di Manlio Dinucci | da il Manifesto del 4 dicembre 2012
Al presidente Obama non piace la guerra. Non perché è premio Nobel per la pace, ma perché l’azione bellica aperta scopre le carte della strategia statunitense e degli interessi che ne sono alla base.
Ha quindi varato un grande piano che, scrive il Washington Post, «riflette la preferenza della sua amministrazione per lo spionaggio e l’azione coperta piuttosto che per l’uso della forza convenzionale».
Esso prevede di ristrutturare e potenziare la Dia (Agenzia di intelligence della difesa), finora concentrata sulle guerre in Afghanistan e Iraq, così che possa operare su scala globale quale «agenzia di spionaggio focalizzata sulle minacce emergenti, più strettamente collegata con la Cia e le unità militari d’élite».
Il primo passo sarà quello di aumentare ulteriormente l’organico della Dia che, raddoppiato nell’ultimo decennio, comprende circa 16.500 membri. Verrà formata «una nuova generazione di agenti segreti» da inviare all’estero.
Del loro addestramento si occuperà la Cia nel suo centro in Virginia, noto come «la Fattoria», dove si allevano agenti segreti: per quelli della Dia, che oggi costituiscono il 20% degli allievi, saranno creati nuovi posti. La sempre più stretta collaborazione tra le due agenzie è testimoniata dal fatto che la Dia ha adottato alcune delle strutture interne della Cia, tra cui una unità chiamata «Persia House», che coordina le operazioni segrete all’interno dell’Iran.
I nuovi agenti Dia frequenteranno quindi un corso di specializzazione presso il Comando delle operazioni speciali. Esso è specializzato, oltre che nell’eliminazione di nemici, in «guerra non-convenzionale» condotta da forze esterne appositamente addestrate; in «controinsurrezione» per aiutare governi alleati a reprimere una ribellione; in «operazioni psicologiche» per influenzare l’opinione pubblica così che appoggi le azioni militari Usa.
Terminata la formazione, i nuovi agenti Dia, all’inizio circa 1.600, saranno assegnati dal Pentagono a missioni in tutto il mondo. A fornire loro false identità ci penserà il Dipartimento di stato, immettendone una parte nelle ambasciate. Ma, poiché esse sono affollate di agenti della Cia, agli agenti Dia saranno fornite altre false identità, tipo quella di accademico o uomo d’affari.
Gli agenti Dia, grazie al loro background militare, sono ritenuti più idonei a reclutare informatori in grado di fornire dati di carattere militare, ad esempio sul nuovo caccia cinese. E il potenziamento del loro organico permetterà alla Dia di allargare la gamma degli obiettivi da colpire con i droni e con le forze speciali.
Questo è il nuovo modo di fare la guerra, che prepara e accompagna l’attacco aperto con l’azione coperta per minare il paese all’interno, come è avvenuto in Libia, o per farlo crollare dall’interno, come si tenta di fare con la Siria. In questa direzione va la ristrutturazione della Dia, varata dal presidente Obama.
Non si sa se il neo-candidato premier Pier Luigi Bersani, grande estimatore di Obama, si sia già complimentato con lui. Intanto è andato in Libia per «riprendere il filo di una presenza forte dell’Italia nel Mediterraneo». Il filo della guerra contro la Libia, cui l’Italia ha partecipato sotto comando Usa. Mentre Bersani gioiva, esclamando «alla buon’ora».