L’imperialismo il totalitarismo “liberale” (replica a Ernesto Galli Della Loggia)

Bandeirolasdi Alessandro Pascale

Pubblichiamo questo stimolante contributo di Alessandro Pascale

Viviamo in anni di forte confusione ideologica e politica. Vorrei partire ad esempio da alcune considerazioni fatte da Ernesto Galli della Loggia, in un articolo uscito il 26 giugno sul “Corriere della Sera”, come riflessione rivolta principalmente ai progressisti e al PD. Il pezzo si intitola “Identità e valori, la sinistra vada oltre la sinistra. E riparta da zero” [1]. Della Loggia anzitutto afferma che i problemi della sinistra siano iniziati 25 anni fa, facendo riferimento al pasticcio ideologico del PDS, partito in cui si è iniziato a mischiare marxismo, cristianesimo e altri pensatori democratici e liberali di tutte le tinte, compreso quello che Della Loggia chiama con disprezzo il “fighettismo del ceto medio riflessivo”.

Della Loggia pensa che la riscossa della Sinistra non possa passare che dagli uomini del PD, che deve però rinnovarsi, costruendo “un’identità diversa dal passato, e dunque pronta anche a contaminarsi con valori e prospettive che non abbiano a che fare con la sinistra tradizionalmente intesa”. Che cosa intende Della Loggia per “sinistra”? E quale dovrebbe essere lo scopo di tale contaminazione? Gestire l’esistente, riuscire a costuire un’opposizione coerente ai “sovranisti” e ai “populisti”? Della Loggia ci dice che ciò è necessario perché “il mondo non ha più molto a che fare con il mondo tradizionalmente raffigurato dalla Sinistra; e che la storia stessa ha imboccato vie inaspettate e contraddittorie”.

Non so cosa dica la Sinistra ma i comunisti hanno sempre denunciato il predominio dell’imperialismo, primo nemico dei popoli del Mondo. Per Della Loggia questo imperialismo evidentemente non esiste più. Non c’è da stupirsene. A lui interessa solo la “società italiana”, “sospinta verso il futuro”, “ansiosa del sempre nuovo” e “percorsa dal desiderio di ritorno a un po’ di ordine e di disciplina antichi, di recupero di una certa etica pubblica, del sentimento del lavoro eseguito con scrupolo, di servizi che funzionino, di una scuola fatta bene, del rispetto delle competenze e delle deontologie professionali”.

Io credo che noi comunisti non siamo contrari a niente di tutto ciò, per il semplice fatto che il discorso di Della Loggia qui è retorico ed astratto, fatto appositamente per essere facilmente condivisibile da chiunque, e ciò perché esprime alcune istanze tipiche dei ceti medi. Chi infatti non vorrebbe una società fortemente etica e tranquilla, servizi pubblici funzionanti e il rispetto della meritocrazia? Chi non vorrebbe una riduzione del distacco tra politica e società civile? Il problema è la modalità con cui Della Loggia vorrebbe si ricostruisse la Sinistra, un vero e proprio decalogo di proposte. Nel primo punto afferma che la Sinistra dovrebbe “sentirsi (e magari anche dirsi) culturalmente cristiana”. Infatti “solo il Cristianesimo può tenere a bada i demoni della scienza, dell’economia e della tecnica riuniti assieme che incombono sul nostro futuro”. In questa visione la Chiesa sembrerebbe una benefattrice dell’Umanità… Dimenticato è qui il fatto che la Chiesa sia stata la più coerente, combattiva e duratura organizzazione avversa ad ogni forma di pensiero e prassi progressista, e tutt’oggi continua a mettere il veto su questioni basilari riguardanti i diritti civili (aborto, questioni LGBT, anticontraccezionali e altre misure sulla libertà della donna, ecc.)… senza contare il suo immenso potere economico-politico, con oltre 2000 miliardi di euro di patrimonio per quella che è una vera e propria potenza imperialista di livello mondiale, come ben affermava Antonio Gramsci già negli anni ’20. D’altronde Della Loggia dice chiaramente e provocatoriamente che non vuole un Partito “progressista”, bensì “votato alla modernità”, “senza per questo disfarsi del passato con eccessiva superficialità”.

Della Loggia propone poi di introdurre il “servizio civile a 18 anni per tutti i ragazzi e le ragazze. Compiti: manutenzione del territorio (pulizia spiagge, greti dei corsi d’acqua ecc.), attività di protezione civile, assistenza a disabili, servizi di ambulanza, ecc. Tra ludopatia, alcool, impasticcamento e disgregazione familiare la gioventù italiana si sta perdendo: una svolta nel Paese dovrebbe cominciare anche da qui.”

