
di Marco Pondrelli
L’offensiva ucraina sta arrancando, questa non è solo un’opinione è, al momento, un dato di fatto. Dopo oltre un mese di feroci attacchi l’esercito ucraino è ancora fermo nella terra di nessuno, questo vuole dire che non è ancora riuscito ad arrivare alla prima linea difensiva russa. A fronte degli insuccessi l’Ucraina deve ricorrere all’utilizzo autolesionista delle bombe a grappolo, il cui prezzo sarà pagato dalla popolazione civile. La scelta è stata caldeggiata da Washington, a dimostrazione di quanto gli USA abbiano a cuore la sorte del popolo ucraino. Il New York times ha ammesso alcuni giorni fa che l’Ucraina ha perso il 20% della armi, nulla si dice delle vittime fra i soldati ma tutto fa pensare a cifre drammatiche. A complicare la situazione per Kiev sono arrivati anche gli avanzamenti dell’esercito russo al nord, che potrebbero prefigurare una controffensiva significativa destinata ad incontrare una resistenza indebolita da un attacco infruttuoso.
Al momento si delinea il fallimento della strategia Nato, più si allunga la guerra più i costi che l’Ucraina dovrà pagare aumentano. Se si fossero rispettati gli accordi di Minsk l’Ucraina, fatta salva la Crimea, avrebbe preservato la sua integrità territoriale riconoscendo alle Repubbliche dell’est una forte autonomia. Dopo l’avvio dell’operazione militare speciale quando si era raggiunto l’accordo poi stracciato per volontà del Primo ministro inglese, si sarebbe, probabilmente, riconosciuta l’autonomia delle regioni filorusse una cosa simile a quella successa in Georgia con l’Ossezia del sud, oggi invece queste regioni sono state inglobate nella Russia e su questo Mosca non tornerà indietro. Più il tempo passa più la Russia avanza, più soldati muoiono, più saranno i sacrifici da accettare al tavolo della pace (perché i nostri guerrafondai militesente devono ricordare che le guerre finiscono sempre con una trattativa diplomatica). Difficile trovare una spiegazione che non cada nella retorica bellicista del ‘vincere e vinceremo’ sui nostri giornali e telegiornali, d’altronde se nelle redazioni italiane (non tutte per fortuna) ci fosse ancora un po’ di rispetto per la verità ci direbbero come è finita la riconquista di Bakhmut data per scontata su tante prime pagine di giornale.
Nonostante i giannizzeri pronti al lanciare la nuova operazione Barbarossa qualcosa sembra muoversi anche nel campo occidentale, non vorremmo peccare di ottimismo ma il vertice di Vilnius ha non solo congelato l’adesione dell’Ucraina alla Nato, ma anche dimostrato quanto Zelensky sia sempre meno tollerato. Alla fine del 2023 o all’inizio del 2024 qualcosa potrebbe muovere in conseguenza di due elementi.
- L’andamento della guerra, l’Ucraina non sta raggiungendo gli scopi prefissi (qualsiasi essi fossero), l’Occidente sta finendo le armi e Kiev gli uomini. Quale sarà la situazione sul terreno quando arriverà l’inverno? La risposta a questa domanda potrebbe convincere anche i più oltranzisti ad aprire un dialogo, tanto più che il prossimo anno gli USA saranno in campagna elettorale e gli statunitensi votano guardando il loro carrello della spesa e non pensando a quando si è diffusa o si può diffondere la liberal-democrazia (qualsiasi cosa essa sia). L’alternativa all’apertura di un tavolo negoziale sarebbe l’escalation, con il rischio anche di un conflitto nucleare. Non dubitiamo che ci siano frange a Washington favorevoli a questa soluzione ma rimaniamo convinti che l’ala pragmatica sia maggioritaria.
