La Siria è sotto attacco. E non da oggi

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

burnt-out-cars 2488200bLa “linea rossa” – espressione tanto cara a Barack Obama- è stata ampiamente superata: la Siria è vittima di una aggressione militare vera e propria e di continue violazioni della propria sovranità. Domenica 5 maggio l’aviazione israeliana ha effettuato diversi raid su Damasco colpendo una struttura di ricerca scientifica legata all’esercito e le brigate 104a e 105a della Guarda Repubblicana. Non si tratta, comunque, di un singolo episodio isolato: il venerdì precedente, infatti, l’aviazione di Tel Aviv aveva colpito una base aerea siriana – situata nei pressi dell’aeroporto internazionale di Damasco – giustificando l’azione con la presenza di un carico di missili terra-terra a lungo raggio destinati ad Hezbollah. Ma l’attacco aveva, con tutta evidenza, anche un altro scopo: quello di indebolire le capacità di difesa del governo siriano di fronte agli attacchi dei ribelli mettendo fuori gioco il principale punto di approdo delle armi in arrivo dall’Iran1.

Un’improvvisa escalation avvenuta in questi ultimi giorni? Sembra proprio di no. A quanto riferisce il New York Times già alla fine di gennaio, sempre da Israele, era partito un raid contro un convoglio che trasportava armi antiaeree SA-17 che sarebbero state fornite a Damasco dalla Russia. Anche in questo caso la motivazione dell’azione era quella di un loro possibile trasferimento al movimento di resistenza libanese2.

A tutto questo vanno aggiunte la diverse forme di intervento che si sviluppano ormai da tempo come la formazione e l’equipaggiamento militare delle forze anti-Assad. Così scriveva agli inizi di aprile lo Washington Post: “Gli Stati Uniti e la Giordania hanno intensificato la formazione delle forze di opposizione siriane che possono essere utilizzate per stabilire una zona cuscinetto lungo il confine meridionale della Siria. […] Funzionari della sicurezza giordana hanno detto che è in calendario la formazione entro la fine del mese di circa 3.000 ufficiali dell’Esercito libero siriano3. Pochi giorni prima il New York Times aveva rivelato che da tempo era attivo un vero e proprio ponte aereo per garantire il flusso di armi a favore dei ribelli: “Con l’aiuto della CIA, i governi arabi e la Turchia negli ultimi mesi hanno fortemente aumentato il loro aiuto militare ai combattenti dell’opposizione siriana e esteso il ponte aereo segreto di armi e attrezzature per la rivolta contro il presidente Bashar al-Assad, secondo quanto riferiscono i dati del traffico aereo, le interviste con funzionari di diversi Paesi e le testimonianze dei comandanti ribelli. Il ponte aereo, iniziato su piccola scala nei primi mesi del 2012 e proseguito ad intermittenza lo scorso autunno [..] è cresciuto fino ad includere più di 160 voli militari cargo da Giordania, Arabia Saudita e Qatar con aerei cargo che atterrano a Esenboga vicino ad Ankara, e, in misura minore, in altri aeroporti turchi e giordani4. Sempre secondo lo stesso reportage, la Cia sarebbe direttamente coinvolta nell’invio di armi, mentre la “verità ufficiale” vuole gli Stati Uniti impegnati solamente sul versante degli “aiuti non letali”.

Nel frattempo non conosce sosta il bellicismo di Francia e Gran Bretagna che chiedono la fine all’embargo di armi – deciso in sede di Unione Europea – per dare il via alla fornitura diretta alle forze della ribellione. Per ora i ministri degli Esteri europei hanno già deciso per una deroga parziale all’embargo sul petrolio siriano: le forze che si oppongono ad Assad potranno d’ora in avanti vendere alle società europee il petrolio prodotto nelle zone sotto il loro controllo. Stessa decisione era stata adottata a favore dei ribelli libici. Un ben triste precedente5.