Io credo che i comunisti debbano essere contrari a questa proposta così come viene presentata. È vero infatti che il ripristino dell’obbligatorietà di un anno da offrire allo Stato sia una cosa necessaria anzitutto per combattere l’etica capitalistica e fornire gli strumenti necessari per trasformare ragazzi e ragazze in uomini e donne, ma soprattutto in cittadini e cittadine, consapevoli dei propri diritti e doveri costituzionali. Non serve però a nulla mettere i ragazzini a pulire le spiagge o a sgobbare per quattro soldi. Quello che serve è il ripristino di una leva di massa che consenta da un lato di educare i giovani ad una cittadinanza attiva e democratica, dall’altro di insegnargli come difenderla anche a livello politico e militare, tornando cioè a conferire al popolo un’educazione democratica e militare. Questo presupporrebbe la messa al bando dell’Esercito professionale al momento costituito da volontari e mercenari, assai spesso giovani meridionali obbligati ad arruolarsi per sfuggire ad un futuro di disoccupazione. Il ritorno ad un esercito popolare è una riforma indispensabile per la lotta all’imperialismo, dato che è molto facile corrompere un esercito composto da mercenari, piuttosto che uno composto dall’intero Popolo. Risulta invece molto più difficile svolgere le “missioni umanitarie” internazionali, linguaggio eversivo utile a mascherare gli interventi imperialisti, mandando ventenni obbligati per legge ad andare in guerra. Pensate cosa accadrebbe se si tornasse a mandare in Africa o in Medio Oriente con le armi in braccio anche i giovani rampolli figli degli stessi benpensanti borghesi… Sarebbe certamente il modo migliore e pratico per far capire l’importanza di rispettare l’articolo 11 della nostra Costituzione pacifista. Certo, in un progetto simile dovrebbe certamente essere garantita la possibilità agli obiettori di coscienza di poter svolgere un servizio civile alternativo, fondato comunque non solo su attività sociali, ma anche su un’educazione di massa umanista, progressista e “civile” a tutto campo.

Della Loggia dice comunque anche cose interessanti e giuste, rifiutando ad esempio il cosmopolitismo, perché mentre “internazionalismo vuol dire solidarietà, vuol dire ideali e cause condivise con altri individui e popoli, il cosmopolitismo, invece, è quasi sempre solo la versione supponente di un individualismo privo d’identità.” Ricordiamo cosa disse Palmiro Togliatti sul cosmopolitismo: “Il cosmopolitismo e’ una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso e’ invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.”

Della Loggia propone poi un’imposta “patrimoniale”, motivandola così: “come ci si può rassegnare al fatto che chi in Italia detiene grandi quote di ricchezza si sottragga sempre in un modo o nell’altro all’obbligo dell’equità fiscale?” Afferma la necessità di ricostruire un’organizzazione che “metta all’ordine del giorno una tematica dei doveri e del «limite» contro l’ideologia del menefreghismo edonistico”, “nonché contro la pratica orgiastica del futile e del superfluo”.

Sono proposte sensate se strettamente collegate: il disordine intellettuale e morale che caratterizza la nostra epoca non è infatti inedito, ma è conseguenza necessaria del pieno dominio del regime capitalistico giunto alla sua fase imperialista, dominata cioè dai monopoli industriali e finanziari, quelli che conosciamo comunemente con il nome di multinazionali e banche. La soluzione al problema posto da Della Loggia non può però risiedere solo in una mera redistribuzione della ricchezza, provvedimento necessario ma non sufficiente. Quello che occorre è il superamento degli attuali rapporti di produzione, eliminando strutturalmente la disoccupazione come venne fatto per la prima volta in Unione Sovietica fin dal 1930. Soltanto un Ordine Nuovo fondato sul Lavoro può ricostruire una nuova cultura etica di massa, fondata sugli ideali della giustizia, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà. Un reale internazionalismo insomma non può che svolgersi nella lotta all’imperialismo.

Non è questo però che interessa al nostro “liberale” pragmatico e conservatore: la politica estera di Galli della Loggia è infatti questa: “a noi italiani conviene essere sempre diffidenti della Russia, con gli occhi ben aperti verso la Germania, emuli della Francia, legati alla Grecia e alla Spagna, nutrire simpatia per la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.” L’ottica è insomma quella della permanenza nella NATO, restando quindi ben agganciati al blocco imperialista occidentale. Questo spiega allo stesso tempo perché secondo lui il partito che serve debba essere “europeista ma nel modo che attualmente è urgente e necessario: cioè proponendo che per arrestare la valanga migratoria che altrimenti ci sommergerà, almeno metà dell’intero bilancio dell’Unione sia devoluto ad un programma di assistenza e sviluppo dell’Africa subsahariana. Oggi il massimo interesse dell’Europa non è la crescita del reddito del Crotonese o della Bucovina, è lo sviluppo economico del Gambia e del Congo.

