di Manlio Dinucci | da il manifesto
Bombardare – ha dichiarato la ministra della difesa Pinotti (Pd) – «non deve essere un tabù». Cade così in Italia ed Europa il tabù della guerra e, con esso, anche quello del nazismo. A Kiev, riferisce l’Ansa in un documentato reportage (4 novembre), arrivano ogni settimana da mezza Europa (Italia compresa) e dagli Usa decine di «professionisti della guerra» reclutati soprattutto da Pravy Sektor e dal battaglione Azov, di chiara impronta nazista.
I battaglioni neonazisti fanno parte della Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. In tale ambito vengono addestrati e armati anche gli stranieri, inviati quindi a combattere nel Donbass contro i russi di Ucraina. Al rientro in patria, viene fornito loro «il passaporto ucraino, una sorta di lasciapassare che può servire in tutto il mondo».
Il quadro è chiaro. L’Ucraina di Kiev, di fatto già nella Nato sotto comando Usa, è divenuta il «santuario» del risorgente nazismo nel cuore dell’Europa. Il regime di Kiev ha messo fuori legge non solo il Partito comunista ma il comunismo in quanto tale, la cui professione viene considerata reato.
Ha trasformato l’Ucraina in centro di reclutamento di neonazisti provenienti da paesi europei ed extraeuropei, di fatto selezionati, addestrati e armati dalla Nato. Dopo essere stati messi alla prova in azioni militari reali nel Donbass, vengono fatti rientrare con il «lasciapassare» del passaporto ucraino nei loro paesi, Italia compresa. Qui i più capaci entrano nella nuova Gladio, pronta, se necessario, a provocare altre «piazze Maidan» (o peggio) in Europa. Tutto questo con la connivenza dei governi europei.
A chi considera tale scenario «complottista», consigliamo di visionare l’intervento di Ferdinando Imposimato, Presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione, al Convegno internazionale organizzato a Roma il 26 ottobre dal Comitato No Guerra No Nato. Egli afferma che «nelle indagini che ho fatto sulle stragi, da quella di Piazza Fontana a quelle di Capaci e di Via d’Amelio, si è accertato che l’esplosivo utilizzato veniva dalle basi Nato». Qui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati. E questo accade dai primi anni Sessanta ininterrottamente».
In tale situazione, continua invece a dominare, nella sinistra italiana ed europea, il tabù della Nato. In Italia, nessun partito dell’opposizione parlamentare ha nel suo programma l’uscita dalla Nato.
In Grecia, Syriza ha di fatto cancellato dal suo programma l’obiettivo di «chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato», come quello di «abolire gli accordi di cooperazione militare con Israele», che sono stati invece rafforzati da quello sottoscritto lo scorso luglio da Panos Kammenos, fondatore del partito di destra Anel, al quale il governo Tsipras ha affidato il ministero della difesa.
Lo stesso in Spagna, dove Podemos, che aveva nel suo programma un referendum per l’uscita della Spagna dalla Nato, lo ha ridimensionato mettendo nel programma per le elezioni del 20 dicembre l’obiettivo di «una maggiore autonomia strategica di Spagna ed Europa in seno alla Nato». Sergio Pascual, dirigente e candidato di Podemos a Siviglia, dichiara che, riguardo alle basi Usa in Spagna, «rispetteremo fino all’ultima virgola gli accordi sottoscritti dal nostro paese». Il generale Julio Rodriguez, candidato di Podemos quale futuro ministro della difesa, ribadisce che «la Nato è necessaria». Come lo era nel 2011 quando Rodriguez, già capo di stato maggiore, collaborava, come capo della missione spagnola nella Nato, al bombardamento della Libia.