Manovre di pace? L’Europa e il post-conflitto

di Francesco Galofaro, Università IULM di Milano

La scorsa settimana Volodymyr Zelensky ha sorpreso l’opinione pubblica internazionale proponendo di tenere una nuova conferenza di pace, da tenersi in novembre. La tempistica non è casuale: il 5 novembre si terranno le presidenziali USA, e una vittoria di Donald Trump, attualmente favorito, segnerebbe una svolta nell’appoggio americano all’Ucraina. A questo proposito, il candidato repubblicano alla vicepresidenza Usa James D. Vance ha dichiarato che “Trump ha promesso di avviare negoziati con Russia e Ucraina per porre fine rapidamente a questo problema in modo che l’America possa concentrarsi sul vero problema, che è la Cina”, esortando anche Israele a porre fine alla guerra a Gaza “il più rapidamente possibile”. La dottrina internazionale di Trump è confermata: il principale competitor degli USA è la Cina; occorre dunque raffreddare il fronte russo. La strada da percorrere non è quella militare, ma il negoziato. A quanto pare, Zelensky ha tratto le proprie conclusioni e ha deciso di giocare d’anticipo. Aprendo al negoziato tenta probabilmente di mettere in difficoltà Putin presso l’opinione pubblica, dal momento che in questo periodo la Russia sta ottenendo progressi sul campo. D’altronde, a parte la proposta, non sembrano esserci novità sostanziali nella posizione ucraina circa i propri obiettivi.

Le analisi – A questo proposito, l’agenzia adnkronos ha pubblicato tre analisi sulla mossa di Zelensky. Il direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaianil’ex comandante del comando operativo interforze, generale Marco Bertolini e l’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica, generale Mario Tricarico, concordano su molte valutazioni. La mossa di Zelensky è realistica. Le prospettive negative delle forze in campo campo e dato che la “conferenza di pace” in Svizzera ha mancato l’obiettivo di incassare una solidarietà unanime. L’Occidente, specie l’Europa, dovrebbe approfittarne per giocare un ruolo maggiormente autonomo, dato che Trump in passato ha mostrato a sua volta una totale autonomia decisionale rispetto alla NATO. Il fatto che si cerchi una soluzione negoziale è un fatto positivo. Qualche cautela è opportuna. Zelensky ha aperto al negoziato e non alla pace; Putin non accetterà un cessate il fuoco che faccia semplicemente guadagnare tempo all’Ucraina. Quello che Putin vuole, secondo Bertolini, è il coinvolgimento dell’Europa, degli Stati Uniti e della Cina per ridefinire le relazioni internazionali. 

Due scenari per il post-conflitto – Due sono i possibili esiti di una fine delle ostilità in Ucraina. Il primo è quello del mondo multipolare: una ridefinizione del sistema internazionale che definisca le sfere di influenza degli USA e dei BRICS, garantendo la reciproca sicurezza. Il secondo, più preoccupante, è una pace meramente intesa come “assenza di guerra”: una disonorevole patta che apra a una tregua medio-lunga, nella prospettiva di un riarmo e di un girone di ritorno che segni la rivincita dell’“Occidente collettivo”. Fin d’ora i gruppi dirigenti del mondo sono chiamati a scegliere in quale delle due logiche sarebbe meglio trovarsi. Peccato che al recente vertice NATO di Washington abbia prevalso la retorica belluina, che si accompagna al silenzio sull’imbarazzante assenza di risultati sul campo militare. Come ha scritto Marco Pondrelli, “Quando si afferma che la minaccia russa perdurerà nel tempo si sta dicendo che, a prescindere dal nome del prossimo o della prossima Presidente statunitense, la guerra continuerà e siccome la guerra costa e provoca malumori il dissenso andrà represso”.

Le scelte italiane nel quadro dell’Unione europea – In questo quadro, l’Italia di Giorgia Meloni pronuncia professioni di fede atlantica a ripetizione. Garantisce l’appoggio all’Ucraina, chiede per sé il ruolo di inviato NATO per il fianco sud, dichiara di voler portare la spesa militare al 2%. Inoltre, si impegna nel trattato ELSA (European Long-Range Strike Approach), che impegna Francia, Polonia e Germania a sviluppare, produrre e fornire capacità nel campo degli attacchi a lungo raggio, il cui obiettivo non troppo nascosto è chiaramente la Russia. Non è che Giorgia Meloni sia cognitivamente incapace di cogliere la novità rappresentata da Trump alla presidenza degli USA; il suo è un tentativo di reagire a una chiara fase di difficoltà. Il progetto politico di sostituire i socialdemocratici nella maggioranza del Parlamento europeo ha senza dubbio portato voti a FdI, ma è stato comunque battuto. Il suo gruppo a Bruxelles si è indebolito per il successo dei “Patrioti” di Viktor Orbán, che ha portato via la delegazione spagnola di Vox ai conservatori. Il progetto ungherese appare oggi più sul pezzo, quanto al contesto delle relazioni internazionali. La buona borghesia italiana si aspettava che Giorgia Meloni potesse ancora guadagnare un ruolo di peso attraverso un appoggio esterno, ma anche la partita dei Top Jobs si è chiusa con un nulla di fatto: anche nel ruolo di stampella esterna di Ursula von der Leyen, l’ECR è stato sostituito dai verdi. A questo proposito, ci si può chiedere come gli elettori di Ilaria Salis abbiano preso la notizia che i quattro parlamentari verdi eletti grazie ai loro voti ora puntellano la maggioranza guerrafondaia di Ursula von del Leyen, il cui intervento programmatico ha ribadito il sostegno UE all’Ucraina “finché sarà necessario”.

Militarismo liberale – C’è da chiedersi se siamo noi, cittadini italiani, a dover pagare le spese per i disperati tentativi della nostra borghesia attrarre l’attenzione all’estero. I grandi classici del pensiero economico liberale hanno sempre considerato negativamente le politiche volte all’affermazione militare e all’aumento di questo genere di spese. Apro una recente antologia, curata da Nicola Iannello e Alberto Mengardi, Pace e Mercato: le relazioni internaizonali nella tradizione liberale (Studium, Roma, 2024): dati economici alla mano, Vilfredo Pareto dimostrava che gli aumenti delle spese militari alla fine dell’Ottocento sono la causa dell’incapacità dello Stato italiano di far fronte a problemi come pellagra, vaiolo e analfabetismo. Per Herbert Spencer, violenza e scambio sono antitetiche. La prima porta a società militari e gerarchiche, la seconda a società industriali e pacifiche. Sembrerebbe che l’Unione europea abbia intrapreso la prima strada. Se pensiamo che, al principio del Novecento, Frédéric Passy proponeva una federazione di Paesi europei proprio per evitare che le guerre e le spese militari facessero cadere la competitività dell’Europa rispetto ai concorrenti americano e giapponese, dobbiamo concludere che, dialetticamente, l’Unione europea si è tramutata nel proprio opposto, ottimizzando le spese dell’escalation militare per divenire sempre più subalterna sul piano internazionale.

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