Torniamo con questa proposta all’utopismo scientifico. Sono decenni che studi di economisti, politologi, giornalisti, politici vari, marxisti ma anche liberali, hanno mostrato tutte le inefficienze strutturali dell’Europa. Perfino l’economista premio Nobel Stiglitz scrive articoli argomentando come l’Italia dovrebbe uscire dall”eurozona. Soltanto un ingenuo può pensare che l’Unione Europea sia stata costruita a vantaggio dei popoli e non invece a misura delle esigenze della Borghesia. L’Unione Europea non è nata certo per ridurre lo sfruttamento dei lavoratori, né di quelli europei, né tantomeno di quelli del resto del Mondo. I Governi dei Paesi europei si dividono sulle richieste di una diversa ripartizione dei vantaggi e degli svantaggi conseguenti al loro dominio imperialista, e in questa questione rientra anche la questione della ripartizione dei migranti. Mai però ci si divide sulle politiche imperialiste di fondo dell’UE e dei suoi singoli Paesi membri. Della Loggia però pensa evidentemente che l’ostacolo sia superabile avviando un conflitto con i vertici dell’UE, rinnovando una politica che possiamo definire “di potenza”: l’organizzazione che serve secondo Della Loggia deve infatti essere “un partito italiano, non nazionalista” ma che non rinunci “nell’arena europea e mondiale” a tutelare “l’interesse della sovranità italiana”, la quale “non sempre può coincidere con gli interessi altrui”. Aggiunge che “per difenderlo si può anche alzare la voce. Non è scritto da nessuna parte che a farlo debba essere solo la Destra.

È da notare che nelle misure finali proposte da Della Loggia si propugna un nuovo attacco alla Costituzione. Parla infatti di “abolire il bicameralismo e il Cnel”. “È il caso di riprovarci” dice, dimenticando così che è stato proprio il PD a cercare di far passare queste misure nel Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016. Un referendum con cui il Popolo Italiano aveva già ribadito ai vari Della Loggia di non voler riformare la Costituzione come piacerebbe alle banche. Ricordiamo infatti che JP Morgan in un documento di 16 pagine del 2013 invitava indirettamente i governi europei, per il bene del Mercato, a liberarsi delle Costituzioni antifasciste impregnate di socialismo. Della Loggia vorrebbe quindi rilanciare la Sinistra sfidando nuovamente l’umore del popolo italiano sulla possibilità di stravolgere l’ordine istituzionale. Che la direttrice sia reazionaria lo si capisce dal fatto che si collega ad un attacco strategico al mondo del Lavoro (“regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici”), della Magistratura (“separare le carriere dei magistrati”) e del mondo Sindacale (“eliminare la presenza di rappresentanti designati dai sindacati in tutte le sedi direttive, amministrative e/o gestionali di qualunque ente, istituzione o organismo pubblico o azienda a partecipazione pubblica”). Della Loggia conclude dicendo che “per essere di sinistra non bisogna essere solo di sinistra”.

Io credo che Della Loggia non abbia capito niente della fase attuale, oppure che sia profondamente in malafede. Negli anni ’70 Della Loggia si formava nella sinistra non comunista, scrivendo diversi saggi con taglio marxista; ben presto negli anni ’80 aderiva all’ideologia liberale, diventando membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA. È insomma uno dei molti intellettuali con trascorsi ideologici marxisti che ha avuto una deriva politico-culturale in senso filo-imperialista. La storia di Ernesto Galli della Loggia è simile alla storia della sinistra italiana, e quindi è esemplificativa di quanto sia deficitaria la consapevolezza complessiva di quali siano le reali problematiche storiche della nostra epoca.