- L’andamento dei fronti interni. La Russia continua a combattere una guerra usando forze molto inferiori a quelle che potrebbe dispiegare, questo è funzionale all’obiettivo strategico che si vuole raggiungere, che non è la conquista di Kiev. Inoltre questa scelta permette di non stressare eccessivamente il fronte interno. Nonostante i problemi, che ci sono, Mosca sta dimostrando di reggere lo scontro. A differenza di quello che scrivevano i nostri giornali nel marzo 2022 la Russia non ha finito le armi ma anzi oggi è l’Occidente ad avere svuotato i propri arsenali (un tema su cui forse occorrerebbe riflettere). Se il fronte russo regge lo stesso non si può dire di Kiev, anche i più ottimisti fra gli ultras nostrani non parlano più della resistenza popolare ucraina, questo perché le immagini che girano in rete (censurate dalla tv italiane) mostrano come gli uomini vengano presi per strada e mandati al fronte. Se a questo di aggiunge un Paese sempre più povero si capisce come anche fra gli ucraini inizi a farsi sentire la stanchezza per la guerra. Anche il fronte occidentale ha i suoi problemi, lasciamo stare Germania, Stati Uniti e Francia e concentriamoci sull’Italia, Gianni Trovati su ‘il sole 24 ore’ del 20 luglio ha scritto: ‘il tendenziale dell’anno prossimo propone un’austerità che fa impallidire ogni precedente. Nel 2012 per esempio, nel tentativo di spegnere la tempesta dello spread volato a 575 punti, il Governo di Mario Monti limitò la spesa complessiva a 801,1 miliardi, cioè in valore reale il 6,7% in meno rispetto a tre anni prima. Oggi invece il programma di finanza pubblica prevede per il 2024 uscite per 1.076,8 miliardi, con un taglio reale rispetto al 2021 del 10,4%’. L’anno scorso scrivevamo che la guerra avrebbe affossato la nostra economia, ad un anno di distanza non possiamo che confermare queste fosche previsioni. Siamo veramente convinti che di fronte a questi numeri la nostra spesa per la difesa debba aumentare? Siamo veramente convinti che spendere di più per l’energia sia il modo migliore per far finire la guerra? Anche i rossobruni che a sinistra sostengono, magari anche economicamente, i nazisti del battaglione Azov dovranno prima o poi fare i conti con la realtà.
Non siamo nelle condizioni di prefigurare quale tipo di accordo potrà porre fine alla guerra, possiamo però dire che alla diplomazia non c’è alternativa e possiamo anche dire che quando questo dialogo partirà metterà la parola fine al mondo unipolare a guida statunitense; prima l’Occidente capirà che il futuro sarà fatto di convivenza fra sistemi diversi meglio sarà. Questa guerra iniziata nel 2014 finirà con la sconfitta dell’Impero statunitense, che non ha fatto altro che collezionare sconfitte negli ultimi anni: dall’Afghanistan, all’Iraq passando per la Siria. Una ritrovata stabilità internazionale potrebbe consentire a questa (piccola) parte di mondo di concentrarsi sui propri reali problemi: il lavoro, la diseguaglianza e la povertà.
È ipotizzabile che una trattativa porti all’aumento di tensioni interne all’Ucraina, la feccia neonazista che abbiamo armato potrà rappresentare un serio problema, così come potrebbe essere un problema il commercio delle armi che abbiamo regalato ad uno dei Paesi più corrotti del mondo, non vorremmo vedere la mafia colpire in Italia grazie ad armi che arrivano da Kiev. Saranno pericoli molto reali in futuro da addebitare a chi, esaltando i bambini con i fucili in mano, si era convinto di poter risolvere una questione complessa con l’uso della forza.
Non possiamo garantire che questa analisi sia esatta quello di cui siamo convinti e che la lotta in Italia deve continuare, l’obiettivo del referendum contro l’invio di armi non è stato raggiunto ma le quasi 400 mila firme raccolte nel totale silenzio dell’informazione sono un punto da cui partire, unendo in questa lotta tutte le forze che credono che la guerra possa e debba essere fermata.
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