di Mauro Gemma, direzione nazionale PdCI
Mentre sulle misure di carattere economico e sociale del governo Monti, impegnato nelle faticose trattative per la nomina dei sottosegretari, continua a regnare il più assoluto riserbo e l’unica cosa certa sembrano essere le assicurazioni che Monti ha dato ai suoi interlocutori europei circa l’intenzione di rispettare le disposizioni contenute nella lettera inviata dalla BCE al governo italiano lo scorso 5 agosto, gli unici ministeri che sembrano muoversi con le idee chiare e con intenzioni che difficilmente si prestano a molte interpretazioni, sono quelli incaricati alla Difesa e agli Esteri.
Ha cominciato, immediatamente dopo il suo insediamento, il neo-ministro della Difesa Giampaolo Di Paola con una dichiarazione dal carattere perentorio, che non lascia alcun dubbio sulla sua volontà (evidentemente condivisa dal resto della compagine ministeriale) di dare continuità, rafforzandoli, ai legami di fedeltà alla NATO, e di allineare senza tentennamenti il nostro paese a quel “nuovo concetto strategico” dell’alleanza militare occidentale, che è stato definito nel corso degli ultimi vertici politici e militari della NATO e che estende il raggio d’azione di questo blocco a tutti gli angoli del nostro pianeta, sancendo, in una sorta di “carta dei principi”, una pratica di politiche di aggressione e violazione della sovranità e dell’autodeterminazione in atto ormai dai tempi della caduta del “campo socialista”.
Di Paola, tra gli esponenti di maggior rilievo del quartier generale della NATO, che ha partecipato attivamente all’operazione militare in Libia e la cui nomina ha interrotto la consuetudine di affidare i dicasteri militari a personale civile (se si eccettua la nomina del generale Corcione quale ministro del Governo Dini tra il 1995 e il 1996), ha voluto chiarire fin dall’inizio quali saranno le direttrici del suo operato, con una dichiarazione che ha ribadito la volontà del nuovo esecutivo di adempiere fino in fondo agli obblighi che legano il nostro paese ai suoi alleati della NATO, facendo fronte a tutti gli impegni che vincolano l’Italia alla partecipazione alle missioni militari attuali e future. A dissipare ogni dubbio sulle intenzioni dell’attuale titolare della Difesa, al contrario di quanto avveniva con le pasticciate esternazioni del suo predecessore che doveva fare i conti con le contraddizioni presenti all’interno della sua coalizione, la dichiarazione di Di Paola non fa alcuna menzione della possibilità di un futuro, almeno parziale, disimpegno da alcuni teatri di guerra che vedono impegnate le nostre truppe. E, del resto, la cosa non sembra aver suscitato scandalo tra i sostenitori di “centro-sinistra” del nuovo governo. Così, la presa di distanze dagli impegni bellici italiani che aveva caratterizzato, fino alla caduta di Berlusconi, alcuni dei componenti dello schieramento di opposizione parlamentare sembra essere un lontano ricordo.
Nel frattempo, dovrebbe essere esaminato in Commissione Difesa della Camera l’ultimo piano di spese militari per il nostro Paese di 500 milioni da attuare entro l’anno, uno stanziamento che verrebbe ad aggiungersi agli oltre 20 miliardi che il precedente governo aveva speso per l’acquisto di armamenti, con un aumento di 3 miliardi rispetto al 2010.
E tutto ciò avviene nel quadro inquietante che caratterizza le regioni a noi contigue del Nord Africa e del Medio Oriente, in cui le cosiddette “primavere arabe” sembrano non avere nemmeno superato la data di inizio dell’equinozio d’inverno, mentre a Tunisi il potere è nelle mani di integralisti islamici più o meno “moderati”, al Cairo l’esercito spara sul popolo in rivolta e uccide peggio di un anno fa, la Libia è stata distrutta dai bombardieri Nato e consegnata nelle mani dei camaleonti passati al servizio dei colonialisti atlantici, in Siria è in atto un tentativo di golpe armato contro il regime di Assad con modalità pressoché identiche alla Libia e Israele, dotata delle armi nucleari, sta preparando un attacco militare contro l’Iran che potrebbe avere effetti devastanti.
In questo contesto assume un particolare e inquietante rilievo anche la dichiarazione rilasciata a Istanbul dall’attuale ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in un incontro con il suo omologo turco Davudoglu, in merito agli sviluppi della situazione in Siria (http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2011/11/25/visualizza_new.html_14007175.html). E’ una dichiarazione improntata al rigido allineamento alle posizioni più oltranziste dello schieramento atlantista, che sta premendo sulla “comunità internazionale” per ripetere in Siria lo stesso identico copione che ha portato allo scatenamento della guerra della coalizione occidentale contro la Libia, con lo strascico di morte e di devastazione che l’ha caratterizzata.
