L’acquisto degli F35 e la sovranità dell’Italia

di Giorgio Raccichini – PdCI di Porto San Giorgio

lockheed-martin-f-35-lightning-ii-1600x900La questione dell’acquisto degli aerei F35 rende evidente la posizione dell’Italia nello scenario geo-politico globale. Potenza industriale in crisi, il nostro Paese continua ad avere una sovranità limitata, probabilmente ancora più ridotta rispetto ai tempi della Prima Repubblica. Svariati fatti dimostrano questa asserzione, a partire dalla natura degli ultimi due governi, imposti dal Presidente della Repubblica per volere del grande capitale nazionale e internazionale al di fuori di ogni criterio seriamente democratico.

Sul piano internazionale l’assenza di sovranità dell’Italia è risultata evidente sia dal tradimento dei patti stipulati con la Libia di Gheddafi, sia dal sostegno offerto ai terroristi anti-siriani, i quali hanno gettato in un incubo sanguinoso un popolo non allineato secondo i voleri euro-atlantici.

Non si può certo ignorare che nel 2010, ad un anno appena dall’inizio delle manovre contro il legittimo governo siriano in carica, il Presidente Napolitano insignì Bashar al Assad dell’onorificenza di “Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana”; poco tempo dopo per la stampa e il mondo politico italiani il Presidente siriano diventava un feroce e sanguinoso dittatore da rovesciare a tutti i costi, poiché evidentemente lo imponevano gli interessi statunitensi, israeliani, francesi e inglesi.

Chi si pone il compito di difendere ed applicare la Costituzione deve essere consapevole che questa sua lotta è fortemente intrecciata alla situazione internazionale, rispetto alla quale deve assumere una posizione chiara e coraggiosa.

Come si sa, il testo costituzionale nasce da un compromesso e non è concepibile come un testo chiuso a qualsiasi cambiamento; esso fin dall’inizio è diventato il centro intorno a cui si è sviluppata una lotta di classe avente come posta in palio due obiettivi opposti: 1) quello della piena attuazione della Costituzione e della sua successiva trasformazione in senso socialista; 2) quello della sua modificazione in senso liberale e conservatore.

Mentre la sinistra e i comunisti hanno nel tempo smarrito la propria strada, finendo per perdere di vista il fine della trasformazione socialista dell’Italia, i gruppi del grande capitale e i loro referenti politici hanno continuato ad attaccare la Costituzione per tutti quegli elementi socialmente e politicamente progressivi derivati dall’apporto costituente dei Comunisti e dei Socialisti. Così il colosso finanziario americano di J.P. Morgan ha potuto recentemente affermare senza troppi giri di parole che le Costituzioni dei Paesi dell’Europa del Sud vanno modificate dal momento che mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo1.

Le multinazionali considerano la Costituzione italiana, sebbene questa non sia pienamente applicata, una minaccia alla realizzazione dei propri interessi. La riduzione dei salari (diretti, indiretti e differiti) e dei diritti dei lavoratori è stata imposta dai governi degli ultimi venti o trent’anni proprio con il fine di rendere l’Italia appetibile agli investimenti delle grandi imprese multinazionali; ma la Costituzione rappresenta sempre uno strumento a cui qualche forza politica potrebbe appellarsi per imporre un deciso cambio di rotta rispetto a questo stato di cose e quindi si cerca di cancellare l’idea, radicata nel testo costituzionale, che i lavoratori, non più schiavi delle esigenze materiali né impossibilitati da carenze culturali, possono e devono contribuire allo sviluppo della vita politica del Paese.

