di Francesco Maringiò
Il governo Letta getta la maschera: con una mano taglia la sanità, con l’altra spenderà 12 milioni di euro al mese per un’operazione che, nella realtà, servirà per respingere in mare chi scappa dalle (nostre) guerre e dalla miseria
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant
[Laddove fanno il deserto, lo chiamano pace.
Publio Cornelio Tacito, Agricola]
L’operazione Mare Nostrum è entrata nel pieno delle sue funzioni ma, una volta archiviata la querelle sulla denominazione, è già calato il silenzio e l’attenzione da parte dei media. Il nome dell’intervento effettivamente lascia perplessi perché ricorda la locuzione che l’antica Roma dava del Mediterraneo, ossia un’area che ricadeva manu militari sotto il suo dominio. Successivamente la stessa espressione fu usata dal nazionalismo italiano del Rinascimento e poi ancora dalla propaganda fascista che, lanciando l’esperienza coloniale italiana in Africa, associava il concetto di “mare nostrum” al “lebensraum” (spazio vitale) nazista. Insomma: denominare in questo modo un’“operazione umanitaria”, dovrebbe lasciare perplessi i più eppure, al di là di qualche cinguettio su Twitter, la questione pare oramai chiusa.
Il Premier democratico Enrico Letta ha così commentato l’avvio di questa operazione: «non possiamo aspettare i tempi dei parlamenti e delle istituzioni europee quando sono in gioco vite umane, quando sono a rischio i più deboli, donne e bambini: dobbiamo agire subito, per questo avviamo subito una impegnativa missione umanitaria nel Mediterraneo con forze navali e aeree. (…) L’Italia vuole essere all’altezza della responsabilità che la geografia e la storia le hanno assegnato» [Fonte: Giornale Radio Rai del 14/10/2013]. A queste solenni parole, fa eco la puntualizzazione de Ministro della Difesa Mauro: «Non siamo in guerra, le forze armate italiane contribuiscono alla pace e alla stabilità, come prevede la nostra Costituzione» [Fonte: Adnkronos del 15/10/2013].
Si annuncia quindi una grande operazione umanitaria che, in nome della Costituzione, punta ad aiutare vite umane. Eppure lo iato tra gli intenti umanitari dichiarati ed i mezzi belligeranti impiegati, getta una pensante ombra sulla vera intenzione del Governo.
Le forze in campo infatti contano di sei mezzi della Marina Militare (la nave da assalto anfibio San Marco, due fregate lanciamissili Maestrale, due pattugliatori d’altura classe Cassiopea o Comandanti, una nave da trasporto costiero classe Gorgona) ed un dispositivo aereo di tutto rispetto (quattro elicotteri Ab 212, due elicotteri EH-101, un pattugliatore piaggio P-180, un pattugliatore marittimo Breguet Atlantic).
Viene il dubbio che il Premier Letta ed i suoi Ministri non abbiamo mai visto le drammatiche immagini che le Tv mandano in onda ogni volta che si tenta una operazione di salvataggio di migranti in mare: le onde che fanno beccheggiare le barche, le difficoltà di abbordaggio ed i gesti di disperazione da parte dei migranti che, dopo giorni di navigazione senza acqua, sanitari e con l’incubo di affogare, lanciano i neonati da una barca all’altra o si gettano in mare.
Basterebbe infatti ripercorre nella mente queste scene per capire come fregate lanciamissili da 3.300 tonnellate o una nave da assalto anfibio da 8mila tonnellate, lunga 135 metri e larga 20 sia assolutamente inadatta per operazioni umanitarie in cui bisognerebbe abbordare barche da 10-15 metri e consentire il salvataggio delle persone a bordo. La stessa attrezzatura aeronautica è poco adatta alla perlustrazione del mare: molti dei mezzi impiegati sono aerei caccia-sommergibili con compiti di elio-assalto.
La logica spingerebbe a ragionare in maniera diversa. Se segniamo su una carta i porti di partenza di questi barconi (Libia e Tunisia, prevalentemente) con Lampedusa (o un altro porto italiano) ci accorgeremmo che il cono tracciato ha un vertice abbastanza stretto. Basterebbe quindi pattugliare le prime 8-10 miglia di quel cono per avere la situazione veramente sotto controllo, senza spingere invece le nostre navi (da guerra) fin sotto i confini dell’Africa. Per le operazioni di sorveglianza e salvataggio basterebbe impiegare radar e satelliti in grado di controllare il canale di Sicilia e mezzi leggeri da pattugliamento (motovedette ed elicotteri) che sono in dotazione alla Guardia Costiera, ossia al corpo dello Stato deputato a questo compito.
Allora il sospetto più che legittimo è che le intenzioni reali del governo siano quelle di compiere azioni di respingimento in alto mare (e quindi lontane dagli occhi indiscreti dei pescherecci e delle telecamere). Usiamo il termine “respingimento”, al posto di altri, perché non è certo nostra intenzione fare il processo alle intenzioni, ma è evidente a tutti che i mezzi messi in campo per l’operazione poco si prestano con gli intenti delle dichiarazioni (fatte in nome “dei più deboli, donne e bambini”) del premier Letta che evidentemente finge di non capire.
Inoltre questa operazione avrà un costo pazzesco: 9 milioni di euro al mese, più 1,5 milioni per il dispositivo già in azione per un totale di 10,5 milioni di euro al mese (alcuni parlano di 12 milioni, spalmati sui bilanci dei ministeri Esteri, Difesa, Interni – sull’analisi dei costi, invio alla tabella a fine articolo). E non possiamo certo sottovalutare il fatto che queste spese vengono decise proprio mentre il governo opera dei tagli pesantissimi allo stato sociale e non attua invece misure in favore dell’occupazione, della scuola o della ricerca, con la scusa dell’assenza dei fondi e del debito.