Vorrei anticipare estratti del mio prossimo libro, “Il Totalitarismo “Liberale”. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale”, che rielaborerà in parte, ampliandoli, alcuni materiali già pubblicati lo scorso 15 dicembre 2017 nell’opera “In Difesa del Socialismo Reale e del Marxismo-Leninismo”, un volume enciclopedico sulla storia contemporanea e sulle questioni fondamentali del socialismo, che è scaricabile gratuitamente sul sito www.intellettualecollettivo.it. Un libro che non era solo una celebrazione agiografica o una mera ricostruzione storica (“revisionismo del revisionismo” dirà senz’altro qualcuno) dell’ultimo secolo. “In Difesa del Socialismo Reale” era un atto di accusa politica. Lo scopo era infatti di far aprire gli occhi su un quadro d’insieme, su una visione più ampia di quella solitamente ristretta con cui guardiamo alla nostra società. Ho proposto come chiave di lettura privilegiata l’ottica del materialismo storico, applicato ad un abbozzo di storia mondiale dell’ultimo secolo. Una storia nella quale emerge nettamente e prioritariamente la dialettica tra imperialismo e socialismo. Questo conflitto ha alimentato un processo storico in cui la lotta di classe ha saputo fare un salto di qualità nella sfida al regime borghese, affermatosi su scala mondiale progressivamente tra XV e XIX secolo.

Questo regime tirannico prosegue tutt’oggi, nonostante molti facciano finta di non vederlo. La maggior parte però non ne ha sinceramente cognizione, per il semplice fatto che non conosce adeguatamente la storia passata e ancor meno quella contemporanea. Ciò dipende certamente anche da “colpe” soggettive e individuali, ma origina soprattutto da fattori oggettivi e materiali ben precisi: il distacco progressivo delle organizzazioni comuniste occidentali, e dei relativi intellettuali organici, dal marxismo-leninismo, acceleratosi dopo il 1956, l’anno della “destalinizzazione”; ne sono conseguiti l’ascesa e il declino del “marxismo occidentale” nelle società capitalistiche, con la conseguente affermazione sempre più “totalitaria” del “pensiero unico” neoliberista a partire dagli anni ’80 del ‘900.

La caduta dell’URSS e delle democrazie popolari dell’Europa Orientale si è accompagnata in Italia all’autodistruzione delle organizzazioni comuniste, in preda ovunque ad un revisionismo più o meno spinto che in Italia ha condotto il PCI alla formalizzazione della propria natura socialdemocratica. L’accettazione dei paradigmi ideologici “neoliberisti” da parte del “Partito Socialista Europeo” ha palesato il secondo grande tradimento storico di tali “progressisti”: già nel 1914, votando i crediti di guerra avevano sancito la progressiva spaccatura con l’ala internazionalista, futura avanguardia comunista che formerà il Comintern nel 1919; senza fare tutta la Storia dell’Internazionale Socialista basti dire che negli ultimi 40 anni la socialdemocrazia italiana ed europea si è posizionata nettamente nel campo imperialista, diventando sostanzialmente “l’ala sinistra della NATO”, come diciamo non troppo scherzosamente tra compagni. È una scelta di campo pienamente borghese e padronale: è stata ed è tuttora il caposaldo delle strutture imperialiste attuali (NATO e UE), fondate con lo scopo di salvaguardare il “libero mercato”, ossia gli interessi della borghesia e del grande Capitale, cioè oggi le multinazionali. Nella scelta di campo tra Capitale e Lavoro, ha scelto senza indugio il primo. Le ragioni per cui ciò è avvenuto sono variegate, e sono le stesse di quelle di molti “comunisti” che hanno accettato il paradigma “neoliberista”: chi per cedimento ideologico, chi perché ha accettato le bugie dell’Impero, chi perché aveva una famiglia da mantenere, chi perché voleva si andasse in quella direzione fin dall’inizio, chi perché andava a parlare con l’ambasciatore statunitense a Washington…

Anche la crisi della sinistra comunista nasce nel momento in cui si smette di usare la chiave di lettura antimperialista. Avviene infatti in Italia nel pieno degli anni ’70, quando nel PCI inizia lo smantellamento dell’ideologia marxista-leninista, dando avvio alla sua progressiva socialdemocratizzazione. Non è un fenomeno solo italiano ma almeno europeo, se non mondiale. Pesano infatti nella diffusione delle “vie nazionali al socialismo” la destalinizzazione avviata da Chruscev nel 1956 e la conseguente spaccatura del movimento comunista internazionale, in primis la rottura tra Cina e URSS. Da allora anche l’Italia ha potuto avviare una propria linea sempre più autonoma, che però è degenerata al punto da affermare non solo la rottura del PCI con l’URSS, ma addirittura l’affermazione di Berlinguer di preferire stare “sotto l’ombrello della NATO” piuttosto che nel campo socialista. Da quel momento in poi è stato un declino continuo, palesatosi anche a livello elettorale. Dopo una silenziosa lotta politico-culturale interna negli anni ’80 il PCI, portando a termine un processo iniziato negli anni ’70, ha progressivamente sussunto l’ideologia neoliberista, vittoriosa alfine già durante la Segreteria Occhetto. Il PD è figlio di quella mostruosa degenerazione che ha espulso totalmente perfino il marxismo dalla propria cultura. Tutto ciò spiega perché non si può più fare affidamento sul PD, come invece ritiene Della Loggia.

