di Luis Carapinha su Avante, settimanale del Partito Comunista Portoghese | traduzione a cura di Marx21.it
Inebriati dal successo della barbarie nelle terre libiche, i paladini della guerra imperialista guardano a nuovi orizzonti. Il militarismo è sempre più necessario nel quadro quasi inevitabile di doppia recessione e dello spettro di un collasso economico che incombe sul centro capitalista. Dal quartier generale della NATO, Rassmussen esalta le virtù delle “operazioni multinazionali” ed esige maggiori sacrifici dai “partners” europei degli USA per il mantenimento dei bilanci bellici. Nella capitale libica, consegnata all’arbitrio delle orde del CNT, il senatore McCain, candidato repubblicano sconfitto da Obama nelle ultime presidenziali nordamericane, dà libero sfogo alla rabbia reazionaria dell’agenda che caratterizza l’agenda degli USA, minacciando nuove crociate per la libertà e la democrazia contro la Siria, l’Iran, la Cina e la Russia (Ria Novosti, 29.09.11).
Un intoppo in questo insano ingranaggio è rappresentato dal doppio veto di Cina e Russia nella votazione del Consiglio di Sicurezza (CS) dell’ONU sulla mozione anti-siriana, presentata anche dal governo vassallo portoghese di Passos Coelho e Portas. Brasile, India, Sudafrica e Libano hanno scelto l’astensione in una votazione che, contrariamente alla sinistra risoluzione 1973 che ha aperto la strada all’aggressione e alla divisione della Libia, era condannata in partenza per l’opposizione dei due principali paesi fondatori dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai.
Malgrado ciò e in contrasto con l’atteggiamento dilatorio verso la dichiarazione di indipendenza della Palestina, gli USA e l’UE hanno insistito nel sottoporre al CS la mozione che attenta alla sovranità e all’integrità della Siria, sperando di trarre vantaggio dalla nuova campagna mediatica indirizzata contro Mosca e Pechino.
Dietro alle dichiarazioni dei responsabili di USA e UE e alle imprecazioni contro il presidente Bashar Al Assad, si nasconde l’implacabile programma imperialista che fa di tutto per impedire una fuoruscita sovrana e democratica ai problemi affrontati dalla Siria e per spingere il paese, storicamente baluardo delle forze di resistenza nel Medio Oriente, nell’abisso della destabilizzazione. Già dopo il veto del 5 ottobre all’ONU, l’arco interventista in cui in prima linea stanno USA, UE, Turchia e Arabia Saudita, ha reiterato la minaccia velata che continuerà a ricorrere a tutti i metodi sovversivi per far affermare la criminale linea dell’ingerenza che mette in causa la stessa esistenza della Siria come Stato.
Allo stesso tempo, il doppio veto all’ONU ha lasciato un retrogusto amaro tra gli alleati della NATO e complici della destabilizzazione, intimoriti dalla Russia e dalle prospettive della relazione strategica di questo paese con la Cina.
Dopo la recente riconferma di Putin come candidato presidenziale del “partito del potere”, Russia Unita, quasi nessuno ha il coraggio di scommettere sulle relazioni tra Washington e Mosca. “Medvedev è ora il simbolo supremo della debolezza, i liberali lo odiano più di Putin”, afferma un analista di politica russa citato dall’agenzia Reuters (30.09.11). L’annuncio della rotazione delle poltrone al Cremlino e le dimissioni, per iniziativa del “liberale” presidente russo, del potente ministro delle Finanze, Kudrin, discepolo di Gaidar e figura gradita agli interessi della grande finanza internazionale, equivalgono a un clamoroso fallimento delle speranze e dei tentativi dei “partners” di Mosca del G8 di dare nuovamente l’assalto alla direzione politica del regime russo.
Nella scacchiera mondiale dei rapporti e del rimescolamento delle forze, bisogna aspettarsi nuovi passi nella pressione e nel rafforzamento della politica di animosità e di contenimento nei confronti della Cina e della Russia da parte degli USA e della NATO. Anche far deragliare un possibile programma proprio, seppur limitato, dei cosiddetti paesi emergenti è l’altra priorità connessa (si veda l’invito all’India nello scudo antimissilistico degli USA, a cui si sono appena aggregati Turchia e Spagna).
Nella sua furia aggressiva, McCain ignora però la resistenza libica. Malgrado la brutale sproporzione di mezzi, la determinazione e il coraggio dei patrioti libici ricorda che toccherà all’azione dei popoli, delle grandi masse e dei lavoratori pronunciare l’ultima parola.