Nel ribadire il proprio impegno a sostenere completamente le “forze democratiche” della Siria e l’ “opposizione organizzata” – significativamente nel giorno stesso in cui la Turchia, spalleggiata dalle monarchie del Golfo, lancia il suo “ultimatum” alla Siria – il ministro Terzi esprime alcune considerazioni che mettono in rilievo la sua rigida adesione a tutti i postulati ideologici che hanno giustificato, in nome dell’intervento umanitario, la precedente operazione contro la Libia.
Innanzitutto, Terzi richiama alla “responsabilità di proteggere tutte le popolazioni inermi”. Per chi non l’avesse notato o se lo fosse dimenticato, è esattamente la stessa formulazione che 70 rappresentanti di una rete di ONG (tra cui alcuni italiani, in particolare del Partito Radicale) organicamente in rapporti con lo statunitense National Endowment for Democracy (NED), impegnato nelle attività di sovversione nei paesi che non si rassegnano all’ordine di Washington, avevano utilizzato nella lettera inviata al Segretario Generale dell’ONU e che ha costituito la base della risoluzione 1977 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha dato il via libera allo scatenamento dell’aggressione alla Libia (http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/120-la-libia-e-la-grande-menzogna.html).
Come se non bastasse, lasciata da parte ogni prudenza diplomatica, il nuovo ministro degli Esteri, esprimendo il suo “disappunto”, se la prende con quei paesi che in sede ONU con le loro “resistenze” hanno impedito l’attuazione delle delibere presentate dalle potenze occidentali. E’ evidente come i primi destinatari del “disappunto”siano la Cina e, in particolare, la Russia che in questo momento appare attivamente impegnata nel sostegno alla difesa della Siria dalla minaccia incombente di aggressione esterna (http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/433-la-russia-si-impegna-nella-difesa-militare-della-siria-dalla-sempre-piu-probabile-aggressione-della-nato.html).
In ultima analisi, le prime mosse dei due ministri sembrano rispondere pienamente a quanto ci è capitato di leggere in una fonte non certo sospettabile di indulgenza nei confronti di illazioni ispirate alle tesi del “complotto internazionale” come il Sole 24 Ore: “Secondo indiscrezioni l’incarico all’ammiraglio Di Paola, così come quello dell’ambasciatore Terzi alla Farnesina, è stato caldeggiato da Washington grazie agli stretti rapporti che intercorrono tra il Quirinale e la Casa Bianca, consolidatisi durante il conflitto libico e confermati anche nei giorni scorsi da colloqui telefonici tra Napolitano e Obama.” (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-17/paola-ammiraglio-ministro-dovra-153146.shtml?uuid=AaYPJNME). Indiscrezioni che indicano eloquentemente qual è il ruolo svolto dal presidente della Repubblica nell’allineamento dell’Italia alle posizioni filo-atlantiste, anche nella loro versione più oltranzista.
Se queste dichiarazioni di intenti non dovessero trovare opposizione nello schieramento eterogeneo che sostiene il nostro governo, se ne potrebbe trarre l’impressione che l’entrata del nostro paese in una nuova operazione di guerra della NATO, che diversi analisti danno per molto probabile, non incontrerebbe neppure le iniziali resistenze che si avvertirono, da parte italiana, all’inizio della guerra in Libia. E, sapendo bene come l’ideologia “interventista umanitaria” permei gran parte dello schieramento di centro-sinistra, non è certo il caso di nutrire soverchie illusioni.
Del resto, anche tra ciò che resta in piedi del movimento pacifista italiano, non sembra francamente che venga avvertito il pericolo incombente di un nuovo coinvolgimento dell’Italia in una nuova avventura militare (questa volta con seri rischi di confronto tra le grandi potenze). Basta dare uno sguardo ai siti web di alcune organizzazioni “pacifiste”, per verificare la quasi completa assenza di riferimenti agli sviluppi della politica estera italiana nel pericoloso scacchiere mediorientale. Figuriamoci se possiamo attenderci mobilitazioni.
Spesso, anche tra questi settori, si preferisce dare spazio alle “ragioni umanitarie” dell’opposizione siriana sostenuta apertamente dall’Occidente, invitandola a marce e convegni o partecipando a presidi davanti all’ambasciata di Damasco. Esattamente come, prima dell’attacco alla Libia, si era preferito aderire alle iniziative dei “ribelli” di Bengasi, unendo, in un connubio innaturale, le bandiere rosse a quelle dei monarchici senussiti.
E’ con questo contesto di difficoltà nella mobilitazione del “popolo della pace” che devono fare i conti i comunisti italiani, la Federazione della Sinistra, le forze che fanno della lotta per la pace, per l’autodeterminazione dei popoli e contro l’imperialismo ragione essenziale della loro esistenza. A queste forze spetta il difficile compito di unirsi anche nel nostro paese allo sforzo che paesi e popoli in altre parti del mondo stanno sostenendo per sventare la minaccia imperialista alla Siria e alle altre nazioni che non intendono cedere ai ricatti dell’impero.