L’America domina di nuovo (nella vendita di armi)

armas de eeuu vendidas a arabia foto sputnikewsdi William D. Hartung

da https://www.nationofchange.org

Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

Biden continuerà a promuovere questo paese come il primo esportatore di armi al mondo di tutti i tempi?

Quando si tratta di commercio di strumenti di morte e distruzione, nessuno supera gli Stati Uniti d’America.

Nell’aprile di quest’anno, l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI) ha pubblicato la sua analisi annuale delle tendenze nella vendita globale di armi e il vincitore – come sempre – sono stati gli Stati Uniti d’America. Tra il 2016 e il 2020, questo paese ha rappresentato il 37% del totale delle consegne internazionali di armi, quasi il doppio del livello del suo rivale più vicino, la Russia, e più di sei volte quello della minaccia du jour di Washington, la Cina. 

Purtroppo questa non è una sorpresa per gli analisti del commercio di armi. Gli Stati Uniti hanno tenuto il primo posto per 28 degli ultimi 30 anni, registrando massicci numeri di vendite indipendentemente dal partito che deteneva il potere alla Casa Bianca o al Congresso. Questa è, ovviamente, una buona notizia per gli appaltatori di armi come Boeing, Raytheon e Lockheed Martin, anche se è una cattiva notizia per molti di noi, specialmente quelli che soffrono per l’uso di quelle armi da parte dei militari in luoghi come Arabia Saudita, Egitto, Israele, Filippine ed Emirati Arabi Uniti. Il recente bombardamento di Gaza da parte dell’esercito israeliano finanziato e rifornito dagli Stati Uniti è solo l’ultimo esempio del devastante tributo richiesto dai trasferimenti di armi americani in questi anni.

Mentre è ben noto che gli Stati Uniti forniscono aiuti sostanziali a Israele, il livello di questo aiuto grazie al quale l’esercito israeliano conta su aerei, bombe e missili statunitensi non è pienamente apprezzato. Secondo le statistiche compilate dal Center for International Policy’s Security Assistance Monitor, gli Stati Uniti hanno fornito a Israele 63 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza negli ultimi due decenni, più del 90% attraverso il Foreign Military Financing del Dipartimento di Stato, che fornisce fondi per comprare armi statunitensi. Ma il sostegno di Washington allo stato israeliano va molto più indietro. Il totale degli aiuti militari ed economici degli Stati Uniti a Israele supera i 236 miliardi di dollari (in dollari 2018 corretti per l’inflazione) dalla sua fondazione – quasi un quarto di trilione di dollari.

Il re dei trafficanti d’armi

Donald Trump, a volte indicato dal presidente Joe Biden come “l’altro tizio”, ha abbracciato calorosamente il ruolo di trafficante d’armi in capo e non solo sostenendo il massiccio aiuto americano alle armi per Israele, ma in tutto il Medio Oriente e oltre. In una visita del maggio 2017 in Arabia Saudita – il suo primo viaggio all’estero – Trump avrebbe propagandato un mastodontico (anche se, come si è scoperto, molto esagerato) accordo di armi da 110 miliardi di dollari con quel regno.

A un certo livello, l’accordo saudita era una trovata pubblicitaria destinata a dimostrare che il presidente Trump poteva, secondo le sue stesse parole, negoziare accordi di cui avrebbero beneficiato l’economia degli Stati Uniti. Suo genero, Jared Kushner, un amico del principe Mohammed Bin Salman (MBS), l’architetto del devastante intervento dell’Arabia Saudita nello Yemen, ha persino chiamato l’allora CEO di Lockheed Martin Marillyn Hewson. Il suo desiderio: ottenere un accordo migliore per il regime saudita su un sistema di difesa missilistica multimiliardario che Lockheed stava progettando di vendergli. Lo scopo della chiamata era quello di mettere insieme il più grande pacchetto di armi immaginabile prima del viaggio di suo suocero a Riyadh.

Quando Trump è arrivato in Arabia Saudita con un’immensa fanfara locale, ha sfruttato l’accordo per tutto il suo valore. Chiamando le future vendite saudite “tremende”, ha assicurato al mondo che avrebbero creato “lavoro, lavoro, lavoro” negli Stati Uniti.

Quel pacchetto di armi, tuttavia, ha fatto molto più che bruciare la reputazione di Trump come creatore di accordi e di posti di lavoro. Ha rappresentato un’approvazione della brutale guerra della coalizione guidata dai sauditi nello Yemen, che ha provocato la morte di quasi un quarto di milione di persone e messo milioni di altre sull’orlo della carestia.

E non pensate nemmeno per un secondo che Trump sia stato il solo a permettere questo intervento. Il regno aveva ricevuto un record di 115 miliardi di dollari in offerte di armi – notifiche al Congresso che non sempre si traducono in vendite finali – durante gli otto anni dell’amministrazione Obama, anche per aerei da combattimento, bombe, missili, carri armati ed elicotteri d’attacco, molti dei quali sono stati utilizzati in Yemen. Dopo ripetuti attacchi aerei sauditi su obiettivi civili, la squadra di politica estera di Obama ha finalmente deciso di rallentare il sostegno di Washington a quello sforzo bellico, muovendosi nel dicembre 2016 per fermare una vendita di bombe multimiliardaria. Al momento di entrare in carica, tuttavia, Trump ha invertito la rotta e ha spinto avanti quell’accordo, nonostante le azioni saudite rispetto alle quali il deputato Ted Lieu (D-CA) ha detto “mi sembrano crimini di guerra”.