Negli ultimi decenni hanno Resistito in pochi in tutta Europa. Le masse popolari hanno creduto al mito del fallimento “storico” del socialismo, hanno accolto nel complesso supine il messaggio della “fine della Storia” connessa all’espansione della società dei consumi e della cultura mercificata, egemonizzata dagli USA. Anche se lo sfruttamento relativo aumentava, la crescita economica fondata sul furto legalizzato e sistematico del resto del mondo garantiva all’Occidente di far crescere abbastanza il tenore di vita medio alla propria popolazione, la quale iniziava ad appoggiare imbelle e quasi entusiasta le nuove “riforme” che distruggevano le conquiste del Welfare State ottenute durante il “Trentennio Glorioso” (1945-75). Quando in Italia è stato smantellato l’articolo 18 (2012) dello Statuto dei Lavoratori, conquistato all’apice della forza operaia nel 1970, non c’è stata né una rivolta né una sollevazione popolare. Non c’è stato nemmeno uno sciopero generale degno di questo nome, nella complicità delle burocrazie dei sindacati confederali, ormai anch’essi pienamente conniventi con il regime padronale. In questo scenario la nascita dell’Unione Europea, avvenuta un anno dopo la caduta dell’URSS, non poteva che avere tratti strutturalmente reazionari, in quanto fondati su un regime di ferrea fedeltà agli interessi della Borghesia attraverso l’adozione di un’ideologia, quella neoliberista, trasformata in dogma, evento naturale, se non addirittura religioso, sacrale e dai tratti semi-divini.

Questa è tutta storia nota, trattata ormai da una svariata pubblicistica. Quel che è più raro trovare è un ragionamento che colleghi l’offensiva “neoliberista” al paradigma leninista dell’imperialismo, definito come la fase suprema del capitalismo. Per spiegare questa amnesia collettiva occorre svelare le ragioni per cui tale realtà, tanto palese, non solo non entri nel dibattito pubblico del Paese, ma nemmeno in quello accademico e politico (e a fatica perfino nelle organizzazioni comuniste). Nel mio prossimo libro, riprendendo il cap. 23 del libro “In Difesa del Socialismo”, analizzo le tecniche egemoniche con cui borghesi e imperialisti hanno potuto annebbiare e in una certa misura controllare le menti dei popoli, costruendo un sistema solo apparentemente libero e democratico. Intanto vorrei fare un esempio pratico: durante un incontro scolastico con un novantenne, venuto a parlarci dei suoi ricordi dell’epoca fascista, ho avuto modo di fargli una domanda molto semplice: “Quand’era ragazzo e andava a scuola, era consapevole dell’indottrinamento che riceveva?”. La risposta è stata laconica: “no”.

Il totalitarismo, essendo tale, non è necessariamente visibile se visto da una prospettiva interna. È così assurdo quindi pensare che viviamo inconsapevoli in un mondo orwelliano? Vorrei richiamare un fatto di questi giorni: qualche giorno fa è morto Domenico Losurdo, un gigante non solo del Marxismo, ma più in generale della Cultura Italiana e Internazionale. Nessun grande giornale o tg ha ripreso questa notizia, nemmeno con un trafiletto. Un intellettuale tradotto in tutto il mondo, famoso per i suoi saggi su Heidegger, Hegel, Nietzsche, non esiste per i media italiani, per la semplice colpa di essere stato un coerente marxista-leninista che con le sue opere e il suo esempio di integrità morale e di militanza rivoluzionaria è stato capace di toccare i nervi scoperti della falsa narrazione borghese. Questo atteggiamento dei media italiani (e internazionali) deriva dal regime che definisco Totalitarismo “liberale”.

