di Marco Santopadre, da www.contropiano.org
L’Italia va alla guerra contro l’India e i media italiani rispolverano toni e slogan d’altri tempi. Per difendere i ‘nostri ragazzi’. De Mistura intanto evita la galera ai due militari accusati dell’omicidio di alcuni pescatori indiani.
Ieri un gruppo di ragazzotti dell’organizzazione neofascista Casapound sono andati sotto l’ambasciata di Nuova Delhi a Roma per protestare contro la decisione del giudice indiano di trasferire in un carcere di Kollam i due marò italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati e mitragliati sul loro peschereccio dall’alto della petroliera che i fucilieri di marina scortavano. «Abbiamo chiesto a gran voce all’ambasciatore e a tutto il corpo diplomatico indiano di lasciare l’Italia – dice Simone di Stefano, vice presidente di Casapound – Sventolando le bandiere tricolori, cantando l’inno nazionale e accendendo fumogeni abbiamo protestato contro questa misura inaccettabile”.
E’ uno dei tanti episodi dell’ultranazionalismo becero scatenato ad arte dalla politica e dei media italiani su una vicenda che andrebbe seguita, indagata, spiegata e non certo strumentalizzata politicamente a proprio favore. Basta leggere i giornali o ascoltare gli sproloqui sciovinisti di Corradino Mineo su Rainews 24 per rendersi conto di quanto l’Italia sia precipitata in un clima d’altri tempi. Il nemico stavolta è l’India: rea di pretendere che i due militari vengano giudicati, e giudicati da giudici di Delhi; rea di pretendere che i due fucilieri vengano rinchiusi se non in un carcere almeno in un posto dal quale gli sia impossibile sfuggire al processo. “I nazionalisti indiani sfruttano la vicenda per distogliere la propria opinione pubblica dai problemi economici e sociali del paese” accusano i vertici militari, politici e mediatici italiani. Un ragionamento in parte vero – d’altronde i pescatori del Kerala sono tanti e votano – ma che nasconde un nazionalismo italiano che usa toni d’altri tempi e che forse nasconde qualcos’altro. Il governo italiano è impegnato in un braccio di ferro diplomatico con le autorità del Kerala e dell’Unione Indiana che non ha eguali se paragonato a vicende simili avvenute in altri contesti e in altri momenti. Per Roma i militari non hanno sparato al peschereccio e se lo hanno fatto sono da giustificare perché pensavano di difendere la petroliera italiana da un attacco di pirati; tutto sarebbe avvenuto in acque internazionali e quindi i due marò dovrebbero essere giudicati dai magistrati italiani (!). E comunque chi l’ha detto che i pescatori indiani mitragliati non fossero veramente dei pirati?
Nel frattempo però i magistrati indiani hanno deciso che i due marò del Battaglione San Marco debbano essere rinchiusi. Non in un carcere (“come dei criminali comuni!” commenta scandalizzato Mineo) ma in una palazzina in cui i due potranno utilizzare bagni privati e telefono oltre che indossare le proprie divise. In attesa che, in un paio di giorni, sia allestita una struttura ad hoc, come il ‘police club’ di Kollam che li ha “ospitati” fino ad oggi, a cui attribuire giuridicamente la funzione di prigione. Non sono poi così tremendi questi indiani, in fondo. Tutto merito di un Sottosegretario agli Esteri italiano, Staffan de Mistura, che tutto fa meno che mediare con le autorità di Nuova Delhi nel comune interesse per la giustizia. De Mistura si dà molto da fare: fino alle tre di notte si è piazzato davanti alla prigione di Trivandrum per evitare che i due militari venissero accusati di omicidio, ha fatto pressione sulle famiglie dei pescatori uccisi, ha cercato di giustificare presso le autorità indiane che una parte dei dati registrati sulla scatola nera della petroliera siano spariti, cancellati. Tutto ciò mentre rilascia interviste di fuoco ai media italiani in cui ripete: “riporteremo a casa i nostri ragazzi”, contribuendo non poco a trasformare la vicenda che vede protagonisti Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in una specie di guerra – per ora solo di parole – con l’India.
Ieri, al termine dei 15 giorni di fermo cominciati il 19 febbraio, i marò sono comparsi davanti al magistrato A.K. Gopakumar che ha disposto il loro trasferimento per due settimane, fino al 19 marzo, nel carcere centrale di Trivandrum, nell’estremo sud dell’India. Il giudice si è ritirato in camera di consiglio firmando una ordinanza in cui stabiliva l’invio dei due in carcere, lasciando però la porta aperta ad una scelta alternativa da parte della Direzione delle prigioni del Kerala. Mentre i marò sotto il bombardamento dei flash salivano sulla jeep che li avrebbe portati alla prigione di Trivandrum, il console generale Giampaolo Cutillo avviava una corsa contro il tempo per far accettare l’ipotesi di una sistemazione in una struttura che non fosse strettamente carceraria mentre De Mistura consigliava ai militari di rifiutarsi di entrare in una cella del carcere comune, interpretando in questo moto la ferma nota della Farnesina che considerava questo stato di cose «inaccettabile».
Poi la decisione conciliante da parte delle autorità del Kerala, che ai due militari accusati di omicidio assicura una sistemazione alternativa al carcere fino a che le analisi e le perizie in corso sulle armi, sulla petroliera e sul peschereccio non aggiungeranno altri elementi alla vicenda. Chi sa cosa ne pensano migliaia di detenuti senza divisa stipati nelle prigioni italiane e in quelle ancora più terribili dell’Unione Indiana?