Trump ha reso abbondantemente chiaro, infatti, che le sue ragioni per armare l’Arabia Saudita erano tutt’altro che strategiche. In un infame incontro del marzo 2018 alla Casa Bianca con Mohammed bin Salman, ha persino brandito una mappa degli Stati Uniti per mostrare quali luoghi avrebbero probabilmente beneficiato maggiormente di quegli accordi sauditi sulle armi, compresi gli stati elettorali oscillanti : Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Ha raddoppiato l’argomento economico dopo l’omicidio e lo smembramento del giornalista saudita ed editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi nell’ottobre 2018 nel consolato di quel paese a Istanbul, in Turchia, anche quando gli appelli a tagliare le vendite al regime sono montati al Congresso. Il presidente ha chiarito allora che i posti di lavoro e i profitti, non i diritti umani, erano di primaria importanza per lui, dichiarando:

“110 miliardi di dollari saranno spesi per l’acquisto di attrezzature militari da Boeing, Lockheed Martin, Raytheon, e molti altri grandi appaltatori della difesa degli Stati Uniti. Se scioccamente cancelliamo questi contratti, la Russia e la Cina ne sarebbero beneficiari – e molto felici di acquisire tutti questi nuovi affari. Sarebbe un meraviglioso regalo per loro direttamente dagli Stati Uniti!”

E così è andata. Nell’estate del 2019 Trump ha posto il veto a un tentativo del Congresso di bloccare un pacchetto di armi da 8,1 miliardi di dollari che includeva bombe e sostegno alla Royal Saudi Air Force e ha continuato a sostenere il regno anche nelle sue ultime settimane in carica. Nel dicembre 2020, ha offerto più di 500 milioni di dollari di bombe a quel regime, sulla scia di un pacchetto di 23 miliardi di dollari agli Emirati Arabi Uniti (UAE), il loro partner nella guerra in Yemen.

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti non sono stati gli unici beneficiari della propensione di Trump a vendere armi. Secondo un rapporto del Security Assistance Monitor del Center for International Policy, la sua amministrazione ha fatto offerte di vendita di armi per più di 110 miliardi di dollari a clienti di tutto il mondo nel 2020, un aumento del 75% rispetto alle medie annuali raggiunte durante l’amministrazione Obama, così come nei primi tre anni del suo mandato. 

Biden sarà diverso?

I sostenitori della riduzione del traffico d’armi degli Stati Uniti hanno preso nota dell’impegno di Joe Biden durante la campagna elettorale che, se eletto, avrebbe “controllato i nostri valori alla porta” nel decidere se continuare ad armare il regime saudita. Le speranze sono ulteriormente cresciute quando, nel suo primo discorso di politica estera come presidente, ha annunciato che la sua amministrazione avrebbe messo fine al “sostegno alle operazioni offensive in Yemen” insieme alle “vendite di armi offensive”.

Quella dichiarazione, naturalmente, ha lasciato una scappatoia potenzialmente gigantesca sulla questione di quali armi sarebbero state considerate a sostegno di “operazioni offensive”, ma è sembrato almeno segnare un netto distacco dall’era Trump. Sulla scia della dichiarazione di Biden, le vendite di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi sono state effettivamente messe in attesa, in attesa di una revisione delle loro potenziali conseguenze.

A tre mesi dall’inizio del mandato di Biden, tuttavia, la promessa iniziale del presidente di tenere a freno i dannosi accordi sulle armi si sta già erodendo. Il primo colpo è stata la notizia che l’amministrazione sarebbe effettivamente andata avanti con un pacchetto di armi da 23 miliardi di dollari agli Emirati Arabi Uniti, tra cui aerei da combattimento F-35, droni armati e per il valore impressionante di 10 miliardi di dollari. La decisione è stata sconsigliata su diversi parti, in particolare a causa del ruolo di questo paese nella brutale guerra civile dello Yemen. Lì, nonostante il ridimensionamento delle sue truppe sul terreno, continuano ad armare, addestrare e finanziare 90.000 membri della milizia, tra cui gruppi estremisti con legami con Al Qaeda nella penisola araba, che ha sede nello Yemen. Gli Emirati Arabi Uniti hanno anche sostenuto le forze armate di opposizione in Libia in violazione all’embargo delle Nazioni Unite, hanno lanciato attacchi di droni che hanno ucciso decine di civili e hanno dato un giro di vite ai dissidenti in patria e all’estero. Effettuano regolarmente arresti arbitrari e usano la tortura. Se armare gli EAU non è un caso di “controllare i nostri valori alla porta”, non è chiaro cosa lo sia.

A suo credito, l’amministrazione Biden si è impegnata a sospendere due accordi di Trump con l’Arabia Saudita. Altrimenti, non è chiaro quali (se ce ne sono) altre vendite saudite in sospeso saranno considerate “offensive” e bloccate. Certamente, la nuova amministrazione ha permesso al personale del governo degli Stati Uniti e agli appaltatori di aiutare a mantenere l’efficacia dell’aviazione saudita e così ha continuato a consentire gli attacchi aerei in corso nello Yemen noti per l’uccisione di civili. La squadra di Biden ha anche fallito nel fare pressione con forza sui sauditi per porre fine al loro blocco di quel paese, che le agenzie delle Nazioni Unite hanno determinato potrebbe mettere 400.000 bambini yemeniti a rischio di morte per fame nel prossimo anno.