In un suo recente libro il filosofo italiano fautore del ritorno al “realismo” Ferraris sostiene che viviamo nell’epoca della post-verità, e che questa costituisca “l’essenza della nostra epoca, proprio come il capitalismo costituì l’essenza dell’Ottocento e del primo Novecento e i media sono stati l’essenza del Novecento maturo.”[2] Ferraris in questa maniera inverte i rapporti causa-conseguenza riguardanti l’ambito socio-economico, non avendo probabilmente sufficienti dati materiali per identificare che all’interno della relazione capitalismo-media-verità giochi ancora un ruolo preminente la struttura economica, ossia quel capitalismo giunto alla sua fase estrema dell’imperialismo. Tale realtà si diversifica dall’imperialismo del primo ‘900 avendo fatto proprie molte lezioni del nazifascismo ed essendo riuscita a mascherare il proprio dominio di classe e il suo controllo sempre più totalitario sulla società. La potenza del Capitale è stata capace di riscrivere la Storia all’insaputa dei più e nella complicità delle sinistre e mantiene tanta potenza di fuoco da poter confinare in maniera “liberale” ai margini del Potere tutti i dissenzienti. È riuscita a fare ciò avendo paradossalmente spesso una conoscenza più adeguata della nostra degli insegnamenti di Marx e Gramsci, rivolti però non contro la classe dominante bensì contro la classe dominata. La fase di apparente sconfitta storica del socialismo conseguente alla caduta dell’URSS ha favorito una controffensiva ideologica che, combinata al sempre più accentuato controllo sociale e politico delle masse, ha consentito non solo di garantirsi contro nuove rivolte proletarie, ma anche di coltivare l’ambizioso progetto di eliminare una volta per tutte dalla mente degli individui l’idea che ci possa essere una società diversa rispetto a quella capitalistica. La vera e profonda caratteristica del totalitarismo sta in questo aspetto: la sussunzione dell’ideologia della classe dominante nelle masse è ormai tale da favorire il mantenimento al potere della borghesia sul proletariato, dei pochi sui molti, dei ricchi sui poveri, per un periodo di tempo indefinito. L’ideologia falmente progressista, quella “liberal”, con cui si intende guidare questo nuovo ordine mondiale si collega alla battaglia per il ripristino di un dominio neocoloniale sempre più attivo, il che però si scontrerà con l’ascesa di altri Paesi che rifiutano l’asservimento all’imperialismo occidentale. Tra questi Paesi, quello più potente e importante, che sta già contribuendo a emancipare progressivamente dalle proprie disgrazie il “Terzo Mondo”, è la Repubblica Popolare Cinese, uno Stato guidato da un Partito Comunista.

Di tutto questo non c’è consapevolezza pubblica, proprio perché viviamo inconsapevoli in un mondo orwelliano, in un totalitarismo morbido, “liberale”, in cui però la Storia è stata a tal punto riscritta, da essere ormai entrata nel senso comune, con una resistenza sempre più scarsa perfino nel ceto intellettuale progressista, ormai quasi sussunto dalla classe dominante borghese nei suoi rappresentanti mainstream (e qui ritroviamo il nostro Della Loggia). Il revisionismo storico, dopo l’offensiva ideologica dell’imperialismo occidentale, è stato tanto potente da dilagare dagli anni ’50 perfino negli ambienti progressisti, proletari e comunisti, ottenendo progressivamente sul finire del secolo una vittoria schiacciante con il trionfo del TINA (“There is no alternative”) e della diffusione dei paradigmi analitici del “totalitarismo comunista” e dello “stalinismo”. Una manovra che la borghesia ha condotto indisturbata, anzi spesso e volentieri perfino assecondata anche dagli intellettuali “marxisti”. Negli ultimi decenni ha prevalso una linea ideologica di esaltazione di una libertà emanata solo formalmente e con una terribile ipocrisia, in quanto fondata sull’individualismo egoistico e sull’omissione sistematica dei crimini imperialisti compiuti contro i popoli di tutto il mondo, compresi quelli fatti e subiti dall’Italia. Sono ormai dimostrati scientificamente gli orrori compiuti dall’imperialismo in tutto il mondo (ai quali spesso solo i comunisti e i sovietici si sono opposti) in un dominio che continua tuttora nella gran parte dell’America Latina, in Africa, in buona parte dell’Asia, colpendo perfino i settori più deboli dell’Europa. Questa è la vera natura violenta della “democrazia”” dei borghesi e dei benpensanti come Della Loggia.

Per comprendere le vicende storiche del ‘900, strettamente intrecciate e in continuità con il nostro mondo attuale, non è possibile allora ragionare in termini di “occidentali contro orientali”, o “democrazie contro dittature”, e tanto meno “cristiani contro islamici” o “italiani contro immigrati”. Il principale canone interpretativo deve essere quello “imperialismo contro socialismo”, in una lotta che è ben lungi dall’essere terminata, e che minaccia anzi di risolversi in maniera non pacifica in un grande scontro finale che in questo XXI secolo potrebbe devastare ogni angolo del mondo, nel caso in cui l’imperialismo dominante, quello statunitense, non accetti pacificamente di perdere il proprio impero egemonico mondiale costruito durante gli anni della Guerra Fredda. In questo contesto diventa non solo una scelta, ma una necessità storica quella di portare avanti una “Battaglia Culturale” che non esiti ad imbracciare la verità storica e contribuire a diffonderla in primo luogo alla residuale militanza comunista.

