Giallo sull’arresto in Libano di quattro armati con passaporti italiani ma nomi inglesi. Tornavano dalla Siria. Ma gli Stati Uniti ne hanno chiesto il rilascio.
Un giallo internazionale in piena regola. E il sospetto che quattro italiani (contractor? spie ingaggiate da qualcuno dei contendenti?) abbiano preso parte ai combattimenti in Siria, anche se ancora non si sa da quale parte. Anzi c’è molto più di un sospetto.
La storia, che le autorità di Beirut hanno cercato di occultare, risale a luglio, quando in Libano sono stati bloccati quattro uomini appena entrati nel paese, ma proveninenti dalla Siria. Fermati ad un posto di blocco, i quattro hanno esibito regolari passaporti italiani, ma con nomi inglesi (o americani): James Newton, Andrew Robert, Thomas Oliver e Sam (non si è saputo il cognome).
Uomini la cui presenza non era passata inosservata: infatti fin dal 5 luglio uomini delle forze tribali dell’area nord della Bekaa (la valle che si estende al confine libanese/siriano, storicamente centro di ogni tipo di traffico illegale, area logistica di Hezbollah ma ultimamente indicata da Damasco come luogo dal quale gli islamisti si infiltrano in Siria per partecipare alla rivolta) si erano accorti di movimenti sospetti ed avevano notato la presenza di una Range Rover nera (con targa che finiva con 21/c) e di una Jeep Tri Blazer nera (con targa che finiva con 11/c). Le macchine avvistate nella Bekaa il 5 luglio erano entrate in Siria e tornate in Libano due giorni dopo.
A quel punto è scattato l’allarme o la trappola. Perché mentre il convoglio si muoveva in direzione di Beirut, nelle vicinanze di Baalbek è stato organizzato un posto di blocco dell’esercito libanese che ha fermato le macchine. Sono scesi i quattro italiani o sedicenti tali e con loro c’erano due autisti libanesi. Dopo un primo controllo dei documenti delle macchine e dei passaporti (risultati autentici) il gruppo è stato arrestato e tutti sono stati portati in una caserma dell’esercito libanese ad Ablah (che si trova al centro della valle della Bekaa) dopo i quattro presunti italiani e i loro accompagnatori sono stati interrogati da funzionari dei servizi segreti di Beirut, preallertati dell’accaduto. I quattro non hanno potuto negare quanto riferito dalle forze tribali che da giorni seguivano i loro spostamenti e hanno confessato di essere entrati in Siria per poi tornare.
Perché? Il mistero è fitto. Secondo fonti libanesi contattate da Globalist i quattro erano armati, ma non hanno spiegato in maniera convincente i motivi del loro attraversamento del confine. Tuttavia i colpi di scena non sono mancati: saputo dell’arresto dei quattro con gli accompagnatori, è entrata direttamente in azione Maura Connelly, dal 2010 ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, che ha contattato le autorità di Beirut ottenendo il rilascio del gruppo. Un’azione congiunta, a quanto sembra, con l’ambasciata italiana.
E il mistero si infittisce: quattro uomini con passaporti italiani ma nomi inglesi o americani; quattro armati che si muovono tra la valle della Bekaa e la Siria; per ottenere il loro rilascio si muove l’ambasciatore degli Stati Uniti, ma si dà da fare anche l’ambasciata italiana visto che i passaporti sembrano autentici. Un giallo. Un pasticcio. Chi sono i quattro? Vero, come sospettano le autorità libanesi, che hanno un ruolo nella guerra civile in Siria? Perché l’ambasciatore Connelly si è mossa per proteggerli? E perché i passaporti sono sembrati a tutti autentici? C’è aria di mercenari; c’è aria di cover operations. C’è aria di spie o di contractors. O di mercanti di armi. Quello che è certo è che dietro la guerra in Siria ci sono tante cose poco chiare e tante trame sotterranee. Dappertutto.