Gli interessi delle multinazionali e dei gruppi finanziari non possono essere sconfitti all’interno dei limiti angusti dello Stato nazionale, ma unendo la lotta di classe nazionale a quella internazionale. Quando Stalin e il gruppo dirigente del PCUS vararono la linea della “costruzione del socialismo in un solo Paese”, non mancarono di precisare che il socialismo non poteva vincere definitivamente in URSS senza il verificarsi in altri Paesi di rivoluzioni socialiste e senza la contemporanea lotta anticoloniale dei popoli sottomessi alle potenze imperialiste. Allo stesso tempo questi ultimi non potevano avere successo senza il supporto della lotta di classe del proletariato all’interno dei Paesi imperialisti. Attualmente, per esempio, mi pare che i Comunisti turchi sappiano bene che la loro lotta contro Erdogan rappresenta un contributo importante alla difesa della sovranità della Siria e che, allo stesso tempo, la vittoria della resistenza siriana è fondamentale nella guerra tra il variegato movimento antimperialista del Vicino e del Medio Oriente da una parte e gli USA, l’Unione Europea, Israele e i loro alleati regionali, tra cui è da annoverare la Turchia guidata dall’AKP, dall’altra; nei comunicati del Comitato Centrale del TKP si leggono affermazioni significative a riguardo: “il governo AKP è un fermo sostenitore delle provocazioni sanguinose in Siria. L’architetto di queste politiche anti-umane e guerrafondaie è il ministro degli Esteri. Ahmet Davutoğlu deve dimettersi immediatamente. Il governo AKP dovrà sicuramente rispondere dei crimini contro l’umanità e contro il popolo della Siria2;La rabbia del popolo va al di là dei progetti di trasformazione urbana: si tratta del terrorismo del mercato, degli aperti e diretti interventi nei diversi stili di vita, dell’americanismo e della subordinazione agli Stati Uniti, delle politiche reazionarie che esprimono inimicizia con il popolo siriano3.

Chi con tutta onestà vuole porsi l’obiettivo di ricostruire un partito comunista in Italia e lottare per l’applicazione dei principi costituzionali e, in prospettiva, per il socialismo ha il compito di difendere l’articolo 11 della Costituzione non in nome di un pacifismo astratto, ma assumendo l’antimperialismo come valore fondamentale da praticare per dare piena sovranità all’Italia e per contrastare l’oppressione esercitata dal grande capitale internazionale nei confronti dei popoli del pianeta.

La questione dell’opposizione all’acquisto degli aerei da guerra F35 va posta negli stessi termini in cui si dovrebbe porre la difesa dell’articolo 11 della Costituzione. Bisogna affermare chiaramente che il loro acquisto rappresenterebbe un regalo alle corporations delle armi, in particolare alla statunitense Lockheed, fatto per nessun altro motivo che quello di ribadire il ruolo di colonia obbediente dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti. Un tale acquisto non ha nessuna giustificazione, non tanto perché questi aerei sono risultati di scarsa qualità, ma per il fatto che l’Italia non è minacciata da nessuna potenza estera e, per via dell’articolo 11 della Costituzione, non potrebbe ricorrere a nessuna aggressione contro altri Paesi. A cosa serve quindi l’acquisto se non per il profitto della multinazionale suddetta e per la partecipazione dell’Italia alle guerre decise dagli USA? A peggiorare la situazione sono i costi dell’intera operazione: l’Italia spenderebbe una cifra esorbitante per l’acquisto e la successiva manutenzione degli aerei proprio mentre si tagliano i servizi pubblici come la sanità e l’istruzione, si aumenta il carico fiscale sulle classi lavoratrici, si strozza l’erogazione del credito alle piccole e medie imprese, e così via.

La lotta contro l’acquisto degli F35 non è allora semplicemente una forma di opposizione ad un acquisto inutile in una situazione finanziaria molto grave; è molto di più: è un modo di affermare la necessità che l’Italia recuperi la propria sovranità e sacrifichi gli interessi delle multinazionali a favore di quelli dei lavoratori italiani.

Vedremo quello che cosa succederà in Parlamento; di certo non è rassicurante il fatto che l’ago della bilancia sia costituito da un PD a cui appartiene un tale che ha recentemente affermato tramite twitter che gli F35 sono elicotteri che salvano vite umane spegnendo incendi e trasportando malati.

NOTE

1 J.P. Morgan, The Euro area adjustment: about halfway there, 2013

2 Risoluzione del CC del TKP del 11/05/2013.
3 Risoluzione del CC del TKP del 4/06/2013.