di Marco Pondrelli
Dopo due settimane dall’attacco terroristico al Crocus di Mosca i fatti non sono ancora del tutto chiari ma si possono azzardare una serie di riflessioni sia sull’evento che sulle possibili conseguenze.
Il primo punto è che nonostante la rivendicazione dell’ISIS-K non tutto è chiaro. I terroristi che scappano, secondo i russi verso l’Ucraina, non è un modo operativo comune, in genere essi sono ben contanti di farsi uccidere e di guadagnare così il paradiso. Essere stati reclutati sul Telegram e pagati con una somma corrispondente a 5 mila euro e un altro elemento strano. Tutto lascia pensare che se anche l’ISIS ha materialmente effettuato l’attentato, c’è stato chi, come affermato dal Ministro degli Esteri turco, ha agevolato e supportato questo lavoro.
Secondo punto, gli Stati Uniti fin da subito avevano le idee chiare sugli attentatori e sul non coinvolgimento dell’Ucraina. Come ha rivelato l’attenta analisi di Korybko le informazioni che gli USA hanno passato a Mosca, che secondo la nostra stampa erano puntuali, sono avvolte da un velo di ambiguità. Prima che il Washington Post pubblicasse alcune indiscrezioni secondo le quali gli Stati Uniti avevano passato informazioni precise, sul New York Times voci interne al Deep State affermavano che le informazioni non erano puntuali per non bruciare le fonti da cui queste notizie erano trapelate. Secondo Korybko queste fonti erano i servizi segreti ucraini. Che pezzi dell’Amministrazione USA offrano versioni differenti, chiarisce quanto il potere profondo statunitense sia oggi diviso rispetto alla politica da portare avanti verso la Russia.
Terzo. Fino ad oggi la posizione russa è stata molto prudente. Putin nel primo discorso dopo l’attentato parlò ‘di una finestra aperta in Ucraina’ senza quindi accusare direttamente il regime di Kiev, ricordiamoci però che l’Ucraina ha già organizzato attentati sul suolo russo. Questi atti terroristi sono diventati parte della guerra, la debolezza sul campo di battaglia è evidente la scelta è quindi quella di creare panico dentro i confini russi nella speranza che questo produca instabilità politica.
Quarto. La strage è stata usata per l’ennesimo attacco alla Russia e al suo Presidente. È normale tornare con la mente all’orrenda strage di Beslan. Guy Mettan nel suo libro ‘Russofobia’ ricorda come i primi articoli apparsi sulla stampa occidentale dopo la strage erano non di condanna dell’accaduto ma contro il governo russo, si arrivò anche ad una lettera di 115 ‘atlantisti’, fra i quali figuravano John McCain e l’ex capo della CIA James Woosley, in questa lettera si accusava Putin di avere indebolito la democrazia russa per il modo in cui i tragici eventi erano stati ‘utilizzati’. È lo stesso refrain che sentiamo oggi, giornalisti sempre pronti a gridare al complotto per attaccare chi dissente dalle analisi atlantiste, iniziano a ventilare l’ipotesi del complotto russo, sarebbe Putin il responsabile dell’attentato! Siamo esterrefatti davanti a fesserie di questa portata, perché Putin dovrebbe fare una cosa del genere? Per avviare un’escalation in Ucraina? Nulla è cambiato da dopo l’attentato la politica militare russa è sempre la stessa. Per rafforzare il suo potere? Dopo avere preso oltre l’80% che bisogno ne aveva. La risposta dei soliti noti è che essendo egli un dittatore pazzo, cattivo e sanguinario non c’è bisogno di una risposta.
Per concludere alzando lo sguardo al contesto internazionale, nulla è cambiato. La Russia sta avanzando, l’Ucraina è senza armi, senza soldi e con pochi soldati, l’Occidente sta finendo le armi, sta finendo i soldi e gli elettori stanno finendo la pazienza per cui è improbabile che verranno inviati gli eserciti europei a combattere. È improbabile perché se pensiamo ai numeri dei soldati ucraini morti o feriti durante la ‘controffensiva’ capiamo che non sono numeri che i nostri governi sarebbero in grado di reggere politicamente. In Italia ricordiamo ancora i 19 morti di Nassiriya, mandare l’esercito a combattere in Ucraina vorrebbe dire contare i morti a migliaia non a decine. Inoltre i nostri eserciti sono stati trasformati negli ultimi 30 anni per combattere un altro tipo di guerra, quella che si combatte in Ucraina può essere definita una guerra di ‘vecchio tipo’, per la quale non siamo pronti né militarmente né politicamente.
Di fronte a tutto questo la risposta non può essere il terrorismo e neanche il nucleare, l’unica strada è quella diplomatica, la classe dirigenti europea dovrebbe avere uno scatto d’orgoglio o di autoconservazione, più si continua con la retorica ‘ora inviamo le armi e poi si tratterà’ più il costo per l’Ucraina e per l’Europa sarà alto.
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