Occorre reintrodurre il ragionamento dell’istituzione di una seria Internazionale Comunista permanente e fondata su una salda consapevolezza teorica e politica delle problematiche attuali a livello mondiale, e di conseguenza di quale debba essere il ruolo dei comunisti nell’Europa Occidentale, una delle aree di punta dell’imperialismo mondiale. È indispensabile rimettere al centro l’analitica leninista, a partire dalla questione dell’imperialismo, aggiornandola agli insegnamenti forniti da 100 anni di Storia e confrontandola con i dati empirici offerti dalla presente realtà globale: se utilizziamo queste preziose “lenti” acquisiremo la consapevolezza che la proposta politica dei comunisti italiani oggi deve essere quella di far uscire il Paese dalle catene delle strutture imperialiste della NATO e dell’Unione Europea. L’ottica strategica necessita di porre la questione della presa del potere per la trasformazione in senso socialista della società. Solo attraverso una rivoluzione socialista sarà possibile riscattare le speranze delle generazioni presenti e future di questo Paese, dando anche un segnale di emancipazione ai popoli di tutto il Mondo, invitati a sollevarsi pure loro dalla tirannia della finanza internazionale e delle relative borghesie nazionali. Solo se saremo capaci di costruire un simile scenario avremo dato una risposta utile agli sfruttati, a quelli italiani e a quelli di altri popoli. Avremo in tal caso infatti offerto un contributo fondamentale nell’imminente scontro di classe mondiale tra l’imperialismo statunitense, sostenuto dagli alleati della guerrafondaia NATO, e il resto del mondo che ha osato alzare la testa grazie all’esempio e al supporto della Repubblica Popolare Cinese, di Cuba, della Corea del Nord, del Venezuela e di tanti altri Paesi, socialisti e non, che osano ancora disobbedire agli ordini di Washington decidendo da sé come regolamentare le proprie politiche economiche.

Anche se ancora molti compagni non lo capiscono, la borghesia sa bene come nonostante la caduta dell’Unione Sovietica, il grande nemico storico dell’imperialismo mondiale nel XX secolo, la situazione stia infatti ora cambiando: dopo oltre 70 anni si sta incrinando sempre di più il dominio dell’Impero Statunitense e dei suoi alleati (Italia compresa) sul resto del pianeta, e ciò avviene in primo luogo grazie alla Repubblica Popolare Cinese, grazie alla sapiente guida del Partito Comunista Cinese, che in 30 anni ha tolto 700 milioni di persone dalla povertà, ha trasformato il Paese nella prima economia mondiale in termini di PIL e sta ristrutturando la globalizzazione sulla base della cooperazione economica internazionale pacifica. È stato Domenico Losurdo più di tutti gli altri a farci capire che parlare della Cina come “blocco imperialista” non è solo una sciocchezza imbarazzante, assolutamente insufficiente e inadeguata, ma significa fare indirettamente il gioco dell’imperialismo.

Non è un caso comunque che la maggior parte dei Paesi appartenenti a BRICS e ALBA siano finiti in “crisi” o abbiano visto cambi di governo politico più o meno “regolari” negli ultimi anni. La reazione statunitense è feroce, organizzando in questa fase storica rivoluzioni colorate, golpe, destabilizzazioni economico-commerciali e guerre ovunque. L’Impero però fa sempre più fatica a contenere le Resistenze incarnate da Governi che difendono la propria dignitosa indipendenza. Nella Storia è accaduto di rado che un Impero abbia accettato il proprio declino senza far ricorso ad ogni strumento possibile in proprio possesso. Il rischio di una nuova Guerra, forse mondiale, non è quindi da escludere del tutto. Tutto è possibile ma niente è impossibile per i popoli che prendano coscienza storica, politica e di classe. Non esiste nulla di più forte delle masse, quando si organizzano.