Strana “guerra civile”, insomma, quella siriana che ricorda sempre più da vicino la vera e propria aggressione contro il Nicaragua sandinista condotta attraverso le milizie “Contras”.6

Siamo alle prove generali di un intervento militare vero e proprio sulla falsariga di quello subito dalla Libia? Difficile affermarlo anche perché a Washington permangono indecisioni diversità di vedute e nulla porta a pensare ad un improvviso ammorbidimento delle posizioni di Mosca e Pechino. Certo è che ormai il passo è stato fatto: diritto internazionale alla mano la Siria è oggetto di una aggressione militare e avrebbe tutto il diritto di esercitare il proprio diritto di difesa (che comprende anche quello di una ritorsione proporzionata all’attacco subito). La delicata situazione diplomatica in cui si trova il governo siriano esclude, però, questo tipo di risposta (e a Damasco ne sono certo consapevoli). Pensate a quali sarebbero le conseguenze di un bombardamento anche solo dimostrativo su Israele: Assad diventerebbe l’aggressore accusato di antisemitismo e verrebbe automaticamente presentato all’opinione pubblica come il nuovo Hitler. Ma il rischio maggiore sarebbe quello di perdere l’indispensabile sostegno di Russia e Cina e la sostanziale neutralità degli altri Brics, ad oggi contrari ad ogni ipotesi di intervento armato diretto. La via all’aggressione vera e propria sarebbe spalancata in nome di una ricompattata comunità internazionale.

Il quadro è sempre più chiaro: da una parte una coalizione internazionale guidata da Usa, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e altri “amici della Siria” sostiene economicamente e militarmente le forze ribelli – rimpolpate anche da “volontari” stranieri7 – dall’altra si agisce per stroncare la capacità di resistenza di un governo sgradito che non vuole cedere e che si è rivelato saldo nelle sue istituzioni, in particolar modo quella militare, e che, evidentemente, gode ancora di sostegno popolare.

Contemporaneamente alle azioni belliche si lavora alacremente al confezionamento della giustificazione per futuri interventi: non più “l’esportazione di democrazia”, la presenza di “armi di distruzione di massa” o il più recente “Dovere di proteggere i civili contro la repressione” utilizzato per dare il via ai bombardamenti sulla Libia, ma un più prosaico – e tutto da dimostrare – “dovere di intervento per impedire che l’arsenale di Damasco finisca nelle mani di organizzazioni terroristiche” in caso di collasso della situazione. Tutto da dimostrare anche perché, sempre in base a preoccupanti rapporti, ad essere armate e sostenute sono già forze ribelli che si possono definire di natura terroristica e legate in vario modo ad Al-Qaeda. Evidentemente si tratta dei “nostri” terroristi.

Noi restiamo in attesa: che dirà il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino?

NOTE

1“Syrian report: Israel bombs outskirts of Damascus for second time in recent days”, Washington Post, 5 maggio 2013.

2“Israel Bombs Syria as the U.S. Weighs Its Own Options”, New York Times, 4 maggio

3“US, Jordan stepping up training of Syrian opposition”, Washington Post, 3 aprile 2013

4“Arms Airlift to Syria Rebels Expands, With Aid From C.I.A.”, New York Times, 24 marzo 2013

5“Cade l’embargo sul petrolio dell’opposizione siriana”, Rainews24.it, 22 aprile 2013.

6Conviene ricordare in questa sede che secondo l’art. 3 della Risoluzione 3314/1974 della Assemblea Generale dell’Onu è da considerarsi a tutti gli effetti una aggressione “l’invio da parte o per conto di uno Stato di bande armate, gruppi, irregolari o mercenari, che svolgono atti di forza armata contro un altro Stato”.

7Secondo quanto riportato dall’Ansa in 13 aprile scorso “I circa 3.500 giovani tunisini andati in Siria per combattere contro l’esercito del presidente Bashar al Assad sarebbero sostenuti economicamente dal Qatar. Lo sostiene, citando un rapporto dell’Onu, il settimanale Jeune Afrique, secondo il quale i combattenti tunisini costituirebbero ormai il 40% dei ribelli. L’ingaggio dei tunisini jihadisti sarebbe anche conseguenza dell’incessante campagna di proselitismo che le frange piu’ oltranziste dell’islam stanno conducendo nel Paese”.