dal blog di Domenico Losurdo
Industria dell’indignazione e preparativi di guerra
Ci risiamo. Oggi tutta la stampa cosiddetta d’informazione abbonda di particolari truculenti sui civili, sulle donne e sui bambini fatti a pezzi in Siria – così ci viene assicurato – dal regime di Bashar al Assad. Nessun dubbio è consentito, dileguata è la memoria storica. Qualcuno si ricorda di Timisoara? Qualcuno si ricorda della «rivoluzione da Cinecittà» (secondo la definizione di François Fejtö) che ha luogo nel 1989 in Romania in seguito al diffondersi della «notizia» del «genocidio» verificatosi per l’appunto in quella città? Un filosofo prestigioso (Giorgio Agamben) ha così sintetizzato gli avvenimenti: «Per la prima volta nella storia dell’umanità, dei cadaveri appena sepolti o allineati sui tavoli delle morgues [degli obitori] sono stati dissepolti in fretta e torturati per simulare davanti alle telecamere il genocidio che doveva legittimare il nuovo regime. Ciò che tutto il mondo vedeva in diretta come la verità vera sugli schermi televisivi, era l’assoluta non-verità; e, benché la falsificazione fosse a tratti evidente, essa era tuttavia autentificata come vera dal sistema mondiale dei media, perché fosse chiaro che il vero non era ormai che un momento del movimento necessario del falso» (su ciò cfr. D. Losurdo, La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Laterza, pp. 237-38).
E qualcuno si ricorda di quello che avviene a Racak, alla vigilia della guerra che doveva terminare con lo smembramento della Jugoslavia e con l’installazione nella regione di una poderosa base militare statunitense? Ecco come Roberto Morozzo Della Rocca ricostruisce la vicenda su una rivista prestigiosa qual è «Limes» (Supplemento al n. 1, Quaderni Speciali, 1999):
«Il massacro di Racak è raccapricciante, con mutilazioni e teste mozzate. E’ una scena ideale per suscitare lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale. Qualcosa appare strano nelle modalità dell’eccidio. I serbi abitualmente uccidono senza procedere a mutilazioni […] Come la guerra di Bosnia insegna, le denunce di efferatezze sui corpi, segni di torture, decapitazioni, sono una diffusa arma di propaganda […] Forse non i serbi ma i guerriglieri albanesi hanno mutilato i corpi».
Il dileguare della memoria storica è funzionale alla preparazione della guerra. Obama e i suoi alleati hanno fretta di scatenare i loro bombardieri e di riservare anche al presidente siriano il destino di linciaggio, tortura e morte già inflitto a Gheddafi.
E i quotidiani di «informazione»? Sul «Corriere della Sera» del 13 marzo si può leggere in prima pagina: «Orrore, presidente Bashar al Assad! Orrore!». L’autore dell’articolo (Antonio Ferrari) farebbe bene l’articolo di un suo collega (Alex de Waal), pubblicato sull’«International Herald Tribune» del 10-11 marzo: Quali sono le conseguenze dei continui appelli all’intervento militare? «Nei ribelli ciò provoca un perverso incentivo a scalare (escalate) la violenza etnica in modo da provocare una risposta militare internazionale». Naturalmente, questo è per l’appunto l’obiettivo perseguito dalle cancellerie occidentali e in primo luogo dall’inquilino della Casa Bianca, imbaldanzito nel suo cinismo dal conseguimento del Premio Nobel per la Pace. Ma coloro, giornalisti e no, che sono realmente interessati a evitare spargimenti di sangue, farebbero bene a riflettere: le grida isteriche a favore della guerra umanitaria contribuiscono a provocare quei massacri che pure esse pretendono di condannare!