Mi rivolgo allora in primo luogo al movimento comunista, alla classe lavoratrice, agli sfruttati, ai proletari d’Italia, e idealmente all’intero movimento comunista internazionale e agli sfruttati di tutto il mondo, fratelli e compagni indifferentemente dalle differenze di colore della pelle, di sesso, di etnia e via dicendo. Noi tutti abbiamo il dovere di lottare per la pace, sapendo che i primi nemici della pace sono i padroni, non sono quelli che stanno peggio di noi. Il nemico è la Borghesia. Tra le Borghesie nazionali la più potente è ancora quella Statunitense, la più dirompente potenza imperialista dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. L’imperialismo statunitense si è dimostrato essere sanguinario, spietato nella lotta e nella repressione dei comunisti e di interi popoli ribelli in ogni area del mondo; gli USA sono stati giustamente, e devono continuare ad essere, il primo nemico politico. La lotta contro la Borghesia italiana ed europea e loro relative sovrastrutture (Confindustria, BCE, UE, UEM), che al momento limitano la nostra reale sovranità politica, si può e si deve svolgere in parallelo alla battaglia per l’uscita dell’Italia dalla NATO, smettendo di pagare 70 milioni di euro al giorno per essere una piattaforma missilistica puntata verso la Russia e il Mediterraneo. La Borghesia nostrana continua ad appoggiare gli interventi militari in Africa e nel Medio Oriente, i quali creano cataclismi umanitari. Ne escono rafforzati gli interessi borghesi per la penetrazione in tali territori delle multinazionali occidentali, che acquisiscono così nuovi mercati da sfruttare e su cui speculare intensivamente. Ne consegue però anche il fiume di migranti sulle nostre coste, in una società in cui la bugia, l’omissione o l’aperta menzogna mediatica sono diventati la norma.

pascale dellaloggia01Diamo un solo dato: nel 2011 le paure principali dei cittadini europei riguardavano l’Economia (60%), la Finanza Pubblica e la Disoccupazione (entrambe al 30%), mentre solo 10% era preoccupato dall’Immigrazione. Oggi invece le paure principali sono l’Immigrazione (40%) e il Terrorismo (30%), mentre le questioni economico-sociali sono scese al di sotto del 20%. Il controllo politico, tecnologico, socio-economico e culturale della Borghesia ormai è quasi totalitario. Eppur qualcosa si muove e Resiste…

Il nostro compito è allora lanciare una “Battaglia Culturale” [3] alla quale sono chiamati a raccolta anche tutti gli intellettuali, gli accademici, i professori e gli uomini onesti di buona volontà. Sta a noi diffondere e trasmettere ad esempio le scoperte del compianto compagno Losurdo ad un pubblico più ampio, facendo capire a tutti i progressisti e ai lavoratori che bisogna ripartire, con pazienza, dalle sue tesi. Questo è il nostro compito storico di fase nella lunga lotta che conduciamo per l’affermazione del socialismo e poi del comunismo. Auspico però che siano soprattutto lavoratrici e lavoratori ad aderire, oltre a chiunque altro voglia sottoscriverlo a livello individuale o in quanto esponente sindacale, politico, associazionistico, ecc. Questo è l’appello che faccio e invito chiunque voglia sottoscriverlo a firmarlo, sperando che anche le organizzazioni comuniste e anticapitaliste possano ergersi alla testa di questa lotta, che deve andare di passo, dialetticamente, alla ricostruzione di un’organizzazione rivoluzionaria di avanguardia della classe lavoratrice. È giusta infatti la necessità di radicarsi nel popolo attraverso l’organizzazione e il sostegno alle lotte politiche e sociali fondate primariamente sulla difesa del mondo del Lavoro e degli sfruttati. Questa difesa però non sarà possibile se non sarà collegata alla lotta per combattere il Totalitarismo “liberale” in cui viviamo, facendo riemergerà la Verità non solo nella Storia, ma in ogni aspetto della vita quotidiana del popolo a cui ci rivolgiamo. Se sapremo attrezzarci per una guerra di lunga durata, sapendo che essa potrà essere sia di posizione che di movimento, allora non ho dubbi sul fatto che prima o poi la Verità trionferà. Solo allora sarà possibile una fase nuova per l’Umanità. Con buona pace degli Ernesto Galli della Loggia e di tutti gli Imperialisti che oggi pontificano dando false ricette.

Alessandro Pascale
Milano, 30 giugno 2018

NOTE

[1] Vd https://www.corriere.it/politica/18_giugno_26/galli-della-loggia-pd-opposizione-identita-valori-sinistra-vada-oltre-sinistra-riparta-zero-6701a8ea-7973-11e8-80e9-424fd8b8c17b.shtml
[2] M. Ferraris, “Postverità e altri enigmi”, Il Mulino, Bologna 2017., p. 10
[3] Vd l’Appello alla Battagli culturale contro il Revisionismo Storico, di cui ho ripreso alcuni passaggi nel seguent testo; Appello disponibile su http://intellettualecollettivo.it/appello-alla-battaglia-culturale-contro-il-revisionismo-storico/