina o la Russia. Invece una politica estera dedicata alla promozione genuina dei diritti umani richiederebbe la cooperazione internazionale per condurre indagini affidabili sulle gravi violazioni dei diritti umani e sui crimini internazionali, ovunque si verifichino, che sia in India, Egitto, Cina, Russia, Turchia, Arabia Saudita, Myanmar, Yemen, Brasile, Colombia. Speriamo che la Washington di Biden sia abbastanza fiduciosa sulle indagini intraprese in risposta alle accuse di violazioni contro gli Stati Uniti d’America e i suoi più stretti alleati in Europa e altrove.

La corruzione orwelliana del linguaggio da parte dei funzionari del governo degli Stati Uniti, i doppi standard, la diffusione di notizie false da parte dei media tradizionali, tra cui la “stampa di qualità” e la CNN, autoproclamata “il nome più affidabile nelle notizie” stanno erodendo il nostro rispetto per noi stessi. Infatti, la manipolazione dell’opinione pubblica mina la nostra democrazia mentre soccombiamo alle esagerazioni che danno un colpo in più alla propaganda ostile e stanno portando il mondo sull’orlo di un precipizio geopolitico pericoloso, aumentabndo le prospettive di una nuova guerra fredda – o peggio.

L’amministrazione Biden dovrebbe almeno mostrare rispetto per il popolo americano e per il diritto internazionale smettendo di sminuire il significato della parola “genocidio” e smettendo di trattare i diritti umani come strumenti geopolitici di conflitto. Tale comportamento irresponsabile può piacere ai trumpisti e costruire una facciata di unità basata sul ritrarre la Cina come il nuovo “impero del male”, ma è una manovra di politica estera che dovrebbe essere respinta in quanto sembra una ricetta per un disastro globale.