Dietro questa ipocrita scelta del governo (passata quasi sotto silenzio da parte di tutte le forze politiche presenti in parlamento, se si fa eccezione per il dibattito sul nome) si celano probabilmente anche altre valutazioni. La prima, ricordando l’affaire Protezione Civile ai tempi di Bertolaso, è che le “emergenze” vengono usate come occasione per condizionare l’opinione pubblica in favore di massicci investimenti di risorse pubbliche. E certo questa vicenda “aiuta” la Marina Militare che, per bocca del Capo di Stato Maggiore, ha appena avanzato la richiesta di 10 miliardi di euro di investimenti pubblici per rinnovare la flotta navale italiana, con l’argomento del “dual use” militare e civile (navi da guerra armate di missili, siluri, cannoni e mezzi da assalto presentate come mezzi da protezione civile). Sullo sfondo, seconda considerazione, la tendenza di questo Governo (in linea con quello Monti e Berlusconi) a potenziare strategicamente la Marina a scapito dell’Esercito e quindi piegare le esigenze di difesa italiane alle nuove direttive Nato che ci vogliono impegnati in operazioni internazionali nel Mediterraneo e nel Medio Oriente: da forze di protezione, le nostre Forze Armate si trasformano in forze di proiezione. Se l’Esercito passa in secondo piano, i corpi smilitarizzati continuano ad essere umiliati. È bene ricordare, a fronte delle spese folli di questa operazione, che in questi anni il lavoro è stato compiuto (con mezzi idonei e non da guerra) dalla Guardia Costiera, i cui uomini sono pagati 3 euro per ogni ora di straordinario effettuato. Infine, ma non per ultimo, c’è un indubbio peso della lobby dell’industria militare nelle scelte del governo. Queste posizioni non solo non appaiono condivisibili a chi, come chi scrive, ha una posizione di coerente impegno contro la guerra e mal si conciliano con lo spirito a cui si infonde la Carta Costituzionale (non a caso sotto attacco), ma sono in contraddizione anche con gli stessi interessi industriali e di difesa nazionali.
In conclusione, dopo i drammatici fatti di Lampedusa, credo si imponga una riflessione seria sul tema dell’immigrazione che, a mio avviso, va affrontata agendo subito su tre livelli.
Il primo riguarda il tema dei diritti dell’uomo, così come sanciti dalla nostra Carta costituzionale. Da questo punto di vista è palese lo iato tra la retorica dell’inviolabilità dei diritti umani e la beffa che subiranno i superstiti del disastro, imputati per il reato di clandestinità. Ciò rende manifesto, più di tanti altri discorsi, quanto le leggi in materia di sicurezza ed immigrazione (Turco-Napolitano, Bossi-Fini e Pacchetto Maroni) siano sbagliate per gli intenti che si propongono, assolutamente irrispettose dei diritti della persona e, come è evidente, fomentano il razzismo. Pertanto vanno abolite.
Un secondo livello riguarda le cause di questi fenomeni. È sempre più evidente l’ipocrisia dei governi occidentali (inclusi quelli italiani) che con una mano promuovono e sostengono operazioni di guerra in tutta l’area del Mediterraneo, destabilizzandola, e con l’altra cercano di sfuggire a quelle ondate migratorie che spesso sono da queste guerre (ma non solo) scatenate ed incoraggiate. Questa cosa non è solo immorale, è anche miope. Per fare solo un esempio, è bene ricordare che il governo libico (che abbiamo messo al potere intervenendo contro il regime di Gheddafi) non controlla neppure il centro della capitale, figuriamoci i porti di Zuara e Misurata in mano alle milizie (che abbiamo addestrato, armato e finanziato) che incassano una “tassa di transito” dalle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta degli esseri umani. Non ci può essere alcuna risposta seria al tema dell’immigrazione se questa è sganciata da una più complessiva politica estera basata sulla cooperazione internazionale e sulla pace. E pertanto vanno denunciate per la loro intrinseca ipocrisia tutte quelle politiche che alimentano la guerra e poi respingono i profughi che quelle guerre generano.
Infine, va studiata e messa in campo una seria politica per l’immigrazione (tema a volte ostico a sinistra) che non releghi questi processi a semplici emergenze umanitarie, ma le inquadri in una contesa più generale sulla politica economica, battendosi per il ridimensionamento dei mercati finanziari e del capitale, base economica che determina lo scontro tra lavoratori migranti e nativi. Senza queste politiche il meccanismo perverso della “guerra tra poveri” continuerà ad essere il contesto che giustificherà nuove politiche razziste e nuove forme di sfruttamento sul lavoro.
Lotta la razzismo, lotta alla guerra e lotta al capitale sono quindi tre assi di un’unica politica necessaria perché fatti drammatici come quelli di Lampedusa non si ripetano più ma, purtroppo, con l’uscita dei comunisti dal parlamento, questi temi sono drammaticamente espunti dall’agenda politica italiana.
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TABELLA COSTI [Fonte: analisi difesa.it]
FREGATE CLASSE MAESTRALE € 60 mila euro /giorno
LPD SAN MARCO € 45 mila/giorno
CORVETTE CLASSE MINERVA € 20 €mila /giorno
PATTUGLIATORI CLASSI COSTELLAZIONI/COMANDANTI € 12/15 mila euro /giorno
TRASPORTO COSTIERO CLASSE GORGONA € 4 mila euro /giorno
ELICOTTERI AB 212 € 4 mila/ora di volo
ELICOTTERI EH 101 € 7 mila /ora di volo
PATTUGLIATORI P-180 € 2 mila ora di volo
DRONI PREDATOR € 3 mila euro/ora di volo
PATTUGLIATORI ATLANTIC € 13 mila euro /ora di volo